VARIE 4/7/2013, 4 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PUNTO SULLA SITUAZIONE POLITICA
ARTICOLI PRESI DA REPUBBLICA (E CORRIERE) DI OGGI
LA RIUNIONE IERI A MONTECITORIO DEI DEPUTATI PDL
CARMELO LOPAPA
ROMA
— Il fuoco alle polveri lo accende Raffaele Fitto. «Vorrei sapere dove sta andando questo partito e per fare cosa», sbotta dopo aver fulminato con lo sguardo il capogruppo Renato Brunetta che aveva esordito con un perentorio: «Non si parla per più di tre minuti a testa». I minuti alla fine saranno 180, per una scoppiettante riunione di gruppo Pdl a Montecitorio che per i 97 deputati diventa una seduta a metà strada tra la psicanalisi collettiva e la resa dei conti tra falchi e colombe. Tutto congelato, alla fine, e rinviato a un secondo tempo in notturna martedì prossimo. Fibrillazioni di un partito in attesa di essere liquidato e rifondato dall’unico
leader, Silvio Berlusconi, rimasto ad Arcore, per nulla interessato agli scontri interni
romani.
Al centro del tutti contro tutti anche il caso Santanché. Elezione alla vicepresidenza della Camera con molta probabilità rinviata a settembre. Intanto infuria il dibattito interno. Lei è presente, ascolta, non interviene mai. Da Galan alla Polverini, in tanti sostengono che bisognava insistere, pretendere l’elezione della “pasionaria” subito e non concedere alcun rinvio a beneficio del Pd. Sono gli stessi che nutrono più di un dubbio sull’opportunità di portare avanti il governo. È presente Alfano, ascolta piuttosto perplesso. Fitto infierisce: «Basta accettare a scatola chiusa i provvedimenti di questo governo, andrebbero discussi magari prima che arrivino in Consiglio dei ministri, anziché trovarci con decisioni già prese». E il vicepremier ribatte parlando di carattere «senza precedenti» della coalizione e della necessità di «avvitare i bulloni» della macchina, semmai. Quanto a Forza Italia, «è solo Berlusconi a decidere» quando si farà. Poi prende la parola Gaetano Quagliariello, rintuzzato il giorno prima da molti, tra i quali Bondi, per la sua uscita sulla necessità di anticipare i tempi della riforma elettorale. Se la prende col fuoco amico del partito. «È una questione di mancanza di luoghi di confronto » aveva detto poco prima la Prestigiacomo. «No, è una questione di stronzi» stronca lui con chiaro riferimento a Bondi. Poi si parla di Forza Italia ed è il caos. La Polverini chiede più chiarezza ai vertici: nessuno ci dà indicazioni precise su cosa fare, abbiamo saputo che c’erano le manifestazioni di piazza Farnese con Ferrara e di Arcore per esprimere solidarietà al presidente Berlusconi, ma nessuno ci ha informati e chiesto di partecipare, così non va. Così anche Saverio Romano: «Siamo entrati in questo partito per diventare il Ppe italiano e invece... si torna a Forza Italia». Poi Cicchitto, contrario al partito “calato dal-l’alto”, chiede anzi un partito più radicato, meno manager e più idee, insomma. E poi, «anziché piazze come quella di Arcore, meglio una grande manifestazione organizzata in difesa del leader».
Ma a luglio, diranno poi tutti usciti da lì, non se ne parla.
Capezzone quasi sbotta: «Qui ognuno pensa ai fatti propri mentre abbiamo un leader che da qui a pochi mesi rischia di essere spazzato via da una sentenza». Tra falchi e colombe c’è chi prende una posizione «terza». Tra i pochi, Mariastella Gelmini: «Non cadiamo nell’errore del Pd, che è in congresso permanente, questa
contrapposizione interna ci fa solo perdere consensi». Come se non bastasse, Galan tira fuori la sua proposta in difesa delle coppie omosessuali e scoppia quasi il parapiglia con Romano, «ma noi siamo il partito dei moderati, non si può». E via altre scintille. Dopo tre ore può calare il sipario, ma è solo il primo tempo, la settimana prossima si ricomincia.
L’INCONTRO DI GRILLO CON NAPOLITANO
TOMMASO CIRIACO
ROMA
— Il Quirinale è pronto a incontrare Beppe Grillo. E con il leader potrebbe salire al Colle anche Gianroberto Casaleggio. Un comunicato della Presidenza della Repubblica accende i riflettori sull’atteso faccia a faccia. Che, salvo imprevisti, dovrebbe tenersi già domattina alle 11. E che sarà utile al Fondatore per reclamare lo scioglimento delle Camere e il ritorno alle urne. I paletti fissati da Giorgio Napolitano nei confronti della delegazione pentastellata sono due: non sarà un incontro “privato”, come chiesto da Grillo, è il primo; mentre il secondo stabilisce che «potranno partecipare anche altre personalità purché ne siano chiariti i titoli e le funzioni nell’ambito del Movimento». Se Casaleggio volesse prendere parte alla riunione, insomma, resterebbe solo il problema di chiarire il ruolo del guru.
