Carlo Bonini, la Repubblica 6/7/2013, 6 luglio 2013
TUTTI I PECCATI DELLA BANCA DI DIO “COSÌ LE NORME ANTIRICICLAGGIO SONO STATE AGGIRATE PER ANNI”
ROMA — Venticinque pagine che chiudono trenta mesi di indagine della Procura e del Nucleo valutario della Guardia di Finanza mandano all’Inferno la gestione della Banca di Dio. Svelandone insieme la sua opacità e l’oggettiva complicità con chi ha utilizzato il forziere vaticano come canale di riciclaggio. L’ex direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, e il suo ex vice, Massimo Tulli, dovranno rispondere in giudizio di 13 distinte operazioni che documentano la sistematica violazione, tra il 2010 e il 2011, delle norme antiriciclaggio per importi che, complessivamente sfiorano i 24 milioni di euro. Firmati dal procuratore Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Nello Rossi e dai sostituti Stefano Fava e Stefano Pesci, gli avvisi di chiusura delle indagini preliminari sono stati notificati ieri ai due indagati, insieme al deposito della richiesta di archiviazione della posizione di Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior, il “riformista” che conosce così la sua riabilitazione dopo essere stato mangiato vivo dai veleni della Curia.
Annunciato nei giorni scorsi e a chiudere una settimana di passione cominciata con l’arresto per corruzione dell’ex contabile dell’Apsa Nunzio Scarano (per il quale il gip, ieri, ha respinto ieri la richiesta di scarcerazione) e proseguita con le dimissioni di Cipriani e Tulli dai vertici dello Ior, si consuma dunque un cruciale passaggio giudiziario destinato in qualche modo a segnare la storia dell’Istituto e a condizionarne il percorso di riforma. Per più di un motivo.
LA ZONA FRANCA
Lo Ior - documentano gli atti dell’inchiesta - ha operato infatti come un sistema off-shore nel cuore geografico dell’Italia e della sua capitale, libero da ogni vincolo di trasparenza, protetto dal felpato quanto impenetrabile segreto vaticano, ma, soprattutto, strutturalmente tarato per consentire operazioni di riciclaggio. Scrivono i pubblici ministeri: «Lo Ior intratteneva diversi conti correnti con banche operanti in territorio italiano, considerati tutti, dal punto di vista formale, di “corrispondenza” (...) In realtà, la tipologia dei conti Ior, pur se qualificata di “corrispondenza”, ha coniugato, contemporaneamente, operatività tipiche dei conti correnti ordinari e dei conti di corrispondenza». Dunque, proseguono i pm, su quei conti «da un lato si rilevavano operazioni riconducibili esclusivamente ai clienti Ior, dall’altro, su quegli stessi conti confluivano rimesse di contanti, assegni circolari e bancari, ordini di versamento, giri di fondi e altre operazioni che costituivano provviste destinate a rimanere su quei conti a tempo indeterminato, a discapito cioè di quella transitorietà che dovrebbe caratterizzare i conti di corrispondenza».
La rete di “conti di corrispondenza ibridi” ha dunque la funzione di operare come network che è insieme di raccolta e transito di denaro. Ma, soprattutto, ha una caratteristica peculiare: la “confusione” delle giacenze sui conti. Anch’essa figlia di una
ratio sistemica.
BENEFICIARI COPERTI
Si legge ancora negli atti: «Alla confusione globale di fondi di diversa natura e provenienza depositati sui conti Ior va aggiunta la circostanza che i clienti Ior, i beneficiari dei bonifici disposti sui conti di corrispondenza e degli assegni non venivano identificati da parte dell’intermediario bancario (l’Istituto di credito in territorio italiano presso cui erano accesi i conti di corrispondenza ndr.).
Con un effetto: l’elevato rischio che il modo di procedere dello Ior possa essere utilizzato come schermo, come canale, da parte dei suoi correntisti per mascherare operazioni illecite di riciclaggio». Un rischio - insistono i pm - che può diventare “regola” «grazie al concorso di tre circostanze: a) L’azione di correntisti Ior compiacenti o strumentalizzati che si prestano a far utilizzare il loro conto per operazioni di riciclaggio; b) Le carenze di adeguate verifiche della clientela all’interno dello Ior; c) Il mancato o carente rispetto degli obblighi di verifica rafforzata da parte degli enti creditizi italiani che intrattengono rapporti con lo Ior».
LE 13 OPERAZIONI
È in questo perimetro che le 13 operazioni finanziarie contestate a Cipriani e Tulli diventano “illecite” e dunque altrettanti capi di imputazione. Ciascuna, infatti, ripropone il medesimo format. Su un conto di “corrispondenza”, il correntista Ior di turno (normalmente uno sconosciuto prelato, un suo parente, ovvero un ente o lo stesso Istituto) dispone bonifici per somme di cui non si conoscono né la provenienza né i reali beneficiari. Soprattutto perché i vertici della Banca vaticana rifiutano di fornire qualunque informazione che aiuti a diradare la nebbia. Accade a Roma, nel settembre del 2010, con i famosi 23 milioni di euro che sarebbero dovuti transitare per un conto del “Credito Artigiano” per finire alla Banca del Fucino e alla filiale Jp Morgan di Francoforte (il denaro verrà sequestrato dalla Procura). Accade a Milano, nel 2010 e 2011, per tutte le altre operazioni di trasferimento fondi che vengono disposte sul “conto di corrispondenza” Ior numero 1365 acceso presso la filiale di Jp Morgan Chase Bank e per il quale la stessa Jp Morgan chiede inutilmente informazioni in Vaticano fino a vedersi costretta di fronte a un insistito silenzio a interrompere i rapporti. 220 mila euro disposti da tale Giacomo Ottonello; 100 mila euro da tale Giuseppina Mantese; 120 mila euro dalle Piccole apostole della Carità; 66 mila 133 euro da Antonio D’Ortenzio; 70 mila euro da tale Lelio Scaletti; 100 mila euro da Lucia Fatello; 250 mila euro da Civiltà Cattolica.
L’ESTRANEITÀ DI GOTTI
Nel j’accuse della Procura, si salva il solo Gotti, il banchiere immolato nella guerra di Curia e sostituito alla vigilia del Conclave da quel Ernst von Freyberg che, ancora poche settimane fa, plaudeva pubblicamente alla gestione Cipriani-Tulli. «La notizia di reato nei confronti di Gotti - scrivono i pm - è infondata. È accertata la sua assoluta estraneità alle condotte incriminate e al
modus operandi dell’Istituto sul versante dell’antiriciclaggio. Ed è per altro un dato oggettivo che, da presidente dello Ior, abbia dato vita a una nuova policy che mirava ad allineare il Vaticano ai migliori standard internazionali del contrasto al riciclaggio».