Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 06 Sabato calendario

COMMISSARIARE LA SPESA PUBBLICA

IL GOVERNO ha, da mercoledì, qualche piccolo margine in più nella politica di bilancio e, da ieri, una cabina di regia. La Commissione europea ci ha concesso nella gestione dei nostri conti pubblici una flessibilità… molto rigida. La lettera del Commissario agli Affari economici era troppo lunga per trovare spazio nel tweet mattutino di mercoledì del nostro presidente del Consiglio. Bene rileggerla insieme.
CI DICE che potremo temporaneamente deviare dal vincolo del bilancio in pareggio strutturale, ma che non dovremo in nessuna circostanza sforare il 3 per cento di disavanzo. Stando alle ultime previsioni (del Fondo Monetario Internazionale) sull’andamento del Prodotto interno lordo e sui conti pubblici, questo significa nessuno spazio nel 2013, dove dovremo già lottare per stare sotto al 3 per cento, e circa 5 miliardi nel 2014. Ma a quel punto varrà il vincolo di bilancio in pareggio inserito nella nostra Costituzione, un vincolo che stranamente tutti sembrano ignorare in un Governo sostenuto in prima persona dal primo garante della Costituzione.
Nel 2014 dovremmo finalmente rivedere il segno più nell’andamento del Pil e, in casi come questi, il nuovo articolo 81 della Costituzione ci impone il pareggio di entrate ed uscite. Del resto una politica fiscale espansiva servirebbe subito e non fra un anno. Dovrebbe farci uscire il più rapidamente possibile dalla recessione e migliorare le condizioni del nostro mercato del lavoro, oggi appesantito da una pressione fiscale insostenibile, come rilevato anche ieri da Banca d’Italia. Quindi i margini per condurre politiche antirecessive ci vengono concessi dalla Commissione troppo tardi perché possano essere veramente efficaci. Inoltre, ci vengono accordati solo nell’ambito di programmi cofinanziati a livello europeo (Rehn ne menziona solo alcuni, ma la vera condizione è il cofinanziamento). La scelta è comprensibile perché la Commissione vuole in qualche modo controllare cosa fanno i governi con questi margini aggiuntivi di manovra (è anche un modo anche per ampliare di fatto le dimensioni del bilancio europeo), ma il problema è che i programmi dell’Unione non sono stati definiti con finalità anticliche, di sostegno alla domanda in condizioni recessive. Hanno altri obiettivi, il cui perseguimento in una condizione come quella attuale potrebbe non rappresentare una priorità. Per fare un esempio quel miliardo e mezzo che dovrebbe venirci destinato (anche qui solo a partire dal 2014-15) per i giovani, dovrebbe finanziare interventi che incentivino questi ultimi a cercare un impiego invece di rimanere inattivi.
In un contesto in cui manca la domanda di lavoro delle imprese e di persone che cercano impiego ce ne sono fin troppe, interventi di questo tipo sono di ben scarsa utilità. Addirittura possono rivelarsi controproducenti, aumentando la congestione in entrata nel mercato del lavoro. Affinché il cofinanziamento europeo non diventi un vincolo a spendere per cose inutili, bisognerà perciò sfruttare con sapienza ogni margine possibile nella normativa europea. Ad esempio, i programmi del Fondo Europeo di Aggiustamento alla Globalizzazione (EGF) possono essere più vicini alle nostre necessità. E bisognerà anche provare a utilizzare il finanziamento comunitario per ridurre spese già programmate, a livello tanto centrale che decentrato, liberando così risorse per un taglio delle tasse. In altre parole, per beneficiare davvero del piccolo aiuto che riceviamo dall’Europa dobbiamo saper governare la spesa. Oggi paradossalmente la Commissione Europea può condizionare molto di più la spesa pubblica di un Paese Membro, di quanto non possa il nostro Governo condizionare la spesa di Regioni ed Enti Locali.
Le cabine di regia non hanno mai portato fortuna ai governi che le hanno istituite perché sono in genere la premessa di un commissariamento. Oggi più che di commissariare un governo, già piuttosto debole di par suo, c’è, come si ricordava, bisogno di riprendere controllo della spesa pubblica. E di farlo sul serio, non limitandosi a nominare un commissario, per quanto prestigioso, cui affidare l’incarico e mettersi il cuore in pace. Non è un’impresa da Mr.Bond, ma un’operazione che richiede un forte supporto politico-parlamentare, come quello che può essere messo sul campo, almeno sulla carta, da una grande coalizione. Solo Tommaso Padoa-Schioppa ci ha provato seriamente, ma il governo di cui faceva parte aveva in Parlamento numeri troppo esigui per riuscirci. E dopo TPS ci sono state solo operazioni di facciata, conclusesi immancabilmente con tagli lineari e sulla carta. E’ il momento, invece, di fare sul serio.
Per riguadagnare il controllo della spesa pubblica servono riforme costituzionali (opportunamente la revisione del Titolo V rientra nelle prerogative della commissione dei saggi al lavoro sulla riforma istituzionale), cambiamenti nelle regole contabili (Comuni e Regioni dovrebbero tornare alla contabilità di cassa, anche per evitare di accumulare nuovi debiti commerciali) e quel lungo lavoro per scomporre e ricomporre le diverse voci di spesa che va sotto il nome di spending review. Traduciamola in italiano (spesa al setaccio?) cosi tutti capiscono e cominciamo a farla davvero. Servono anche veri e propri piani di ristrutturazione di ministeri ed enti locali e mappature degli esuberi nella Pubblica Amministrazione e della mobilità necessaria per riassorbirli. Sono operazioni politicamente, forse prima ancora che socialmente, costose, che devono trovare il sostegno convinto della cabina di regia.
C’è poi bisogno che il Parlamento venga investito di questo compito, un compito che non può essere affidato unicamente ad una tecnostruttura. L’occasione per farlo viene dall’approvazione della Legge di Stabilità. Non dovrà limitarsi a guardare alle variazioni dei saldi, ma proporre all’approvazione del Parlamento un bilancio costruito per comparti di spesa. Rappresenterebbe un modo per rendere semplici e trasparenti i livelli di spesa dei singoli comparti, così da evidenziare immediatamente i capitoli di spesa privilegiata. Questo bilancio potrebbe essere esaminato ed emendato da una commissione congiunta di Camera e Senato, dando poi modo al Governo, prima di passare in Aula, di accettare o meno i cambiamenti proposti dalla commissione bicamerale. La nuova legge arriverebbe a quel punto al voto parlamentare strutturata in un singolo articolo, i cui commi (una trentina al più) si riferiscono ai diversi comparti di spesa e di entrata. L’unica operazione iniziata da Padoa-Schioppa e portata a termine è la riclassificazione della spesa dello Stato per grandi comparti (istruzione, difesa, ordine pubblico, etc.). Speriamo che la cabina di regia la studi a fondo in queste settimane. Misurarsi coi numeri crudi serve anche ai cabinisti di professione per concentrarsi sulle cose da fare, invece di pensare solo alla prossima campagna elettorale. E una visione d’insieme sul bilancio dello Stato servirà al Governo per definire quelle priorità che ancora fatica a trovare.