Di certo, al Colle saliranno i capigruppo del M5S. Grillo invece tentenna, perché la data annunciata dalla Presidenza non gli è gradita. Stanco per il recente sforzo elettorale, il leader si apprestava a trascorrere alcuni giorni di vacanza in Sardegna. Il comunicato del Colle l’ha colto con le valigie in mano e per questo ha provato a far slittare l’incontro.
Difficilmente, però, il Colle posticiperà l’udienza. In fondo, a chiederla era stato martedì proprio Grillo con un post. Procedura per nulla ortodossa e bocciata dal Quirinale. Per questo, è stato
necessario inoltrare formale richiesta. Una pratica, spiegano dal movimento, sbrigata dallo staff del Fondatore. Che, sovente, si appoggia proprio alla Casaleggio.
La risposta quirinalizia è stata chiara. Ed ha escluso ipotesi diverse da quelle previste dalla prassi: «Gentile dottore, in relazione alla richiesta da lei formulata ieri a nome del leader del M5S di un incontro “privato” con il Presidente, devo precisarle che tale incontro non potrà caratterizzarsi come tale, come avviene in tutti i casi in cui il Capo dello Stato incontra delegazioni di forze politiche rappresentate in Parlamento».
Un altro indizio svela poi il peso “politico” del guru. Pare infatti che i colloqui informali per ragionare su date alternative siano stati portati avanti da Filippo Pittarello, uomo della Casaleggio associati. Grillo, in ogni caso, è consapevole che “dare buca” al Quirinale rappresenterebbe uno sgarbo. E difficilmente diserterà.
I suoi parlamentari, intanto, sperano di incontrare il Fondatore già oggi a Roma. Alla Camera, infatti, è in programma l’atteso “Restitution day”. Sventoleranno davanti Montecitorio un mega assegno da un milione e 567 mila euro. Nonostante i malumori.
Come quelli di Alessio Tacconi, che non ha ancora inoltrato il bonifico per restituire i soldi eccedenti. E, pare, come quelli di un altro deputato. Il nome è top secret, ma anche lui in queste ore avrebbe espresso dubbi sulla restituzione. Senza contare che al Senato il senatore Lorenzo Battista mostra crescenti segni di insofferenza. La senatrice Elena Fattori, intanto, smentisce di aver assunto posizioni «vivisezioniste ».
Grillo, intanto, lascia intendere quale sarà un altro terreno di battaglia politica. Chiede di ridurre le scorte ai politici e aggiunge: «Si otterrebbero tre benefici:
risparmiare 250 milioni di euro all’anno, liberare 4 mila agenti per l’ordine pubblico e i domiciliari senza sentenza per i politici scortati». Perché, provoca, «non li vedremmo più in giro».
La missione romana di Grillo, comunque, interromperà solo per un po’ la vacanza del Fondatore. Che servirà anche a preparare il tour mondiale di spettacoli. Il ritorno sul palcoscenico lo terrà lontano per diversi mesi dall’Italia. E preoccupa molti dei “dissidenti”. Perché se va via Beppe, è il timore sussurrato, al timone rischia di restare solo Casaleggio.
L’INCONTRO SLITTA A MERCOLEDI PROSSIMO (REPUBBLICA.IT)
ROMA - L’incontro tra Giorgio Napolitano e la delegazione M5S guidata da Beppe Grillo, prevista per domani alle 11, slitterà a mercoledì prossimo, ma ci sarà. Il sì del Quirinale all’incontro non sembra aver placato la polemica di Grillo nei confronti di Napolitano: "Il Parlamento è una scatola di tonno vuota", attacca il leader M5S.
"Il Consiglio supremo della difesa presieduto da Napolitano si è riunito in tutta fretta non per tutelare i confini della patria, per una guerra in corso o per accertare la presenza di spie nel paese. Si è riunito per dichiarare guerra al Parlamento. Ha avvertito i parlamentari che non hanno alcun diritto di veto sui programmi di ammodernamento delle forze armate e quindi che sugli F35 deve decidere il governo". Quindi - conclude - è "un Consiglio dei ministri con Napolitano a capotavola al posto di Letta", che "bombarda il Parlamento".
Sul blog Grillo ricostruisce tutta la vicenda degli aerei caccia bombardieri spiegando che "il Parlamento aveva posto il veto su nuovi F35 in assenza dell’approvazione delle Camere. Aerei da guerra rifiutati da molte nazioni per la loro inaffidabilità e dal costo di svariate decine di miliardi. Questo rifiuto non s’aveva da fare. E’ un delitto di lesa maestà, di lesa americanità. Come si permettono i deputati? come bloccare quindi la decisione del Parlamento?".
