Guido Santevecchi, Corriere della Sera 6/7/2013, 6 luglio 2013
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Le produzioni televisive inglesi stanno conquistando il mercato cinese. E in testa alle classifiche di ascolto c’è «Downton Abbey», la fiction ambientata nella tenuta di campagna dei conti di Grantham e popolata da una schiera di domestiche, valletti e maggiordomi fedeli. Il caso ha richiamato l’attenzione degli istituti di rilevazione dell’audience in Cina: sappiamo così che la serie inglese in costume ha il suo pubblico tra la classe medio-alta, con solide basi culturali. Questo genere di programmi sui social media attrae il 9% delle discussioni, un dato ancora lontano dalle popolarissime soap opera coreane, che interessano il 28% della gente. Ma se si considerano i siti web frequentati da impiegati di buon livello e studenti liceali e universitari, il rapporto di interesse si rovescia: 13% alle serie come «Downton Abbey» e «Upstairs, Downstairs» solo l’1% per i coreani.
Entgroup, società di consulenza cinese specializzata in tv e siti online che trasmettono telefilm (spesso con tecnologia pirata) prevede che nei prossimi 2-3 anni le produzioni made in Britain avranno 160 milioni di spettatori. In più, un dato psicologico: le fiction inglesi sono in cima a quella che gli esperti definiscono «la catena del disprezzo», vale a dire che gli appassionati di «Downton Abbey» guardano con senso di superiorità ai patiti di telefilm americani, i quali a loro volta si sentono migliori degli spettatori di telenovele sudcoreane. In fondo alla catena ci sono le persone comuni, quella maggioranza silenziosa che ancora si nutre di telefilm cinesi.
Dietro il successo delle avventure del valletto Bates e del maggiordomo Carson c’è una realtà emergente nella Repubblica popolare: se la classe media si accontenta di guardare in tv il conte di Grantham che si fa aiutare a indossare la giacca dello smoking dal servitore personale, in Cina si sta formando una classa di super-ricchi che il butler (il maggiordomo) lo vogliono in carne e ossa. E sono pronti a importarlo dal Regno Unito.
Robert Watson, presidente della società The Guild of Professionals English Butlers , ha detto all’agenzia Bloomberg che la domanda sta superando l’offerta: i suoi maestri preparano circa mille maggiordomi all’anno e un quinto va in case private (il resto è richiesto dai grandi alberghi).
Le scuole nel Regno Unito sono rifiorite. Nel 1912, 800 mila case britanniche avevano servitori, e di questi 30 mila erano a disposizione della nobiltà. Oggi sono solo 8 mila. Ma la società Greycoat Placements di Londra dice di avere nei suoi elenchi 20 mila servitori professionisti pronti o a partire per l’Asia o a lavorare nelle case londinesi dei nuovi ricchi cinesi.
Il fenomeno resta di nicchia. Ma a Pechino ne ha scritto anche il Global Times , giornale in inglese del glorioso gruppo guidato dal Quotidiano del Popolo . Titolo: «Il ritorno del maggiordomo inglese». L’autore dell’intervento è uno storico inglese che ha prodotto tra l’altro un saggio sulla «Superpotenza cinese». E che osserva: «Oggi il butler è anche un consigliere capace di spiegare a un businessman cinese l’etichetta occidentale, quale coltello prendere per primo a tavola, come salutare, quanto a lungo guardare negli occhi un interlocutore».
Il presidente della Repubblica popolare nonché segretario del partito comunista, Xi Jinping, ha appena tenuto un discorso solenne ai quadri, sottolineando con forza che non si può derogare dalla linea del socialismo con caratteristiche cinesi e che bisogna imparare dal passato e «servire il popolo con il cuore e con l’anima». C’è da credere che la sua idea non fosse di far servire il popolo (dei ricchi) da un’élite di maggiordomi addestrati in Inghilterra.
Guido Santevecchi