Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 05 Venerdì calendario

EGITTO, LA GIOIA DEI COPTI. MA LE VENDETTE SONO INIZIATE

«I Fratelli musulmani si vendicheranno. Siamo entusiasti ma allo stesso tempo preoccupati». A Yussuf ba­stano due aggettivi per descrivere lo stato d’animo di un’intera comunità, quella dei cristiani copti d’Egitto. Lui, che di cognome fa Boules (il nome di Paolo di Tarso) è uno dei tanti cop­ti ortodossi che vivono a Shubra, il quartiere cairota dove più alto è il numero di cristiani. Lo scorso 30 giu­gno ha abbandonato per un attimo la paura di ripercussioni da parte de­gli Ikhwan ed è sceso in piazza Tah­rir, assieme alla sua famiglia.
«Non avevo mai manifestato, nep­pure due anni fa, ai tempi della ca­duta di Mubarak – racconta – ma questa volta era diverso. Dovevamo alzare la voce contro un’idea di Egit­to settario e conflittuale che non ci appartiene. Da oggi si apre una nuo­va pagina. Speriamo e preghiamo che non sia bagnata di sangue come quelle precedenti». Le premesse sembrano esserci già tutte. È notizia di ieri l’assalto alla parrocchia catto­lica di San Giorgio, nel villaggio di Delgia, vicino Minya, circa duecen­to chilometri a sud della capitale. Le violenze sono iniziate nel pomerig­gio di mercoledì, addirittura prima dell’annuncio della deposizione di Mohamed Morsi, da parte di Abdel Fattah al-Sissi. Gruppi di sostenito­ri del presidente uscente hanno pri­ma saccheggiato e poi dato alle fiam­me la casa del parroco e i locali dei gruppi parrocchiali. «Finora non ci sono state vittime, né feriti – la testi­monianza di Botros Fahim Awad Hanna, il vescovo copto cattolico di Minya – ma l’allarme continua». Il villaggio è sotto assedio, sbarrata o­gni via d’accesso. E la polizia locale sembra ormai sotto scacco degli i­slamisti. A Minya, poco distante, i morti sono già almeno tre, due dei quali erano per l’appunto poliziotti. Minacce e intimidazioni contro le comunità cristiane si intensificano nelle ultime ore. Le ore più difficili, dopo la giornata di euforia di mer­coledì notte. «La preoccupazione c’è – spiega Laura Hakim, direttrice del­l’edizione francofona del Watani , il settimanale copto d’Egitto – ma in questo momento sta prevalendo la fiducia nel nuovo corso. Se l’Eserci­to sarà a fianco della gente, come pa­re ormai chiaro, non ci sarà da aver timore. Il generale al-Sissi ha ritar­dato il suo discorso televisivo, nella serata di mercoledì, per permettere ai militari di schierarsi a protezione dei luoghi più sensibili. La situazio­ne è cambiata. Ora non abbiamo più paura».
Per i copti, inoltre, la caduta di Mor­si rappresenta l’occasione per scrol­larsi di dosso lo stigma dei “tradito­ri” del movimento rivoluzionario. Galeotto era stato il voto presiden­ziale dello scorso anno, quando la maggioranza dei cristiani scelse, sia al primo turno che al ballottaggio, il candidato Ahmed Shafiq, ritenuto dai più un residuato dell’era di Mu­barak. «La caduta di Morsi è stata un vero miracolo – dice ancora Laura Hakim – ha unito nuovamente il po­polo di piazza Tahrir. I copti e il re­sto degli egiziani ora vogliono avere fiducia in un futuro migliore, dal punto di vista economico, politico e sociale». «Stiamo dimostrando che siamo un popolo civile – conviene anche il patriarca di Alessandria dei copti cattolici, Ibrahim Isaac Sidrak –, resta il pericolo di sentimenti di vendetta da parte dei sostenitori mi­litanti di Morsi. Noi dobbiamo con­vincerli che nel Paese c’è posto an­che per loro. Ma devono compor­tarsi come un partito politico e non come uno strumento per imporre e­gemonie religiose».