"Dal cilindro - aggiunge - è spuntato il Consiglio supremo di difesa, organo di rilievo costituzionale presieduto dal Presidente della Repubblica. Il consiglio si è riunito in tutta fretta non per tutelare i confini della patria, per una guerra in corso o per accertare la presenza di spie nel paese. Si è riunito per dichiarare guerra al Parlamento".
E prosegue. "Il consiglio è presieduto da Napolitano e formato da: presidente del consiglio dei ministri (con funzioni di vicepresidente): capitan Findus Letta; ministro degli Esteri: Bonino; ministro dell’Interno: Alfano; ministro dell’Economia e delle Finanze: Saccomanni; ministro della Difesa: Mauro; ministro dello sviluppo Economico: Zanonato; capo di stato maggiore della Difesa; Luigi Binelli Mantelli; altre personalità possono essere invitate. Il consiglio si riunisce due volte all’anno ed è convocato dal Presidente della Repubblica, anche dietro richiesta del presidente del Consiglio dei ministri, ogniqualvolta ne ravvisino la necessità (e questa volta era necessario!). In pratica è un consiglio dei ministri con Napolitano a capotavola al posto di Letta".
L’incontro. La decisione sull’incontro arriva dopo le tensioni di ieri, con l’attacco di Grillo al Quirinale e la richiesta di un incontro privato. Richiesta alla quale Napolitano ha risposto a stretto giro, fissando un appuntamento per la mattinata di venerdì, ma in forma pubblica e ufficiale. A quel punto il passo indietro del leader M5S "per impegni privati", al quale era però seguita un’apertura dei gruppi parlamentari grillini ad accettare comunque l’invito del Presidente. Poi, questa mattina, l’accordo.
Della delegazione M5S per l’incontro con Napolitano faranno parte, oltre che Grillo, i due capigruppo Riccardo Nuti e Nicola Morra. Lo ha precisato proprio Nuti ai microfoni di Sky Tg24, chiarendo un altro punto: Gianroberto Casaleggio non ci sarà. Decade quindi, almeno per il momento, anche ogni speculazione sul "ruolo" con cui Casaleggio sarebbe stato presentato al capo dello Stato, ripensando al passaggio della lettera del Quirinale in cui si parla di incontro con "personalità" dai "titoli e funzioni" chiare nell’ambito del movimento.
IL RESTITUTION DAY DI GRILLO (REPUBBLICA.IT)
ROMA - I ’grillini’ lo chiamano "Restitution day": è il giorno in cui i parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno restituito allo Stato un milione e 570mila euro.
E’ questa la parte non spesa di diaria e indennità di ciascun deputato e senatore. Lo ha annunciato il capogruppo M5S alla Camera Riccardo Nuti nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio. Un annuncio accolto dall’applauso dei grillini presenti nell’auletta dei gruppi. Un momento attesissimo, dopo le tante polemiche sul tema anche all’interno del MoVimento.
Il mega assegno di 1.569.951,48 euro, destinazione fondo di ammortamento del debito pubblico, è stato poi srotolato dai parlamentari 5 Stelle usciti in piazza Montecitorio sventolando anche i singoli assegni (finti). Davanti a loro una schiera di fotografi e operatori tv. Poche decine, invece, le persone in piazza.
"Dopo i 42 milioni di euro dei rimborsi elettorali, il M5S restituisce oltre un milione e mezzo di euro, versati nel fondo di ammortamento del debito pubblico, risparmiati in appena due mesi e mezzo di legislatura. Se i partiti facessero lo stesso si risparmierebbero 40 milioni l’anno", ha scritto Beppe Grillo sul suo blog. "I deputati hanno restituito 1.061.455 di euro, i senatori 508.495 di euro. In tutto i gruppi parlamentari del M5S hanno restituito allo Stato 1.569.951,48 di euro. I partiti a fine luglio prenderanno un’altra rata dei rimborsi elettorali di 90 milioni di euro. Non annunci, non rinvii. Sono i fatti del Movimento 5 Stelle".
Durante la conferenza stampa Nuti, poi, ha spiegato: "Questo dimostra come si possa fare politica anche con un rimborso più limitato. E’ un gesto per far vedere che anche altri gruppi parlamentari possono farlo. Avere le idee non ha un costo. Questo è un inizio". "Il nostro è un esempio - ha continuato Nuti - se tutti gli altri gruppi parlamentari facessero come noi si risparmierebbero 40 milioni di euro. Noi abbiamo rinunciato a 42 milioni di rimborsi elettorali, i partiti a fine luglio prenderanno un’altra rata di 90 milioni".
"Avere delle idee - ha detto ancora il portavoce dei deputati stellati - non ha prezzo. Mentre ci sono persone che si suicidano nel paese perché perdono o non trovano lavoro, è fondamentale che la politica si riavvicini ai cittadini".
