Paolo Fallai, Corriere della Sera 6/7/2013, 6 luglio 2013
Nel suo romanzo meno citato, in queste ore convulse dopo la vittoria del Premio Strega, Walter Siti l’aveva dichiarato fin dal titolo Autopsia dell’ossessione: quel tormento — del desiderio, dell’eros, della fragile unità dell’io — che rappresenta il cuore del suo raccontare
Nel suo romanzo meno citato, in queste ore convulse dopo la vittoria del Premio Strega, Walter Siti l’aveva dichiarato fin dal titolo Autopsia dell’ossessione: quel tormento — del desiderio, dell’eros, della fragile unità dell’io — che rappresenta il cuore del suo raccontare. Fino a Resistere non serve a niente (Rizzoli) che al Ninfeo di Villa Giulia ha stravinto una gara che non c’è mai stata. Walter Siti cerca di rispondere con calma, nonostante la slavina di sollecitazioni che da qualche ora lo ha travolto. «Sono molto legato a quel romanzo, forse perché Autopsia dell’ossessione è stato meno apprezzato di altri. Però è vero, ho l’impressione di fare lo stesso discorso da molti anni, con un filo conduttore». La prossima tappa? «Un diario, Exit strategy dedicato appunto all’uscita dall’ossessione». È riuscito a dormire? «No, naturalmente, è una specie di delirio a cui non sono abituato. Sono momenti frastornanti. Passerà». Esiste anche una ossessione da Premio Strega? «Non credo, non per me, non l’avevo neanche mai visto. A giudicare dalla serata di giovedì ogni tanto direi che si crea un’isteria del Premio Strega». Come l’ha vissuta? «Un po’ confusamente. Intanto perché pensavo di andare là e fare lo spettatore, lo ripeto: non c’ero mai stato e non l’avevo neanche visto in televisione. Finalmente, ho pensato, è un’occasione di vederlo dal vivo». E invece? «Prima sono stato deportato al tavolo, dove c’erano tanti ospiti e dove sono stato circondato dai fotografi. Poi è cominciata la chiama e per me era davvero una situazione troppo ansiosa, così sono andato su una panchina in fondo al parco, dove non si sentiva niente. Quando sono tornato il risultato era ormai chiaro e hanno ricominciato ad assediarmi, poi la diretta televisiva con quei fari sparati in faccia. Insomma, non ho visto niente. Forse l’anno prossimo da presidente del seggio e da una posizione rialzata, capirò qualcosa...». Tra le sue molte dichiarazioni dopo la vittoria ce n’è una di grande stima per Paolo Sorrentino. «Ho visto La grande bellezza e mi è sembrato un gran bel film. Con Paolo Sorrentino c’è stata anche un’occasione di lavoro mancata, un’idea di Francesco Piccolo per racconti a quattro mani con scrittore e regista. Avevamo fatto un piccolo progetto che poi è morto lì. Mi hanno chiesto in tanti se mi piacerebbe che Sorrentino dirigesse un film da Resistere non serve a niente. E a chi non piacerebbe?». Ha già pensato a una riduzione cinematografica? «Quando scrivo non penso mai a un eventuale film, scrivo dall’esterno verso l’interno, più che immagini mi vengono pensieri. Non credo di avere una scrittura particolarmente adatta alla visualizzazione. Altre lo sono molto di più. Mi piacerebbe un regista capace di fare una radiografia del testo, di trasformarlo molto. Non mi piacciono i film che sono l’illustrazione dei libri». Ha letto gli altri romanzi in gara? «Ho fatto i miei compiti, credo di averne letti nove dei dodici arrivati in semifinale. Ho già detto più volte che mi è sembrato molto bello il libro di Aldo Busi (El especialista de Barcelona, Dalai), ho trovato scandaloso che fosse stato escluso dalla cinquina. Mi è piaciuto Paolo Cognetti (Sofia si veste sempre di nero, minimum fax) è un giovane con un talento indubbio; così come considero un libro molto onesto, sincero, un libro necessario, quelli di Matteo Marchesini (Atti mancati, Voland). Divertente il libro di Alessandra Fiori (Il cielo è dei potenti, e/o) che racconta il mondo delle cooptazioni democristiane viste molto da vicino. Molto ben scritto il libro di Paolo Di Paolo (Mandami tanta vita, Feltrinelli)». C’è un eccesso di realismo nella letteratura contemporanea? «Mi chiedo perché adesso gli scrittori hanno così bisogno di attestare che quel che scrivono è vero; non basta che sia verosimile? Per farlo o si lanciano in vere e proprie inchieste, oppure lo attestano di persona, parlando di sé, mettendosi in gioco con nome e cognome». Che cosa non la convince? «Forse siamo invasi troppo dalla fiction, in tv o in libreria ci sono tonnellate di fantasy, vampiri, poliziotti. Di fronte a questa specie di annegamento per eccesso della fantasia torniamo a cose che sono accadute, se non altro perché hanno la dote dell’esistenza. C’è qualcosa di sotterraneo, per contrasto: si insiste tanto sull’io e sui fatti perché l’io e i fatti sono in crisi. È sempre più difficile trovare individualità padrona della storia, come accadeva nell’Ottocento. Oggi l’individualità si volatilizza, è fatta di tanti frammenti, dalle schegge dei social network o dalle manie. Si mettono le cose vere nei romanzi in quanto le cose vere sembrano sempre pronte per diventare una fiction». È vero che quando scrive preferisce non leggere romanzi o quotidiani? «Nei momenti di concentrazione tendo a non leggere altri libri oppure cose lontanissime da me come Alice nel paese delle meraviglie. I giornali li leggo, ma è vero che il rischio è smettere di avere idee e cominciare ad avere opinioni. C’è un po’ una banalizzazione di quello che si pensa. I percorsi interiori sono faticosi, certe volte bisogna abbandonare l’attualità, infilarsi in cose che sembrano poco di moda. La velocità del nostro stile di vita non ce lo permette quasi più». pfallai