VARIE 5/7/2013, 5 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULLA CRISI EGIZIANA
REPUBBLICA.IT
Egitto, quattro morti tra sostenitori di Morsi.
"Anche la vita per il ritorno del presidente"
Chiamate a raccolta dai Fratelli Musulmani, migliaia di persone manifestano per il ritorno del presidente deposto. Assalto alla sede della guardia repubblicana dove si ritiene Morsi sia detenuto. I militari negano di aver fatto fuoco sui manifestanti. Sciolta la Camera alta del Parlamento. Libera la guida suprema Mohamed Badie, che infiamma la folla
IL CAIRO - Esplode il "venerdì del rifiuto" proclamato dai Fratelli Musulmani per protestare contro la deposizione del presidente Mohamed Morsi da parte dell’esercito. Almeno tre persone sono rimaste uccise durante l’assalto portato da alcune centinaia di sostenitori di Morsi alla sede della guardia repubblicana al Cairo dove la Fratellanza Musulmana ritiene sia detenuto il presidente deposto. Una quarta vittima negli scontri fra pro e anti Morsi nei pressi dell’università del Cairo.
Il movimento islamico ha smentito oggi l’arresto della sua guida spirituale, Mohammed Badie, come annunciato ieri dalla sicurezza. In serata, il procuratore generale ha ordinato la scarcerazione di altri due figure di spicco della Fratellanza: Saad al-Katatni, capo del partito della Giustizia e Libertà, e l’assistente della guida suprema, Rached Bayoumi.
Che Badie sia libero lo conferma, poco dopo l’annuncio, la sua apparizione sul palco montato davanti alla moschea di Rabaa El Adaweya a Nasr City, sobborgo del Cairo. Ed è proprio Badie a infiammare la manifestazione tenendo un discorso: "Non sono in fuga, non mi hanno arrestato. A tutti gli egiziani dico: Morsi è il vostro presidente. E resteremo nelle strade a milioni finché non riporteremo in trionfo il nostro presidente eletto". "L’esercito deve restare lontano dalla politica e l’Egitto non conoscerà mai più il potere militare. Il golpe militare è nullo. Non ci sono alternative alla restaurazione di Morsi: l’unica sono le nostre vite".
All’ultimo monito di Badie, ha fatto seguito l’azione: terminato il raduno a Nasr City, la folla dei sostenitori di Morsi si è rimessa in marcia puntando verso la sede della tv di Stato. Il corteo, migliaia di persone, è seguito da vicino da elicotteri militari che sorvolano la zona. Gli islamisti hanno attraversato uno dei ponti sul Nilo vicino a piazza Tahrir, dove si stanno concentrando i manifestanti dell’opposizione. Le truppe con i blindati hanno tenuto separati i due fronti. Giunti davanti al quartier generale dell’emittente di Stato, i sostenitori di Morsi hanno inscenato una nuova protesta contro il "golpe" dell’esercito.
Intanto, l’Egitto non ha più un Parlamento: come preannunciato, il presidente ad interim, Adly Mansour, ha emesso un decreto costituzionale con cui viene sciolto anche il Consiglio della Shura, la Camera alta (la Camera bassa era stata sciolta circa un anno fa dalle autorità militari poco prima dell’elezione di Morsi). Lo ha annunciato la tv di Stato, aggiungendo che Mansour ha nominato un nuovo capo dell’intelligence: Mohamed Ahmed Farid succede a Mohamed Raafat Shehat, voluto da Morsi.
Tornando agli scontri tra esercito e sostenitori di Morsi, sono "fonti della sicurezza" a parlare di "almeno tre morti" durante l’assalto della folla al compound della guardia repubblicana. Un funzionario del ministero della Salute egiziano, Khaled el-Khatib, ha confermato la morte di una persona e un numero imprecisato di feriti. Secondo le testimonianze, i corpi di due persone sono stati coperti con lenzuola, mentre a terra giaceva un terzo manifestante, ucciso da un colpo alla testa. Il sito dei Fratelli Musulmani ha riportato di "quattro martiri". Il partito egiziano Libertà e giustizia, braccio politico della confraternita islamica, ha riferito che sono cinque i morti negli scontri in Egitto.
Un portavoce dell’esercito ha negato che i militari abbiano fatto fuoco sulla folla: sono stati usati colpi a salve e lacrimogeni per disperdere la folla. Un’altra fonte della sicurezza, citata dalla tv di Stato, ha affermato che "non ci sono state vittime durante gli scontri davanti al quartier generale della Guardia Repubblicana". Non è escluso, però, che altre forze di sicurezza siano presenti sul posto e siano state loro ad aver aperto il fuoco.
