Marco Morello, Panorama 4/7/2013, 4 luglio 2013
PER SOLDI DICO MI PIACE
Sandro ha 19 anni, non è mai uscito dall’Italia e a stento parla l’inglese, però su Facebook è fan di una birra portoghese, un movimento ambientalista danese, l’ente turismo del Nepal e una tv della Repubblica Ceca. Leggendo il suo profilo si scopre pure che apprezza una
nota marca di detersivi, una di pannoloni anatomici e un produttore di piatti di porcellana, oltre a una quantità notevole di hotel sparsi tra mare, montagna e città d’arte. Mette «mi piace» a ripetizione e senza un apparente criterio logico, ma non per noia o per un disturbo compulsivo: è pagato per farlo. «Da uno a qualche centesimo a clic» racconta. «Basta meno di un’ora al giorno e a fine mese mi ritrovo in tasca più di 100 euro».
Sandro fa parte di quel nutrito esercito di braccianti digitali che guadagna grazie al social network di Mark Zuckerberg. È l’ultimo ingranaggio di un meccanismo complesso, foraggiato dalla smania di visibilità delle aziende disposte a investire per un segno di stima intangibile: una manciata o qualche migliaio di «like» in più. Un servizio fornito da società di marketing e siti web
nati ad hoc, simili a uffici di collocamento aperti 24 ore al giorno, sempre disposti a reclutare dita veloci armate di mouse e, soprattutto, di molta pazienza. Su Fanslave.com, indirizzo dal nome che rende benissimo l’idea (fan schiavo), gli utenti sono quasi 700 mila: ci si registra in un minuto, si collega al servizio il proprio profilo e si inizia subito a cliccare sulle pagine indicate. Non appena si raggiunge la soglia di 15 euro è possibile incassare il denaro tramite Paypal.
Il fenomeno prospera da anni negli Stati Uniti e in Italia si sta sviluppando altrettanto velocemente. Da poche settimane è nato Clinkomatic.com, che tra i suoi fondatori ha Giampietro Cutrino, ex Iena di Italia 1: anche qui per ogni azione compiuta su Facebook, così come su Twitter o su Youtube, viene riconosciuto un piccolo corrispettivo. «In prospettiva» spiega «sarà possibile guadagnare fino a 300 euro al mese. Il nostro, tirando le somme, è un prodotto anticrisi».
Il funzionamento è semplice: un marchio, una piccola società, persino un negozio, un ristorante o un privato con smanie di popolarità acquistano un pacchetto di «like», Clinkomatic trattiene una percentuale e riconosce la fetta restante ai suoi utenti. «Ognuno di loro» precisa Cutrino «gode della massima libertà. Decide di quali pagine diventare fan e quali no. Se un marchio o un tema
non lo convincono, può scartarlo. Non glielo ripresenteremo più». Il sito ha già raggiunto quota 1.000 utenti e Michele, barista 31enne di Ferrara, è tra gli habitué: «Mi collego due volte al giorno, la mattina e il pomeriggio. Il sistema prende poco tempo, ho convinto la mia ragazza a iscriversi».
Dal punto di vista delle imprese, investire in campagne del genere ha costi variabili, a seconda della tipologia del
servizio scelto. Molte agenzie che offrono servizi di posizionamento, reputazione online e social marketing hanno un listino prezzi ben preciso: circa 100 euro per 2
mila «mi piace» di utenti italiani, con la garanzia soddisfatti o rimborsati, mentre chi è disposto a spendere circa 1.000 euro avrà non solo 5 mila fan in più, ma potrà indicare quale dovrà essere la loro fascia d’età. Le aziende, d’altronde, sfruttano questo sistema anche per farsi conoscere e cercano di intercettare i target più adatti.
«Però le aziende si sbagliano di grosso» è critico Giuliano Noci, ordinario di marketing al Politecnico di Milano. «Un like espresso dietro pagamento non sarà mai
autentico, non aumenterà la reputazione o la percezione di un marchio. Sui social network vale la qualità delle interazioni, non la quantità». «Il punto è che acquistare fan, così come follower su Twitter o visualizzazioni su Youtube, è diventata una prassi. Se non li compri, la tua pagina farà una figuraccia» aggiunge Marco Camisani
Calzolari, esperto di marketing digitale. «Ormai assistiamo a una specie di Risiko: se il tuo concorrente ti supera, allora ordini altri mi piace. E sai che lo farai ancora, e poi di nuovo. È una grande bolla che non porta a niente e fa male al mercato».
Fa bene invece alle tasche dei mercanti delle preferenze virtuali, che nel tempo hanno saputo perfezionare il loro business adeguandolo alle contromisure volute da Facebook per arginare il fenomeno. Fino allo scorso anno il prodotto più gettonato erano pacchetti di mi piace a basso prezzo generati da finti profili, senza alcun utente alle spalle perché spesso creati da un computer. Si poteva
(e ancora si può) far arrivare uno sciame di clic su una pagina in pochi minuti: a fine 2012 i cosiddetti fake, i finti utenti, erano 76 milioni in tutto su oltre 1 miliardo di iscritti. Mark Zuckerberg ha messo insieme una squadra in California, India, Irlanda e Texas per scovarli e cancellarli in tempi rapidi. Così, dopo una prima purga, la pagina di Lady Gaga ha perso 65 mila fan e quella della
stessa Facebook quasi 125 mila.
Perché un’identica brutta sorpresa non accada a un cliente pagante, le tariffe sono state leggermente ritoccate verso l’alto, ma con la garanzia che i like siano di utenti veri, attivi, con foto e amici reali. Inattaccabili dal punto di vista formale, perché il social network non può conoscere, controllare o sindacare le ragioni che ci sono dietro una pioggia di clic, per quanto incoerenti tra
loro. Utenti come Sandro, che si accontentano di qualche spicciolo per una menzogna digitale, per lasciare un mi piace su una pagina che non gli piace affatto o, più probabilmente, a cui non fanno nemmeno caso.