Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 4/7/2013, 4 luglio 2013
56 ANNI FA NASCEVA LA 500 FIAT
Esattamente 56 anni fa nasceva la 500 (4 luglio 1957). La mamma ed io, entrambi operai Fiat, negli ultimi tre anni, facendo feroci risparmi, avevamo iniziato a investire in tecnologia: prima il boiler (la mamma pianse quando sgorgò la prima acqua calda della sua vita), poi il frigo (quando il Fiat Westinghouse, comprato allo spaccio interno, «si attaccava» eravamo deliziati), ora potevamo comprarci la 500. Pur avendo qualifica-salario di operaio ero stato distaccato alla Progettazione, ove dominava il mitico ingegner Dante Giacosa, un genio dell’automobile e un gran signore. Il nostro ufficio, una ventina di tecnici, al quarto piano della palazzina di Mirafiori, progettava motori diesel per veicoli commerciali, ogni sera l’ingegnere passava ai nostri tecnigrafi per vedere gli sviluppi del lavoro. Nella parte opposta del grande salone luminoso c’era l’ufficio auto, dove lavoravano altri amici dell’officina, per cui della nuova «piccola grande auto» di cui tutti sussurravano, io sapevo ogni cosa, ne seguivo il parto in diretta. La 500 sarebbe stata la figlia moderna della mitica Topolino, che un giovanissimo ingegner Giacosa nel 1936 aveva progettato su input di Valletta, che a sua volta aveva avuto l’input di Mussolini («voglio la vetturetta del lavoro e del risparmio», il Duce fissò pure il prezzo: «Non oltre 5.000 lire»). Un bracciante guadagnava 90 lire al mese, un operaio Fiat, il più pagato del paese, 250, un altissimo dirigente 1.000, come diceva la canzone. Vi dicono qualcosa questi rapporti, rispetto a quanto retribuiamo oggi degli inetti al vertice di grandi gruppi industriali e banche, pur sapendo che faranno danni?
Un anno prima delle fatidica data di presentazione, in un locale a lato della Progettazione, l’ingegner Giacosa aveva predisposto due modelli in gesso scala 1:1 della nuova vettura, una aveva una linea convenzionale simile alla 600, da poco lanciata con successo, l’altra dal profilo molto innovativo, era stata concepita per un minor consumo di lamiera, meno peso-meno costi, con una linea a guscio inconsueta, perché aerodinamica. Giacosa lo ripeteva spesso, i clienti all’inizio non l’avrebbero capita. Valletta e gli altri membri del Comitato Direttivo davanti al modello si mostrarono molto perplessi, erano favorevoli alla versione convenzionale, racconterà poi Dante Giacosa, ma il professore disse: «Scelga lei ingegnere», lui scelse quella innovativa. Valletta, con quell’atto, dimostrò che c’è un’enorme differenza fra un leader e un capo, lui era un leader, quelli che vennero dopo in Fiat furono solo dei capi, alcuni anche cattivi. Qualche anno fa Lapo Elkann e Luca De Meo intuirono l’intatta potenzialità della 500 di Giacosa, ci lavorarono molto e bene, ne fecero addirittura un brand: finalmente risentii parlare di prodotto.
La 500 del ’57 aveva un prezzo di 490.000 lire (la mamma guadagnava 40.000 lire, io 33.000), era lunga poco meno di 3 metri, il tetto era in tela, aveva due posti, velocità massima 90 km/ora, consumo 4,5 litri per 100 km. Gli amici mi avevano detto che le dotazioni per le riparazioni prevedevano due chiavi inglesi, un punzone, un cacciavite doppio, una chiave a tubo per le candele, il cric. La mamma ed io non fumavamo, per cui il fatto che il portacenere potesse contenere solo due cicche, non ci preoccupava. Il libretto richiedeva di spruzzare la tappezzeria interna di naftalina e canfora per evitare le tarme. Mai lo facemmo, non potevamo trattare il nostro gioiellino come un materasso. L’aspetto che apprezzai di più, stante la mia altezza (189 cm: entrare richiedeva una tecnica particolare, uscire capacità contorsionistiche alla Houdini), era il tettuccio in tela, che nei sobbalzi mi proteggeva la testa, la controindicazione si palesava quando pioveva, i capelli diventavano leggermente umidi, problemi comunque irrilevanti quando hai 23 anni, ed eri sopravvissuto ai bombardamenti.
Partimmo per la Garfagnana, la salita (o meglio la scalata) del Bracco fu lunga e tormentata, ma dandole i giusti riposi, superammo il Passo. Capii che dovevo trattare la 500 come i miei zii garfagnini trattavano gli asini, con grande rispetto. In salita faticava, però il motore raffreddato ad aria aveva un rumore distintivo, tutto suo, come solo avevano la Ferrari e l’Harley Davidson, insomma la 500 era meravigliosa. Arrivammo in tarda serata a Magliano, eravamo orgogliosi.