Diverso il racconto di un fotografo della Associated Press presente sul luogo. Tutto sarebbe avvenuto quando i manifestanti sono giunti in prossimità di una barriera di filo spinato eretta a difesa della caserma. Uno di loro ha appeso al filo di ferro una foto di Morsi, i soldati l’hanno rimossa intimando alla folla di arretrare. Quando un secondo manifestante ha ripetuto il gesto, i soldati hanno iniziato a sparare. Secondo il testimone, molti sostenitori pro-Morsi sono caduti a terra feriti, uno, colpito alla testa, sembrava morto.
Più tardi, un alto esponente dei Fratelli Musulmani, Ahmed Fahmy, presidente del disciolto Consiglio della Shura, ha emesso un comunicato per invitare i sostenitori del movimento a non affrontare le truppe egiziane. "L’esercito egiziano è una linea rossa che non deve essere oltrepassata".
I Fratelli Musulmani hanno chiamato a raccolta i sostenitori di Morsi dopo la tradizionale preghiera del venerdì per protestare contro il "golpe" dell’esercito che ha portato all’uscita di scena del presidente. L’appello degli islamisti è "a scendere in piazza in maniera massiccia.
Per tutta risposta, il Fronte di salute nazionale, che raccoglie gran parte delle forze d’opposizione egiziane, ha lanciato un contro-appello "urgente" a manifestare per "difendere la rivoluzione del 30 giugno". Gli attivisti della campagna Tamarod hanno annunciato che rimarranno in piazza a oltranza. "Invitiamo il popolo egiziano a manifestare in tutte le province a partire da domani - si legge in un comunicato di Tamarod - per difendere la vittoria del 30 giugno", data della manifestazione oceanica contro Morsi. Gli attivisti invitano il popolo a "stringersi intorno all’esercito contro i terroristi" e sostengono che i "Fratelli Musulmani e le loro milizie non esiteranno a trascinare l’esercito egiziano in una guerra civile per giustificare un intervento straniero".
In vista delle manifestazioni, l’Esercito egiziano aveva lanciato, con un comunicato, un appello "all’unità e alla riconciliazione", spiegando che l’abuso del diritto di protesta potrebbe trasformarsi in una minaccia "alla pace sociale, agli interessi nazionali e all’economia".
Ma l’appello non ha fermato la protesta degli islamisti. A migliaia hanno invaso le strade anche ad Alessandria, dove violenti scontri sono in corso fra pro e anti Morsi, con i blindati dell’esercito impegnati a separare i due schieramenti, 65 finora i feriti secondo l’emittente El Hayat.
A Luxor si segnala un morto in scontri tra fazioni islamiche e cristiane, a Suez i soldati hanno sparato in aria per evitare l’irruzione dei manifestanti nell’ufficio del governatore. A Damanhour, capitale della provincia di Beheira, nel delta del Nilo, 21 persone sono rimaste ferite negli scontri tra opposte fazioni.
REPUBBLICA.IT
CAIRO - I Fratelli Musulmani chiamano a raccolta i sostenitori del deposto presidente Morsi nel "venerdì del rifiuto". Nelle stesse ore, i media egiziani diffondono la notizia: il presidente ad interim, Adly Mansour, varerà nelle prossime ore un decreto costituzionale che include lo scioglimento del Consiglio della Shura, la Camera alta del Parlamento egiziano, l’annuncio di un governo di tecnici e l’istituzione di una commissione per la modifica della Costituzione. Nuovo bilancio diffuso dal ministero della Salute sugli ultimi scontri tra sostenitori e oppositori di Mohamed Morsi: almeno 52 i morti, 2619 i feriti.
In vista delle manifestazioni, l’Esercito egiziano ha lanciato, con un comunicato, un appello "all’unità e alla riconciliazione", precisando che l’abuso del diritto di protesta potrebbe trasformarsi in una minaccia "alla pace sociale, agli interessi nazionali e all’economia". In un messaggio diffuso su Facebook, il comando dell’esercito ha dichiarato che la "protesta pacifica e la libertà di espressione sono diritti garantiti a tutti" ma che "l’uso eccessivo di questo diritto potrebbe diventare una minaccia per la pace sociale, l’interesse nazionale e danneggiare la sicurezza e l’economia nel nostro prezioso Egitto".
Mentre è in corso un forte dispiegamento di mezzi e uomini dell’esercito e della polizia in tutto il Cairo, lo spazio aereo sulla capitale è stato chiuso per una quarantina di minuti a causa di esercitazioni dell’aviazione egiziana. Lo hanno riferito fonti dell’aeroporto, spiegando che i voli in arrivo sono dirottati su altri scali egiziani. Lo spazio aereo è stato poi riaperto e il traffico è tornato alla normalità.