"Per me è emozionante oggi, dopo tre mesi in cui siamo stati tutti accusati" di non voler restituire le diarie "dimostrare che il Movimento quando dice qualsiasi cosa, la mantiene", ha detto Laura Bottici, questore 5 Stelle del Senato. "Restitution day è giorno del giudizio per vecchia politica che continua ad incassare soldi pubblici. Il M5S mantiene la parola" ha scritto in un tweet, il deputato del Movimento Riccardo Fraccaro, segretario dell’ufficio di presidenza della Camera.
"I soldi alla politica fanno male. Se li togli diventa una cosa bellissima", ha incalzato il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, che ha aggiunto: "400 milioni di euro l’anno per i vitalizi, 200 mila stanziati per il circolo della Camera, 260 mila euro all’Unione interparlamentare. Questi sono solo alcuni dei numeri del dossier che abbiamo preparato sui costi del Parlamento. "Ci attendiamo azioni concrete e non spot, anche da parte del Quirinale", ha continuato Di Maio annunciando che la delegazione grillina in visita mercoledì prossimo al Quirinale chiederà anche al Presidente della Repubblica di tagliare le spese del Colle. "Lo diciamo da sempre - ha spiegato- che il Quirinale costa troppo, così come la Camera e il Senato".
IL CONVEGNO "FARE IL PD"
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA
— Non bisogna dare l’idea che il governo e quindi Enrico Letta si schieri apertamente contro Renzi. Perciò Dario Franceschini, ministro dei Rapporti con il Parlamento, mette le mani avanti: «Non deve nascere un’alleanza contro il sindaco di Firenze. Matteo è la grande risorsa del Pd, non possiamo fare regole contro di lui e contro nessun altro. Dobbiamo discuterne assieme». Però Franceschini sarà presente alla riunione dei big che si vedono oggi a Roma. Ci saranno anche Bersani, D’Alema, Fioroni. E il segretario Guglielmo Epifani, che molti vorrebbero confermato nel suo incarico anche dopo il congresso. Una soluzione di tregua. Ma non solo la tregua non c’è. La riunione organizzata dai bersaniani D’Attorre, Fassina e Martina potrebbe invece segnare la netta spaccatura del Pd: da una parte i dirigenti di peso (soprattutto di matrice diessina), dall’altra Renzi e i renziani. Con tutta la componente che viene dalla Margherita in subbuglio.
Insomma, oggi dovrebbero diventare più chiari gli schieramenti in campo. D’Attorre ha invitato tutte le anime democratiche al convegno. Ieri ha insistito fino all’ultimo per reclutare almeno un renziano e dare un messaggio di apertura. Niente da fare. A questo punto diventa anche interesse della corrente di Renzi marcare i confini e alzare il muro. Il sindaco non è solo. Sente innanzitutto di avere dalla sua parte gli amministratori locali. Sono pronti a mobilitarsi in tanti nel caso di un sì alla candidatura per la segreteria. E Walter
Veltroni ha scelto la stessa strada di Renzi: non partecipare all’appuntamento di oggi. Il suo antico collaboratore Goffredo Bettini conferma la distanza abissale da quello che già alcuni chiamano “correntone” dei big: «Di tutto abbiamo bisogno tranne che di una “santa alleanza” contro Renzi. È la nostra vera e unica risorsa per dare un governo democratico
all’Italia». In questo caso il termine “risorsa” viene usato con convinzione e con una buona dose di speranza. Parole che vengono accolte con favore dai renziani. Anche se Bettini, che martedì presenterà un suo documento congressuale e da tempo medita su una candidatura diretta, chiede al sindaco di non insistere sulla coincidenza
tra segretario e candidato premier. «Il primo dovrà rivoltare come un calzino il Partito democratico. Sono due ruoli diversi».
È l’inizio di un conflitto senza esclusione di colpi? I renziani denunciano una manovra per fermare il loro leader. Manovra suicida se è vero, come sottolinea il sondaggio rilanciato dal Tg3, che Renzi risulta il leader con il più alto indice di popolarità. «Renzi è in crescita e abbondantemente in testa. Questa è la migliore risposta agli attacchi che gli vengono rivolti», dice il deputato Michele Anzaldi. «Il 57 per cento degli italiani ha fiducia in lui. Si tratta di un gradimento che cresce e rimane sopra al 50 per cento oramai da mesi. Di fronte a dati del genere, coloro che ogni giorno rivolgono attacchi a Renzi, in particolare dal Pd, farebbero bene a riflettere».
Tocca a Epifani mediare in questa fase ed evitare lo scontro finale. Tanto più se dovesse diventare l’unica carta da giocare per non arrivare alla catastrofe democratica, forse attraverso la conferma alla segreteria. Naturalmente l’ex numero uno della Cgil potrebbe avere un senso solo con un accordo tra tutte le componenti del Pd, renziani compresi s’intende. Anche oggi al convegno di “Fare il Pd” il suo compito sarà quello del mediatore, di chi deve scongiurare la frattura definitiva del partito, già provato dall’esito elettorale e dalle larghe intese. E conferma: «Il congresso si terrà entro l’anno, ma non si possono cambiare le regole ogni anno. Il nuovo segretario non sarà automaticamente anche il candidato premier».
