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 2013  luglio 05 Venerdì calendario

QUANDO L’ITALIA È IN VENDITA

Poche cose come il Riso Scotti (già, proprio quello della fortunata pubblicità con l’omonimo Gerry) rappresentano un pezzo della tradizione italiana. Non fosse altro per il fatto che l’azienda è stata fondata nel 1860, proprio mentre Garibaldi risaliva lo stivale e alle testa dei Mille lo unificava. Così il recente passaggio di mano del 25 per cento della proprietà dell’impresa lombarda al colosso industriale spagnolo Ebro Foods sembra un pò uno scherzo del destino. O se vogliamo un segno dei tempi. Il Paese in crisi continua a perdere pezzi del Made in Italy. Una spoliazione cominciata 25 anni fa (Buitoni, Perugina e pure l’Antica gelateria del corso) finirono nelle mani dei francesi della Nestlè. E che ha avuto un’accelerazione dal 2009. Tanto che negli ultimi 4 anni sono sbarcati in mani straniere marchi storici dell’agroalimentare italiano (e non solo) per un fatturato di almeno 10 miliardi di euro. Un processo inarrestabile che ha cancellato la bandiera tricolore da prodotti che volevano dire molto di più che cose da mangiare. Il Buondì, i baci Perugina e l’immancabile Orzobimbo, giusto per citarne qualcuno. Oggi molti di questi compagni della nostra vita parlano russo, francese e persino cinese. Come nel caso del vino Chianti: da alcune settimane, un imprenditore della farmaceutica di Hong Kong ha acquistato per la prima volta un’azienda vitivinicola agricola nel Chianti, terra simbolo della Toscana per la produzione di vino. Si tratta dell’azienda agricola Casanova - La Ripintura, a Greve, nel cuore della Docg del Gallo Nero.
SPUMANTI E SALUMI
Tuttavia i casi similari sono ormai moltissimi. Fondi di investimento, banche, fondi sovrani: basta presentarsi dall’estero coi soldi in mano e l’affare va in porto. Da un bel po’ parlano straniero gli spumanti Gancia, i salumi Fiorucci, la Parmalat e la Star. Sul fenomeno dell’emigrazione dei marchi Coldiretti ci ha fatto un dossier intitolandolo significativamente «Lo scaffale del Made in Italy che non c’è più». Uno studio connotato da molta preoccupazione perché, si legge tra l’altro, che «il passaggio di proprietà ha spesso significato svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero». Uno scenario apocalittico. Il fenomeno, però, pare inarrestabile.
La scorsa settimana la multinazionale del lusso Lvmh (Luis Vuitton) ha acquisito una partecipazione di maggioranza nel capitale sociale della Confetteria Cova che gestisce la storica pasticceria milanese di Via Montenapoleone. Certo, ogni tanto accade anche il contrario. Con gli italiani che diventano colonizzatori oltre frontiera.
LA TENDENZA
Ma per una Luxottica che compra l’americana Ray-Ban, c’è un Bulgari che viene ceduta alla Luis Vuitton seguendo il destino di Gucci e Pomellato che, invece, sono sotto il controllo di Kering. Tanto per restare in tema Lvmh ricordiamo che, oltre che di Bulgari, la holding è proprietaria anche di altri brand importanti come Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi. Collezionare Made in Italy è un affare molto redditizio, d’altronde. Unilever, multinazionale anglo-olandese proprietaria è proprietaria di Algida, dell’olio d’oliva Bertolli, delle confetture Santa Rosa e del riso Flora. E proseguendo l’analisi, la francese Lactalis controlla la Parmalat, i marchi Galbani e Invernizzi e Cademartori. Mentre la Nestlé è proprietaria di Buitoni, Sanpellegrino, Perugina, Motta, l’Antica Gelateria del Corso e la Valle degli Orti.
I CONSUMATORI
Secondo Coldiretti, l’ingresso degli investitori stranieri non è troppo ben visto dai consumatori. Almeno a tavola. Più di otto italiani su dieci (l’82%) cercano di riempire il carrello della spesa con prodotti italiani al cento per cento e fra questi il 53% li preferisce anche se deve pagare qualche cosa in più. La speranza che si inverta la tendenza e che siano gli italiani ad andare a caccia di marchi stranieri è affidata alle conclusioni di uno studio degli esperti di K Finance. Dopo diversi mesi di difficoltà gli affari, nel mercato delle acquisizioni e delle fusioni dei marchi d’azienda, sembrano pronti a ripartire. Ed è il settore alimentare a condurre le danze. Nella dettagliata indagine la società di consulenza assicura che dopo una fase che ha visto le aziende italiane prede di investitori esteri «torna la voglia di fare acquisizioni all’estero».