Nella notte, gruppi islamisti armati hanno aperto il fuoco sull’aeroporto di el Arish, nella penisola egiziana del Sinai, e a tre checkpoint militari, secondo quanto riportato dalla televisione di Stato. Un soldato è rimasto ucciso ed altri due gravemente feriti. Gli aggressori hanno lanciato granate contro i checkpoint dell’esercito fuori dall’aeroporto, vicino al confine con la Striscia di Gaza e Israele, nell’ultimo di una serie di incidenti nella regione, secondo fonti della sicurezza. Non è chiaro se l’attacco coordinato alle installazioni militari sia legato all’estromissione del presidente egiziano Mohamed Morsi di mercoledì scorso.
Dopo l’attacco, l’esercito ha smentito la proclamazione dello stato d’emergenza nelle province del Sinai meridionale e di Suez, correggendo: si tratta di stato d’allerta. L’edizione online del
quotidiano Al-Masry Al-Youm ha riferito di una "segnalazione anonima" arrivata ai militari contenente "minacce" di nuovi attacchi se "entro le 12" di oggi l’Esercito non si ritirerà dal Sinai.
Intanto, il nuovo presidente ad interim, il capo della Corte costituzionale egiziana, il giudice Adly Mansour, ha giurato ieri mattina dopo essere stato designato dai militari a succedere a Mohamed Morsi, deposto mercoledì con un golpe militare. "I Fratelli musulmani sono parte della nazione" ha detto Mansour nella sua prima dichiarazione dopo il giuramento, invitandoli a "condividere la costruzione della nazione". Ed ha promesso che lavorerà per un "Paese moderno, costituzionale, nazionale e civile".
I Fratelli Musulmani non hanno però aderito all’appello del neopresidente, hanno dichiarato che non avranno "nessun contatto con l’usurpatore" e hanno invitato la nazione a scendere in piazza oggi per un "venerdì del rifiuto" contro il colpo di Stato dei militari.
Mansour: manifestanti hanno unito il popolo. Nel suo discorso, più volte interrotto dagli applausi, Mansour ha elogiato i giovani e le forze armate, che sono stati la "coscienza" della nazione e i garanti della sicurezza. Ha lodato i manifestanti, che "hanno unito il popolo", aggiungendo che l’Egitto "ha corretto il cammino della sua gloriosa rivoluzione". Ha inoltre espresso il suo apprezzamento per il ruolo dei media e della magistratura, che si è dimostrata "indipendente". Ed ha invocato le elezioni parlamentari come unico modo per ottenere un futuro di libertà e democrazia e ha chiesto ai giovani di "continuare a portare la bandiera della rivoluzione".
Presto sarà nominato anche il premier transitorio, con ogni probabilità l’ex numero uno dell’Aiea Mohamed El Baradei, neo-leader dell’opposizione unificata.
Intanto, l’alleanza che raccoglie i principali partiti liberali e di sinistra in Egitto ha diffuso una dichiarazione in cui si dice contraria all’esclusione dei gruppi politici islamici dalla vita politica del Paese. Al tempo stesso, il Fronte di salvezza nazionale sottolinea che "ciò che sta succedendo in Egitto non è un colpo di stato", ma "una decisione necessaria da parte della leadership delle forze armate a protezione della democrazia e per preservare l’unità del Paese".
Morsi trasferito al ministero della Difesa. Deposto dopo il golpe militare, Morsi è stato trasferito all’alba di ieri al ministero della Difesa, dove è trattenuto in isolamento, mentre tutto il suo staff rimane agli arresti in un edificio militare.
Caccia ai leader della Fratellanza musulmana. L’arresto del primo presidente democraticamente eletto in Egitto rappresenta l’ultima tappa di una serie di misure prese dalle forze armate egiziane, che hanno anche chiesto l’arresto di circa 300 esponenti del movimento dei Fratelli Musulmani: fra loro anche la guida spirituale della Fratellanza, Mohamed Badie, e il suo vice Khairat el Shater. I provvedimenti restrittivi nei loro confronti sono motivati con i reati di ’istigazione alla violenza e disturbo della sicurezza generale dello Stato e della pace’. Anche le emittenti controllate dai Fratelli Musulmani, a cominciare dalla stazione televisiva Misr 25, sono state chiuse d’autorità e le loro trasmissioni oscurate.
I più stretti collaboratori di Morsi, arrestati già l’altro ieri insieme al leader islamista, sono stati portati nel penitenziario speciale di Torah Mahkoum, all’estrema periferia meridionale del Cairo, in cui oltre all’ex presidente Mubarak sono reclusi i suoi figli, Ala e Gamal.