TOMMASO LABATE SUL CORRIERE
ROMA — Ieri l’altro è stato il giorno dell’amarezza, l’ora della tentazione «mai così forte» di «non candidarmi». Ieri, invece, Matteo Renzi s’è goduto in silenzio il sondaggio del Tg3 che lo dà sempre in cima all’indice di gradimento dei politici e ha scatenato i suoi. «D’Alema, Bersani, Letta e Franceschini. Il Pd s’è ricompattato in un correntone unico contro Renzi», ha messo a verbale il deputato Angelo Rughetti. Una lista alla quale il suo collega Davide Faraone ha aggiunto il nome di Fabrizio Barca.
Ma non sono solo i renziani. Anche Goffredo Bettini, eminenza grigia del primo Pd veltroniano, s’è schierato col sindaco di Firenze. «Di tutto abbiamo bisogno tranne che di una santa alleanza contro di lui». Perché Renzi, aggiunge, «è la nostra unica risorsa per dare un governo democratico all’Italia e sconfiggere Berlusconi».
Bettini è pronto a presentare un documento in cui metterà in fila tutti questi pensieri. E in cui darà forma anche alla convinzione che Renzi non debba insistere «nel chiedere la coincidenza obbligatoria tra la figura del segretario e quella del candidato premier» .
Il clima da guerra fredda che si respira all’interno del Pd ha già prodotto il posizionamento sulla scacchiera di tutti i big. Dario Franceschini, per esempio, ha scritto una nota per negare l’esistenza «di un correntone o di una santa alleanza contro Renzi». Tra l’altro, «Matteo è la nostra principale risorsa e con lui bisogna discutere le regole e il percorso congressuale».
Il riferimento principale di tutti, dei renziani che attaccano e di Franceschini che difende, è alla riunione dell’area bersaniana «Fare il Pd» in programma oggi. La stessa in cui Stefano Fassina potrebbe mostrare le prime carte congressuali, tra l’altro di fronte a una sfilata di pezzi da novanta. Da D’Alema a Bersani, da Franceschini a Fioroni. I bersaniani negano che si tratti di una riunione di corrente. E infatti due dei fedelissimi dell’ex leader — Alfredo D’Attorre e Davide Zoggia — hanno tentato di convincere la giovane renziana Maria Elena Boschi a partecipare. Invano, pare.
Certo, le regole e i tempi del congresso. Eppure, dentro il Pd, c’è chi s’affatica per trovare un filo conduttore. «Sta succedendo qualcosa di strano. Non penso che il nemico di Renzi sia il Pd», sussurra il franceschiniano Antonello Giacomelli. «Pure lo scontro con Betori... Queste sono cose che lasceranno un segno», è l’osservazione di Beppe Fioroni. Anche tra i sostenitori del sindaco di Firenze c’è chi compulsa con sempre maggiore attenzione il fuoco di fila contro il «rottamatore» che arriva dal Pdl. Un coro a cui s’è aggiunta anche l’ironia di Pier Silvio Berlusconi: «Renzi lo farei entrare a Mediaset come conduttore. Ma la domanda è con o senza giubbotto di pelle?». Ironia che per il deputato Michele Anzaldi è l’ennesima prova «degli attacchi del Pdl contro Renzi».
La sensazione generale è che tutta la corsa che riguarda il futuro del Pd potrebbe cambiare all’improvviso. Anche perché se il sindaco di Firenze decidesse di rinunciare alla candidatura, è la scommessa di tanti, in campo tornerebbe l’unico papabile che finora s’è chiamato fuori. E cioè Guglielmo Epifani. Che adesso è il più solido alleato di Enrico Letta e che ieri, non a caso, ha stemperato le tensioni attuali spostando l’asticella in autunno: «Per il governo ci saranno due passaggi decisivi: la manovra di bilancio e la sentenza definitiva per Berlusconi». Il fatto che il segretario, tra i problemi di Palazzo Chigi, non citi le beghe di casa Pd («Congresso nel 2013, segretario non candidato premier»), ha molto a che vedere col messaggio in codice che D’Alema ha mandato giorni fa al sindaco di Firenze. Messaggio affidato al renziano Nardella: «Qua stiamo cercando un segretario. Ma non permetteremo a nessuno di mettere a rischio il governo. A nessuno...»
Tommaso Labate
CRONACA DELLA RIUNIONE DI OGGI (REPUBBLICA.IT)
ROMA - Non c’è Matteo Renzi al convegno di Fare il Pd, il documento presentato dai bersaniani in vista del congresso. Un appuntamento che ha richiamato esponenti e big di molte altre correnti, ma nessuno dei fedelissimi del ’rottamatore’. E’ assente anche Walter Veltroni, sempre più distante dal ’correntone’ e contrario a qualsiasi forma di alleanza contro Renzi. Ci sono gli altri: Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani. , Massimo D’Alema, Beppe Fioroni, Dario Franceschini, Gianni Cuperlo e per i lettiani Marco Meloni e Alessia Mosca tra gli altri.
