Giampaolo Visetti, la Repubblica 5/7/2013, 5 luglio 2013
CINA LA CASA GRANDE COME UNA CITTA’ DOVE NASCERE, VIVERE E MORIRE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Alla Cina della grande urbanizzazione, pronta ad inaugurare la prima metropoli da 80 milioni di abitanti, mancava un record: quello del palazzo più grande del pianeta. L’ha conquistato ieri. A Chengdu, capoluogo del Sichuan, è stato aperto il “New Century Global Centre”, ben più di un edificio vasto 50 mila metri quadrati più dell’aeroporto di Dubai, a cui ha sottratto il primato. Il nuovo colosso di cristallo e cemento, costruito in tre anni, è il primo esperimento della storia di palazzo-città totalmente autosufficiente. Assicura di offrire «tutto ciò che serve ad un uomo per vivere»: dalla sala parto, dove si viene al mondo, al cimitero, luogo usuale del commiato. Tra i due estremi, l’equipaggiamento quotidiano dell’esistenza standard: asilo, scuola, università, casa, uffici, centri commerciali, banche, biblioteche, cinema 3D, strutture sportive, sale congressi, parchi, giardini, ristoranti, hotel, ospedale e case di riposo.
La promessa dei proprietari è lo specchio del desiderio di stupire che anima la nazione decisa a dominare il secolo: «Inaugurare l’era delle strutture da cui non occorre uscire mai per essere felici». A confermare l’illusione, un ufficio distaccato del Comune: in caso d’urgenza sarà possibile sposarsi, grazie ad un romantico ascensore dedicato, ma chi non ce la fa più avrà pure l’opportunità di divorziare, anche nel cuore della notte. Considerato lo smog che incombe sulla Cina, trascorrere la vita chiusi in un edificio, senza mai annusare l’aria che c’è fuori, potrebbe presto rivelarsi una necessità. Non è per ora il caso di Chengdu, gioiello verde preferito dai panda giganti: il “New Century Global Centre” si propone infatti come icona snob dei nuovi ricchi. La piazza centrale è stata riservata al “Mediterranean Village”, una spiaggia artificiale lunga mezzo chilometro, affacciata su una baia con acqua salata, mossa dalla marea su cui galleggia una nave dei pirati non solo per bambini. Uno schermo largo 150 metri e alto 40 riproduce orizzonti virtuali di paradisi reali: un sole elettrico si esibisce per gli abitanti, creando albe digitali, tramonti, oppure cieli tagliati dalle nuvole. Tutti i numeri rispondono all’ossessione del primato, leva del soft-power globale che anima la nuova leadership di Pechino.
Il nuovo condominio è lungo 500 metri, largo 400 e alto 100, la superficie calpestabile misura 1 milione e 760 mila metri quadrati, il giardino 400 mila. Per i maniaci dei confronti: l’Opera House di Sidney è venti volte più piccola e la basilica di San Pietro a Roma non arriva alla miseria di 26 mila metri quadri, praticamente un capitello. Ma nemmeno questo, per la Cina dei miracoli che ambisce a «inventare una nuova società», era sufficiente. Tunnel sotterranei collegano il palazzo al museo interno d’arte contemporanea, progettato dall’archistar anglo- irachena Zaha Hadid, mentre altre strade condominiali conducono a palestre, campo da golf, stadio, piste ciclabili, da skate e da patinaggio, percorsi jogging e ad una serie di ville per chi, costretto a dormire tra 400 mila metri quadri di negozi, potrebbe sentirsi vittima del consumismo.
Teorizzare «una vita completa senza uscire di casa» è un paradosso, per il Paese segnato dalla più impressionante migrazione interna di ogni tempo, capace di spostare dai villaggi alle megalopoli quasi 700 milioni di individui. Per il nuovo nazionalismo rosso, assetato di migranti ma pure attento a considerare criminali i figli che non visitano i genitori almeno due volte al mese, i prodigi dell’edilizia sono però il simbolo patriottico della Cina prossima al sorpasso sugli Usa, come le missioni nello spazio. La propaganda esulta così annunciando il primo hotel groundscraper, organizzato su 19 piani scavati sottoterra, o ricordando che da marzo Changsha, nello Hunan, ha sottratto al “Burj Khalifa” di Dubai il record del grattacielo più alto del pianeta: in soli tre mesi i cinesi hanno eretto lo “Sky City One”, torre da 838 metri, 220 piani e spazio per 30 mila residenti.
Due anni fa, nel Jiangsu, per risparmiare risaie le autorità avevano inventato il «primo villaggio agricolo traslocato dentro un grattacielo»: i duemila contadini di Huaxi, mucche, polli e maiali compresi, erano stati trasferiti in un solo casermone, considerato municipio e dotato di regolare sindaco. Nulla però a che vedere con il “palazzo- mondo” di Chengdu, dotato di una popolazione di 300 mila residenti-consumatori: questo è davvero un tuffo nella società futura, il test estremo della sostenibilità cinese. E nemmeno a Pechino sanno chi si potrà salvare.