In un’intervista al New York Times, il portavoce della coalizione anti-Morsi, Nobel per la Pace e segretario del partito Dostur (Costituzione), Mohammed El Baradei, ha affermato che la chiusura delle tv vicine a forze islamiche estremiste e l’ondata di ordini di arresto spiccata dalla magistratura egiziana dopo la destituzione del presidente sono stati atti necessari per garantire la sicurezza in Egitto ed evitare ulteriori spargimenti di sangue. Le forze di sicurezza "hanno adottato delle misure precauzionali per evitare violenze. C’era un terremoto e si doveva evitare che le scosse si ripercuotessero sulla sicurezza dei cittadini", ha affermato El Baradei. "Ma nessuno - ha precisato - deve essere imprigionato o arrestato se non c’è un’accusa chiara".
Ma anche le Nazioni Unite esortano l’Egitto a fornire chiarimenti a proposito dei motivi che hanno portato l’arresto dei leader dei Fratelli Musulmani. "E’ fondamentale che le autorità egiziane affrontino questo punto" ha detto l’alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, il quale ha aggiunto che l’Egitto "ha finora fallito nel tentativo di dare concretezza alle richeste dei suoi cittadini e nel costruire una società inclusiva e tollerante, basata sul rispetto dei diritti umani e sul primato della legge".
E dall’Unione Africana giunge la "sospensione dell’Egitto da ogni attività" a seguito del rovesciamento di Morsi. Fonti ufficiali: è politica dell’Ua sospendere gli Stati membri dove si produce un "cambiamento incostituzionale al potere". La misura dura solitamente fino al ristabilimento dell’ordine costituzionale.
Le reazioni all’estero. L’iniziativa dell’esercito, che ha sospeso la Costituzione e nominato Mansour capo di stato provvisorio, ha destato grande preoccupazione all’estero: il presidente degli Stati Uniti ha auspicato un pronto ritorno al potere delle autorità civili, ha chiesto di rivedere gli importanti aiuti militari Usa all’Egitto ed ha ordinato di evacuare l’ambasciata americana al Cairo.
L’Italia. "Guardiamo con grande preoccupazione" all’Egitto e "ovviamente guardiamo con grande fiducia al fatto che l’autodeterminazione del popolo egiziano possa portare rapidamente a delle soluzioni positive" attraverso una "transizione" senza violenze e senza spargimenti di sangue", ha commentato il premier Enrico Letta.
"E’ una situazione in assoluto movimento, la prudenza è la linea migliore che possiamo seguire senza precipitarci in giudizi su situazioni complesse che proprio per questo non si possono ridurre in un tweet", ha detto il ministro degli Esteri, Emma Bonino.
Da parte sua, l’Unione europea ha lanciato un appello per l’organizzazione di nuove elezioni presidenziali nel più breve tempo possibile.
La Gran Bretagna si è detta pronta a riconoscere la nuova amministrazione in Egitto e a collaborare con essa, ha detto il ministro degli Esteri William Hague, ribadendo comunque che serve un rapido ritorno al processo democratico.
Da Berlino, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ritiene che l’intervento militare che ha deposto il presidente egiziano sia "una grande sconfitta per la democrazia in Egitto", auspicando un rapido ritorno alla normalità costituzionale. E lancia al tempo stesso un appello al dialogo e al compromesso politico.
Dura presa di posizione da parte della Turchia: per Ankara la deposizione di Morsi è inaccettabile e si tratta di "un colpo di stato militare", ha detto il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu. E anche il partito al potere in Tunisia, Ennhada, ha condannato il golpe in Egitto definendolo contrario alla legalità.
Anche il segretario generale dell’Onu ha espresso preoccupazione per "l’interferenza militare" nelle questioni dello Stato. "Quindi sarà cruciale rafforzare velocemente il controllo civile in accordo con i principi della democrazia", ha dichiarato un portavoce di Ban ki-Moon.
Il segretario generale della Nato, Ander Fogh Rasmussen, si è detto fortemente preoccupato per gli scontri ed i morti in Egitto: "seguiamo la vicenda da vicino e chiediamo a tutte le parti di rispettare la legge e i diritti e di creare un governo democratico e inclusivo il prima possibile".
ALBERTO STABILE
Per gli uomini di Hosni Mubarak era semplicemente «un agente straniero». Ma neanche gli islamisti sono mai stati teneri con Mohammed El Baradei. Non molti giorni fa, uno di quegli sceicchi agitatori che vantano grandi seguiti, ha detto che per quello che sta facendo contro Mohammed Morsi, ad El Baradei «andrebbe inflitta la pena di morte ». Minacce e veleni non sembrano tuttavia turbare il Nobel egiziano che mercoledì, assieme ad un improvvisato comitato di salute pubblica convocato dai generali, ha avallato con la sua autorevolezza il golpe che ha scalzato dal potere il presidente Morsi.