Botta e risposta Renzi-D’Alema. Un’assenza, quella del sindaco di Firenze, che si attira una ’bacchettata’ di D’Alema. "Non nasce nessun correntone - dice, prima di andare via - . Questa è un’idiozia che non so chi abbia scritto". E smentisce di aderire a un’union sacrèe anti-Renzi. Il sindaco di Firenze, aggiunge, "gioca un pò a fare la vittima. Secondo me sbaglia- aggiunge D’Alema- dovrebbe essere qui". E ai microfoni di repubblica dice: "Il candidato premier del centro sinistra sarà scelto dalle primarie del centro sinistra quando ci saranno le elezioni". Al tg5 Renzi replica: "Non credo di dover chiedere il permesso a Massimo D’Alema per candidarmi". "C’è un’Italia fuori che vuole sapere che cosa vuole fare il Pd", aggiunge: "io vorrei che il Pd non fosse fatto di correnti ma di idee, basta con le correnti". Parlando dei colleghi di partito il sindaco di Firenze attacca: "Che questi signori così importanti e autorevoli passino un pomeriggio a parlare di Renzi, mi dispiace per loro. Mi sento spaesato. Anziché parlare delle mie mosse, si dessero loro una mossa". E ancora: "Vorrei un paese che decidesse. Non possiamo continuare a rinviare", ma incoraggia il governo Letta: "Da italiano faccio il tifo per Enrico, se il presidente del consiglio fa bene l’Italia sta meglio. Io non sono uno di quelli che gioca al ’mors tua vita mea’. Speriamo che letta vada avanti e faccia le cose per bene".
Franceschini. Tensioni nel partito che spingono Franceschini a parlare del rischio ex Dc contro ex Pci. "In questi mesi siamo passati a riconoscerci non più come ex Margherita ed ex Ds - attacca - . Siamo passati a riconoscerci addirittura come comunisti e democristiani. Attenzione: è pericoloso. Non possiamo metterci per quattro o cinque mesi in un clima di lacerazioni. Deve prevalere uno spirito basato su due punti, il primo dei quali è difendere il mescolamento che è l’antidoto a quel rischio che c’è, se non vogliamo essere ipocriti". Franceschini ha auspicato che vi sia un incontro tra Epifani e Renzi sulle regole del congresso. Renzi "venga a discutere apertamente - e non via intervista e retroscena - di cosa pensa che siano le regole".
Bersani. La concordia interna dei democratici non sembra arrivata al punto di sciogliere il gelo che ancora divide gli ex Ds. Una stoccata arriva anche dall’ex segretario del partito Bersani. Chiede al Pd di pensare ai contenuti e smetterla di perdersi in chiacchiericcio con il rischio di "farci compatire". "Nel congresso ci si deve confrontare senza tirar su bandierine - dice - . Tutti quanti, come comunità, nessuno escluso, cerchiamo di dirci di cosa dobbiamo discutere. Nessuno può chiamarsi fuori se vuole far parte della squadra e della comunità". E ancora: "I partiti non sono protesi, non sono salmerie dei leader".
Fioroni. Poco dopo interviene Beppe Fioroni che mette in guardia da regole che che cerca di blindare Letta: "Non credo che ci siano regole a favore di qualcuno, ma entreremmo nel Guinness dei primati, perché non ha precedenti nella storia che un partito che guida con un proprio uomo il governo, se si scrivessero regole che vanno bene a tutti meno che al proprio presidente del Consiglio",
Il renziano passa per caso. Assenti, come previsto, i renziani. Tutti tranne uno, in sala solo per sbaglio. E’ Giacomo D’Arrigo, già coordinatore dei giovani Anci. "Avevo lasciato la borsa al piano di sotto, poi ho visto tutta questa gente che saliva e mi sono accodato per curiosità: ma cosa c’è qui?", ha chiesto entrando nella sala riunioni al terzo piano della sede Pd. Appena il tempo di recuperare la borsa galeotta, capire dove era finito, e D’Arrigo ha girato i tacchi: "Sei testimone, sto andando via", ha puntualizzato al cronista lasciando la sala.
Fassina. "Le regole sono importanti ma abbiamo bisogno di condividere un minimo di fiducia. Se non ci fidiamo un minimo è difficile che riusciamo a stare insieme. Abbiamo un segretario che garantisce tutti, che nessuno vuole fregare nessuno. "Bisogna partire dai contenuti politici del congresso e non dalle scorciatoie mediatiche e personalistiche che ce lo farebbero sprecare", ha detto Alfredo d’Attorre all’inizio della riunione.
