Paolo Lepri, Corriere della Sera 7/7/2013, 7 luglio 2013
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — Doveva diventare «un lavoro come gli altri». Era questo l’obiettivo della legge approvata oltre dieci anni fa in Germania. I contratti, infatti, sono analoghi a quelli di altri settori. Come uguali sono protezione sindacale, assistenza sanitaria, diritto alla pensione. Quella delle prostitute tedesche può essere definita, allora, una vita nel segno della normalità? Solo in parte. Perché a essere garantite sono soprattutto le donne arruolate nei lussuosi locali delle grandi città, a metà tra le case chiuse di vecchia memoria e i night-club per danarosi solitari. La legalizzazione del mercato del sesso ha inizialmente migliorato le condizioni di vita, ridotto i pericoli di un’ attività un tempo clandestina e penalmente perseguibile. Ma ha trasformato la Germania come dicono molti, nel «più grande bordello d’Europa», dominato in gran parte dalle leggi del profitto, dalle regole criminali dello sfruttamento, dall’attività senza scrupoli dei trafficanti.
L’enorme giro d’affari di questa industria non intaccata da nessuna crisi ha provocato una serie di effetti collaterali. Cristiano-democratici e liberali, i partiti che sostengono il governo di Angela Merkel, hanno tentato di correre ai ripari approvando nei giorni scorsi, prima della fine della legislatura, alcune norme che prevedono maggiori controlli su quanto avviene nelle case del sesso tedesche. Aumenta la sicurezza, non aumentano i diritti. L’opposizione rosso-verde, che era alla guida del Paese quando la legge fu varata nel 2002, ha giudicato ora questi interventi insufficienti. Più in generale, in Germania ci si chiede oggi, come ha scritto Der Spiegel , se la legalizzazione della prostituzione non sia stata «un fallimento». È passato molto tempo da quando l’allora ministra della Famiglia, la socialdemocratica Christine Bergmann, la capogruppo dei Verdi Kerstin Müller e la prostituta militante Felicitas Schirow brindavano con una coppa di champagne al successo dell’operazione di sdoganamento dei bordelli. La Svezia, nel frattempo, aveva fatto una scelta opposta, vietando e criminalizzando il sesso a pagamento. «Molti funzionari di polizia, le organizzazioni femminili, i politici che si occupano del problema sono oggi convinti — ha scritto il settimanale di Amburgo — che la legge tedesca sia stata nei fatti poco più che una sorta di sussidio per gli sfruttatori e abbia reso il mercato più attraente per i trafficanti di esseri umani».
I dati più recenti sono impressionanti. Secondo la confederazione sindacale Ver.di gli incassi annuali dell’industria della prostituzione ammontano a 14,5 miliardi euro. Gli uomini che pagano sono un milione al giorno. I bordelli che operano legalmente sono circa 3.500, cinquecento dei quali nella sola Berlino. Nella piccola regione del Saarland, al confine con la Francia, sono 270. I prezzi bassi attirano in Germania clienti dall’estero, anche dall’America. Fiorisce il mercato delle offerte speciali, come la flat-rate che permette di ottenere sesso senza limitazioni di tempo e quantità pagando un biglietto d’ingresso leggermente più costoso. Agenzie propongono viaggi organizzati legati al turismo sessuale. Le donne coinvolte sono circa 200.000, oltre due terzi delle quali arrivano da altri Paesi, in particolare da Romania e Bulgaria. Ma i reati contestati ai trafficanti sono invece diminuiti rispetto a dieci anni fa. Nel 2011 sono stati solo 636. I «magnaccia» , come si chiamano a Roma, sembrano approfittare del fatto che per essere accusati di sfruttamento, sottolinea Der Spiegel , devono intascare più della metà dei guadagni delle donne che «proteggono». Si tratta di una cosa difficile da provare. Infatti le condanne sono passate dalle 151 del 2000 alle 32 di due anni fa.
C’è evidentemente qualcosa che non torna in questi numeri. Le autorità non sembrano avere gli strumenti sufficienti per sgominare i responsabili del nuovo schiavismo. Le organizzazioni umanitarie mettono tra l’altro in rilievo che le donne che si ribellano o riescono a sfuggire agli aguzzini vengono subito rimpatriate per essere entrate illegalmente in Germania. Molte testimonianze parlano di situazioni di prigionia, in case-dormitorio vicino ai bordelli. «Oppure si è costrette a vivere nel luogo di lavoro per aumentare così la produttività», ha denunciato una ex prostituta che ha usato lo pseudonimo di Doris Winter. Sono tante, sicuramente, le pagine amare di questa sottovalutata tragedia collettiva. Come quella di Irina, la protagonista di Fortuna, un racconto dello scrittore-avvocato Ferdinand von Schirach. Forse è l’unica, la storia di questa ragazza arrivata a Berlino dalla ex Jugoslavia, che si conclude con un lieto fine. Anche se dopo molto orrore.
Paolo Lepri