In quella foto di gruppo con al centro il comandante in capo delle Forze Armate, Abdel Fattah al Sissi, a destra il papa dei copti e a sinistra il Grande Imam dell’Università Al Azhar, c’è la radiografia del nuovo potere egiziano e di questa nuova fase di procellosa transizione. E naturalmente, come ai tempi della rivolta che pose fine al regime di Mubarak, il nome che da più lustro alla scena (con le dovute indiscrezioni sulle sue presunte candidature ai seggi più alti) è quello di El Baradei, con la differenza, rispetto alla primavera del 2011, che stavolta ha svolto un ruolo di assoluto protagonista.
Una definizione che sicuramente non gradirebbe. Troppo laico, e razionale, per cedere al narcisismo dei riflettori. Al contrario, è stata proprio la sua laicità e la fiducia in se stesso che ha permesso a Mohammed El Baradei, diplomatico e uomo di diritto, anzi, di diritti umani, di ricoprire l’incarico di direttore dell’Agenzia atomica internazionale, senza timore di affermare quella che riteneva essere la verità su dossier molto controversi, come le presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, o il programma nucleare iraniano, di fronte ad avversari del calibro di Stati Uniti e Israele.
Anche Mubarak lo aveva in odio, per le sue denunce sulle violazioni dei diritti umani, risalenti al 2003. Così, quando il 24 gennaio del 2011 è esplosa la rivoluzione, El Baradei, nel frattempo rientrato in Egitto dopo molti anni vissuti all’estero, ha trovato il suo posto a Piazza Tahrir. Non c’era nulla di più logico che una sua candidatura alle presidenziali del 2012, ma quel «non ci sono le condizioni», dietro cui si trincerò, voleva dire non c’erano le condizioni perché le elezioni fossero veramente libere e democratiche. Dopo, prese tempo, cercò di dare all’opposizione quella spina dorsale che non aveva mai avuto. Creò il Fronte di salvezza nazionale, diede battaglia a Morsi. Le
antenne sempre sintonizzate sui giovani e sui militari, salutò con soddisfazione la nascita di Tamarod, il movimento che in pochi mesi ha portato venti milioni di egiziani a firmare per le dimissioni del presidente eletto. Non lo ha mai detto esplicitamente, ma sicuramente anche lui deve aver pensato che solo l’intervento delle Forze armate avrebbe permesso di azzerare la situazione e ridare la parola al popolo. La sua presenza al vertice della “road map” o dell’ultimatum, che dir si voglia, ha questo significato.
Non c’è da stupirsi se accanto ad El Baradei, c’era anche, t-shirt bianca e jeans, Mahmud Badr, il ventottenne, deluso dagli esiti della prima rivoluzione, che ha creato dal nulla il movimento Tamarod. «Non ci sono piaciute certe decisioni dei militari prese quando guidavano la transizione — dice — ma credo che l’esercito sia un’istituzione sana». Tornano ad alzare la voce anche i Copti, di papa Tawadros, una minoranza da dieci milioni di persone, sempre in bilico tra speranza e paura. Fra tutti le figure religiose chiamate a suffragare il colpo di mano dei generali, il papa dei copti è stato il più deciso nel dare il proprio appoggio all’ultimatum, forse perché il più deluso dalle finte aperture alla minoranza cristiana di Morsi. La presenza al vertice del Grande Imam di Al Azhar, Ahmed Al Tayeb, dovrebbe rappresentare l’islam moderato (lui stesso fa parte della corrente di pensiero sufi), ma anche un po’ pasticcione nei rapporti col potere terreno. Non era stato forse Al Tayeb nominato da Mubarak?
CORRIERE.IT GLI EFFETTI SULLA BENZINA
L’«effetto Egitto» fa sentire ancora i suoi effetti, almeno sulla rete carburanti nazionale perchè sui mercati sembra essersi già riassorbito. Il fatto è che, ieri, Eni, sull’onda dell’impennata Platts, si era mossa prontamente per aumentare benzina e diesel e oggi, naturalmente, hanno fatto seguito tutti gli altri, con lo stesso importo: +1 cent euro/litro su entrambi i prodotti. A mettere mano ai prezzi raccomandati nell’ordine: IP, Tamoil, TotalErg, Q8 e Shell. Quanto ai prezzi praticati sul territorio, numeri tutti in repentina ascesa. Medie nazionali della benzina e del diesel rispettivamente a 1,823 e 1,722 euro/litro (Gpl a 0,770). Le «punte» adesso sono fino a 1,859 euro/litro per la «verde», 1,741 per il diesel e 0,812 per il Gpl che, di recente, si segnala in pronunciata salita. Più care anche le no-logo.