I rappresentanti del governo. Nell’affollata sala delle conferenze al Nazareno, ci sono il ministro dei Rapporti con il parlamento Franceschini, dello Sviluppo economico Flavio Zanonato e dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Tra il pubblico anche i sottosegretari all’Editoria Giovanni Legnini e alla giustizia Giuseppe Berretta. Al tavolo dei relatori invece il viceministro all’Economia Stefano Fassina, mentre tra i promotori dell’iniziativa. Assistono al dibattito anche i capigruppo del Pd in Senato, Luigi Zanda, e alla Camera, Roberto Speranza.
PRESENTAZIONE SUL CORRIERE DELLA SERA DELLA VERIFICA DI MAGGIORANZA
ROMA — Non sarà una verifica, parola vecchia e desueta, ma non sarà nemmeno una passeggiata. Per Palazzo Chigi la riunione di oggi, il vertice di maggioranza convocato di prima mattina, provocato dalle dichiarazioni di Mario Monti, sarà utile, proficuo per un chiarimento tanto necessario quanto inevitabile, dunque positivo. Eppure dentro il Pdl, come dentro Scelta civica, la vedono diversamente.
La presenza del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, accanto al premier, ricorderà ai capigruppo dei tre partiti i vincoli di bilancio e le difficoltà che il Paese deve ancora affrontare, nonostante la notizia arrivata ieri da Bruxelles, quel sì alla flessibilità nella valutazione del nostro deficit, entro la soglia del 3%, che era attesa da Roma come da altri Paesi che sono usciti dalla procedura di infrazione. Notizia positiva, foriera di spiragli di investimento, nel prossimo anno, che non devono però essere sopravvalutati.
Enrico Letta invece cercherà soprattutto di chiudere un accordo sui lavori parlamentari, vista la mole di provvedimenti e decreti che dovranno essere esaminati nelle prossime settimane da Camera e Senato. Un accordo sui tempi, ma anche sui contenuti, visto che non poche misure rischiano di essere modificate, e in peggio, a giudizio dell’esecutivo. E ovviamente si continuerà a discutere di riforma dell’Imu, di legge elettorale e delle prossime misure in tema di lavoro.
Il partito di Monti, che ha in qualche modo provocato la riunione, ribadirà la richiesta di un «contratto di coalizione» come avvenuto in Germania con il governo di larghe intese. Un patto nero su bianco, da qui alle elezioni Europee del prossimo anno. Una richiesta che trova alcune sponde nel partito del Cavaliere, ma che rischia di essere una sorta di boomerang: «Se ci dicono di no che facciamo?», si chiedono in tanti dentro Scelta civica, consapevoli di un peso specifico non certo maggioritario. Anche se in serata lo stesso Mario Monti precisa i contorni delle sue richieste: «Per noi il governo Letta è un’occasione irripetibile che deve durare 5 anni, chi ha detto che volevo metterlo in difficoltà ha fatto mera speculazione».
Dentro il Pdl c’è chi giudica in modo positivo le richieste di Scelta civica. «Monti arriva in ritardo — dice Renato Brunetta, capogruppo alla Camera — ma è benvenuto. In Germania ci hanno messo un mese per scrivere un contratto programmatico, qui il mese lo abbiamo perso per colpa di Bersani. Ma potrebbe bastare una cabina di regia che funzioni in modo effettivo e anche per i provvedimenti economici; e non solo, come avvenuto finora, per le questioni istituzionali».
L’esigenza di una stretta sul programma, anche in vista della navigazione parlamentare dei provvedimenti, è insomma avvertita non solo da Monti. Bisognerà vedere quanto il governo, e dunque Letta, sarà disposto a concedere alla sua maggioranza: «Finora — continua Brunetta — dei provvedimenti economici si è discusso solo in Cdm, con il corollario assurdo che le coperture alternative sull’Iva le dovrebbe trovare il Parlamento. E’ un metodo sbagliato, le coperture diverse le trovare il governo con la sua maggioranza e poi difenderle in Parlamento».
È probabile che il premier analizzerà insieme ai capigruppo le conseguenze delle decisioni annunciate ieri dal presidente della Commissione europea, in tema di investimenti pubblici produttivi dei Paesi cosiddetti «virtuosi» in tema di bilancio, oltre ai risultati dei lavori della conferenza di Berlino sull’emergenza lavoro.
Non se ne discuterà invece al vertice di oggi ma è probabile che le future riunioni avranno una composizione diversa dall’attuale. Scelta civica farà la sua convention organizzativa il prossimo 13 luglio, ma prima di allora, è stato deciso nelle ultime ore, lo stesso Monti chiederà ai parlamentari dell’Udc di uscire dai gruppi di Scelta civica. Sta dunque per arrivare all’epilogo la lunga serie di incomprensioni e contrasti fra l’ex premier e Casini. A quel punto le componenti della maggioranza potrebbero diventare quattro e non più tre.
Marco Galluzzo
mgalluzzo@rcs.it
VERTICE DI MAGGIORANZA (WWW.ANSA.IT)
ROMA - E’ andata bene; il governo va avanti e ho ribadito l’impegno ad un maggior coinvolgimento dei partiti della maggioranza anche nell’approfondimento tecnico dei singoli dossier. E’ il commento che il premier Enrico Letta, al termine del vertice di maggioranza, ha affidato ai suoi collaboratori.