FINE SETTIMANA - In arrivo dunque un fine settimana più caldo del solito sul fronte del carocarburanti sebbene la situazione dei mercati, come accennato, non sembra per ora volgere al peggio. La situazione più nel dettaglio a livello Paese (sempre in modalità «servito»), secondo quanto risulta in un campione di stazioni di servizio che rappresenta la situazione nazionale per il Servizio Check-Up Prezzi QE, vede il prezzo medio praticato della benzina che va oggi dall’1,805 euro/litro di Eni all’1,823 di Tamoil (no-logo a 1,695). Per il diesel si passa dall’1,707 euro/litro sempre di Eni all’1,722 ancora di Tamoil (no-logo a 1,583). Il gpl infine è tra 0,755 euro/litro di Shell e 0,770 di Eni (no-logo a 0,721). Ricordiamo che per visionare i valori minimi e massimi dei prezzi medi nazionali («serviti») , lo spaccato della situazione nelle 4 macro-aree del Paese e utilizzare la funzione dei grafici interattivi per confronti e analisi personalizzate (temporale, macro-zone e compagnie), occorre accedere a Check-Up Prezzi QE.
5 luglio 2013 | 10:38
CORRIERE.IT
Piazze infiammate in Egitto. Sono in corso grandi manifestazione organizzate dagli islamisti sostenitori del presidente destituito, Mohamed Morsi, nel venerdì della rabbia dei Fratelli Musulmani. Il popolo pro Morsi è sceso in piazza al Cairo e in altre città per urlare la propria ira dopo il golpe che ha portato all’insediamento di Adly Mansour come presidente ad interim. Lo stesso che nel pomeriggio di venerdì ha sciolto il Parlamento e nominato il nuovo capo dell’intelligence. Dal palco di fronte alla folla il numero due della Fratellanza musulmana ha lanciato un messaggio: «A coloro che hanno rovesciato la legittimità diciamo "siate saggi". Rimarremo qui fino a quando Morsi non sarà rilasciato». Presente anche il leader supremo e guida spirituale della frangia pro Morsi, Mohammed Badie.
«PRONTI A MORIRE» - Giovedì si era sparsa la notizia che Badie era stato arrestato. Prontamente smentita da lui stesso: «Non sono in fuga, non mi hanno arrestato», ha urlato alla folla. «A tutti gli egiziani dico: Morsi è il vostro presidente». E rivolgendosi agli elicotteri militari che stavano sorvolando la piazza, Badie ha detto «l’esercito torni agli egiziani. L’esercito deve restare lontano dalla politica e l’Egitto non conoscerà mai più il potere militare. Non possiamo rinunciare a Morsi presidente se non col sacrificio della nostra vita».
SCONTRO TRA LE PIAZZE - Le due immense folle, quella che sostiene Morsi e quella capeggiata dai militari, si stanno preparando a uno scontro. Secondo Al Ahram, il quotidiano filo governativo, ci sono scontri in corso al Cairo sul ponte Ottobre, tra sostenitori e contrari al presidente destituito. Non c’è presenza dell’esercito nella zona e testimoni oculari hanno raccontato di avere visto uomini utilizzare fucili da caccia. Per rafforzare l’iniziativa della piazza avversa a Morsi, il movimento Tamarroud ha emesso un comunicato nel quale chiama alla mobilitazione contro i Fratelli Musulmani. Un linguaggio duro che arriva a definire le azioni della Fratellanza come terroristiche contro «i nostri giovani soldati che difendono i confini della patria». «Rispondiamo all’offensiva del dissolto regime con la mobilitazione permanente per impedire che il nostro esercito venga trascinato in una guerra interna. Per bloccare il piano della Fratellanza scendiamo in piazza a partire da sabato 6 luglio».
PRIMO ATTO DEL NEO PRESIDENTE - Con un decreto Mansour ha sciolto il Parlamento (di fatto solo il Consiglio della Shura, la Camera alta, l’unico ramo rimasto attivo dopo lo scioglimento della Camera ad opera della giunta militare lo scorso anno) guidato dalla maggioranza islamista dei Fratelli musulmani (Partito libertà e giustizia) e dei salafiti (al Nour) e ha nominato il nuovo capo dei servizi segreti Mohamed Ahmed Farid al posto di Mohamed Raafat Shehat, voluto da Morsi. Shehat è stato nominato consigliere del presidente, incarico esclusivamente onorifico.
PRIMI CEDIMENTI - La procura generale, mentre infuriano le manifestazioni nelle città, ha deciso il rilascio di due alti dirigenti dei Fratelli Musulmani, Saad El-Katatni e Rashad al Bayoumi, fra i primi arrestati dopo la destituzione del presidente Morsi.
MORTI ALL’UNIVERSITA’ - Il clima di tensione è alle stelle, tanto che, nella mattinata, alcuni gruppi pro e anti Morsi si sono affrontati a colpi di arma da fuoco vicino all’università del Cairo dove si stavano radunando i supporter dell’ex presidente egiziano: quattro le vittime tra i sostenitori di Morsi. Testimoni hanno accusato i soldati di aver sparato pallini da caccia ad altezza d’uomo, ma l’esercito ha assicurato che i suoi uomini hanno usato solo colpi a salve e lacrimogeni. Un altro morto è segnalato anche nella zona di Luxor, dove, a causa del cambio dell’esecutivo, si sono riaccesi gli scontri tra musulmani e cristiani. I primi hanno dato alle fiamme alcune case della città nell’Egitto del sud.