Durante l’incontro, riferiscono fonti di governo, il premier ha fatto una lunga introduzione di metodo per poi entrare nel merito dei provvedimenti. Sul primo aspetto ha ricordato che il governo si è fin da subito impegnato nel confronto con i partiti della maggioranza, riconoscendo tuttavia che sono possibili margini di miglioramento. Per questo si è impegnato a rendere il confronto più "fluido e sistematico". Ciò vuol dire avere una interlocuzione con i partiti di maggioranza e con i leader sulle decisioni politiche da attuare, mentre alla cosiddetta ’cabina di regia’ sarà lasciato il compito di approfondire i singoli dossier, anche per gli aspetti più tecnici dei provvedimenti. Per quanto concerne i contenuti, il primo punto affrontato da Letta è stato il semestre italiano di presidenza dell’Ue, che partirà nella seconda metà del 2014, per il quale ha auspicato un pieno coinvolgimento di tutte le forze di maggioranza nella definizione degli obiettivi. Si è quindi affrontato il nodo delle scadenze della prossima settimana, a cominciare dalla ridefinizione complessiva del sistema di tassazione sulla casa. Si è poi discusso del dossier Iva e dalla necessità di facilitare l’iter di conversione dei decreti legge in Parlamento. Tema in cui, ha sottolineato Letta, il ruolo dei capigruppo è cruciale. Il premier, anche alla luce del pronunciamento della Consulta, ha infine ribadito l’impegno dell’Esecutivo a presentare un ddl costituzionale per l’abolizione delle province.
All’incontro, presieduto dal premier, hanno partecipato i capigruppo delle forze politiche che sostengono il governo. Per l’Esecutivo presenti il vicepremier Angelino Alfano, i ministri Fabrizio Saccomanni e Dario Franceschini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi.
Il Governo ha confermato l’intenzione di sciogliere entro ferragosto il nodo dell’Imu e della riforma complessiva e per questo ha deciso che la prossima riunione della cabina di regia Governo-maggioranza si svolgerà il 18 luglio.
Il premier, anche alla luce del pronunciamento della Consulta, durante il vertice di maggioranza, ha confermato l’intenzione del governo di presentare un ddl costituzionale per l’abolizione delle Province, come annunciato in Parlamento. E’ quanto riferiscono fonti di governo.
Durante il vertice di maggioranza il premier ha preso l’impegno ad accelerare in autunno il pagamento dei crediti che le imprese vantano nei confronti della Pubblica Amministrazione. E’ quanto riferiscono fonti di governo.
Sono sette i provvedimenti che arriveranno a luglio alle Camere e per una approvazione rapida. Il Governo ha chiesto ai partiti di maggioranza di "farsi carico dei provvedimenti e di costruire un percorso per l’approvazione". Lo rende noto il presidente dei deputati del Misto e Vicepresidente di Centro Democratico, Pino Pisicchio.
Il premier ha invitato i partiti ’di governo’ a cominciare a definire insieme gli obiettivi del semestre Ue, che partirà a metà 2014. Il semestre italiano è uno dei terreni indicati durante la riunione dal presidente del consiglio per rendere più sistematica la cabina di regia governo-maggioranza, anche su singoli dossier.
"Mi piacerebbe tanto" pagare tutti i debiti della Pa entro il 2013 "ma non so se si può fare, non é cattiva volontà ma c’é un problema tecnico, il governo ha rimosso l’ostacolo, ora tutte le varie fonti di spesa devono attivarsi per pagare, stiamo monitorando". Lo afferma il ministro dello sviluppo Flavio Zanonato intervenendo a Radio Anch’io.
"E’ inaccettabile che il governo presenti un ddl costituzionale soltanto sulle Province": lo afferma il presidente dell’Unione delle Province d’Italia Antonio Saitta, a detta del quale "tutto ciò conferma che la politica non vuole riformarsi". E infatti aggiunge: "e il dimezzamento dei parlamentari quando si fara?".
"La riunione di oggi è stata molto positiva, c’é un buon rilancio del governo c’é un buon rilancio del programma di governo e soprattutto c’é questa idea di una road map che vada verso il completamento di 18 mesi di lavoro e che prevede quattro fasi e quattro obbiettivi", ha detto Letta. "Questi 18 mesi - ha aggiunto - sono convinto che faranno ripartire l’economia italiana e consentiranno quella riforma della politica che l’obiettivo principale del mio governo".
"Il primo obiettivo" della road map decisa oggi durante il vertice di maggioranza "é quello più difficile" ed è la soluzione al problema dell’iva e dell’Imu: le "cose più complicate, perché avvengono con il bilancio 2013 che è ancora rigido e non gode della flessibilità" garantita dalla decisione annunciata ieri da Bruxelles, "e la copertura va tutta trovata dentro il bilancio: e ciò non è semplice".