IN MARCIA - I manifestanti pro-morsi, finora circoscritti a Nasr City, stanno marciando sul quartier generale della tv di Stato, circondata da giorni di carri armati delle forze armate. Nel pomeriggio un altro gruppo si stava preparando a dirigersi verso il quartier generale della Guardia repubblicana al Cairo, dove sarebbe trattenuto l’ormai ex presidente. È quanto si legge sul sito web dei Fratelli musulmani d’Egitto, in cui si precisa che la folla è partita dalla zona del raduno dei sostenitori del movimento nei pressi dell’Università del Cairo, a Giza.
L’ESERCITO - In mattinata almeno una decina di caccia militari hanno sorvolato a bassa quota il Cairo, chiaro gesto intimidatorio dell’esercito. Una dichiarazione della Fratellanza musulmana letta dai sostenitori nei pressi della moschea ha confermato «il rifiuto completo del colpo di stato militare contro un presidente eletto e contro la volontà della nazione»; e annunciato il rifiuto «a partecipare a qualsiasi attività con le autorità usurpanti».
CONDANNA TURCA - Il premier turco Recep Erdogan ha definito «antidemocratica» la deposizione del presidente egiziano Morsi sottolineando che i «colpi di stato sono chiaramente in contrasto con la democrazia». E punta il dito sui Paesi occidentali che «hanno mancato una prova di sincerità» nel non considerare l’intervento dell’esercito egiziano come «un colpo di stato». «Coloro che si affidano alle armi, al potere dei media non possono costruire la democrazia» che nasce solo «dalle urne», ha aggiunto.
L’EGITTO HA SEI MESI DI VITA (da repubblica di oggi)
EUGENIO OCCORSIO
SEI mesi. È la “vita residua” attribuita all’Egitto dalla Merrill Lynch, la più grande banca d’investimenti mondiale. Dopodiché «le posizioni esterne si irrigidiranno considerevolmente e la sostenibilità fiscale finirà sotto una severa pressione», recita l’algido linguaggio finanziario del
report
emesso ieri. In pratica, l’Egitto rischia di non avere più i soldi per pagare i debiti e i fornitori, interni ed esteri. E questo soprattutto per l’inevitabile crisi turistica: gli afflussi sono diminuiti, comunica il ministero del Turismo, del 17,3% nel primo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2012. Anno in cui gli arrivi erano tornati ad avvicinarsi ai 12 milioni (erano oltre 14 milioni nel 2010, crollati del 37% a 9 milioni nel 2011), e questo grazie al fatto che si era riusciti a tenere al riparo le località del Mar Rosso. Tanto che l’allora ministro Hisham Zaazou prometteva all’inizio
dell’anno che si sarebbe tornati entro il 2013 alle quote del 2010. Ma il guaio è che le entrate finanziarie sono crollate molto di più: da 46 miliardi di dollari nel 2010 a
non più di 13 miliardi nel 2012, per via delle offerte sempre più scontate. Scivola così la quota sul Pil (559,8 miliardi nel 2012 per 85 milioni di abitanti), ridotta ormai a un miserrimo 4%. Tanto che Paolo Scaroni, il capo dell’Eni che è il più importante operatore occidentale nel Paese e che ha rimpatriato tutti gli italiani, ha commentato ieri: «Beh, di certo una rivoluzione non è il miglior magnete per attrarre i turisti».
Tutto questo ovviamente potrebbe cambiare, anche rapidamente, in meglio se il nuovo governo
Man-
sour troverà come d’incanto coesione, pace e determinazione per uscire dalla crisi. Ma la Merrill Lynch non lascia spazi all’ottimismo: «Dubitiamo che credibili riforme finanziarie intervengano
in questo periodo, e anche l’accordo con il Fondo Monetario è improbabile che sarà raggiunto». È un accordo, questo, assolutamente fondamentale per il Paese: la pre-intesa da 14,5 miliardi di
dollari in aiuti (dei quali 4,8 li dovrebbe coprire il Fmi direttamente e gli altri le banche con la garanzia del fondo) era stata raggiunta all’inizio dell’anno, e si aspettava per renderla operativa
che venissero varate le riforme promesse da Morsi. È tutto congelato. «Già da qualche settimana il Fondo si era irrigidito sui sussidi alla benzina, che evidentemente fiaccano le finanze pubbliche
e che Morsi non riusciva ad abolire», racconta Giulio Del Magro, capo economista della Sace, la società pubblica italiana per l’assicurazione all’export. «Il Cairo peraltro - tiene a precisare - è un discreto pagatore. Il 1° luglio ha saldato regolarmente con noi la
tranche
da 6,7 milioni di dollari di un vecchio debito con lo Stato italiano, parte di un pagamento complessivo da 600 milioni nei confronti di una serie di creditori occidentali. Così come in gennaio era stata pagata la precedente quota semestrale».
Di fatto però tutti i dati economici dell’Egitto sono da bollettino di guerra (civile). Tranne uno: la Borsa del Cairo ha salutato l’insediamento del presidente
ad interim
con un’imprevista impennata di quasi l’8%, che l’ha riportata sui livelli di due anni fa. Ma anche questa cifra va letta in controluce: i volumi scambiati sono così esigui che basta una minima ventata speculativa a far balzare gli indici. Nella congerie di cifre allarmanti, quella che desta maggiore
preoccupazione è però ancora un’altra: le riserve valutarie sono crollate, secondo la banca centrale, da 36 miliardi di dollari (fine 2010) a 13,5. E questo malgrado il generoso aiuto che lo sceicco del Qatar (8 miliardi di dollari) garantiva a Morsi. Ora, cambiato lo scenario, sembra che il Cairo speri in qualche contributo dagli Emirati e dall’Arabia Saudita, ma il problema sono i tempi: le riserve servono a sostenere il cospicuo debito estero e un’altra banca, la Hsbc, calcola che di qui a fine anno l’Egitto ha bisogno di 33 miliardi per i soli costi finanziari, compreso il rifinanziamento di precedenti aiuti ricevuti dall’Fmi. Intanto Moody’s e S&P, e come pensare che si sarebbero lasciate scappare l’occasione, hanno acceso il faro rosso sul Cairo, già bersagliato di
downgrading
fino al livello di CCC+, a un passo dal minimo. E, per finire, l’Ocse ha peggiorato la sua categoria di rischio a 6/7.
anche lo sceicco Tamim, il nuovo emiro del Qatar - il Paese che promise 21 miliardi di dollari a Morsi per sostenere il suo tentativo - ha già issato la nuova bandiera: congratulazioni al presidente ad interim Mansour.
CORRIERE.IT SUL QATAR
DAVIDE FRATTINI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — L’emiro del Qatar che vuol comprarsi le piramidi, acquisire il controllo del canale di Suez, installare la sua Al Jazeera negli studi della televisione di Stato al Cairo. I rapporti tra il piccolo Paese del Golfo e la più popolosa nazione araba sono stati così stretti fino a mercoledì e alla deposizione di Mohammed Morsi da generare pettegolezzi geopolitici. Subito smentiti come «fantasie». La realtà è l’aiuto economico elargito da Doha in questi dodici mesi: oltre 6 miliardi di euro in prestiti che hanno permesso alla Banca centrale egiziana di restare a galla e la promessa di investirne altri 20 nei prossimi cinque anni. I militari hanno preso il controllo a una settimana dal ricambio al potere in Qatar: a 33 anni lo sceicco Tamim bib Hamad al-Thani si è ritrovato a dover gestire la crisi internazionale più complicata, ricevuta in eredità dal padre che aveva scommesso sul presidente islamista. Il giovane emiro è stato l’ultimo, tra i regnanti del Golfo, a inviare le congratulazioni ad Adli Mansour, il reggente scelto dai generali. Mentre i vicini esultano da Abu Dhabi («l’esercito egiziano ha dimostrato ancora una volta di essere lo scudo e il protettore della nazione») e dall’Arabia Saudita («gli ufficiali hanno garantito che il Paese uscisse da un tunnel imprevedibile»), i giornali di Doha — che esprimono la posizione della monarchia — lanciano avvertimenti: «L’Egitto non è mai stato in una situazione così caotica, ogni gruppo politico o di potere adesso pensa di avere il diritto a governare», scrive il quotidiano Al Sharq . Dal Cairo i soldati rispondono spegnendo Al Jazeera e arrestando cinque suoi giornalisti (quattro sono stati poi rilasciati). L’emittente satellitare è considerata una voce di propaganda pro-Morsi: Yusuf al-Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani, fa base a Doha e diffonde le sue prediche attraverso i programmi del canale. Gli Emirati Arabi invece hanno sempre osteggiato l’influenza dei Fratelli e sono stati loro a dare ospitalità ad Ahmed Shafiq, l’ultimo premier nominato da Hosni Mubarak, fuggito in esilio dopo aver perso le elezioni contro Morsi. Anche i sauditi sorridono nel veder fallire gli investimenti politici del piccolo Qatar che ha provato a far loro concorrenza come potenza diplomatica regionale con una strategia spregiudicata.
Davide Frattini
@dafrattini