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 2013  luglio 02 Martedì calendario

L’ITALIA PAZZA DI PIZZA HA DUE CAPITALI: NAPOLI PER LA MARGHERITA ROMA PER TUTTE LE ALTRE

Si fa presto a dire mar­gherita. La pizza ha al­meno tre anime: prima di tutto quella napoleta­na, fatta secondo tradizione e principalmente in due modi (margherita, appunto, e mari­nara, vale a dire con pomodo­ro, aglio e origano) e che risente di una forte connotazione territoriale. La fantasia, in questo ca­so, più che inutile è addirittura dannosa. C’è poi quella italia­na, che sdogana tutte le versio­ni regionali fino a qualche tem­po fa considerate eretiche ri­spetto al modello partenopeo: la bassa e «scrocchiarella» ro­mana, la pizza cotta nel padellino tipica del Nord, la pizza esa­geratamente cresciuta del Sud. L’idea è che se gli americani si sono imposses­sati della no­stra ricetta proponendo­ne versioni assurde, allora tanto vale rivalu­tare i remake nazio­nali e tenerci stretto il format. E poi c’è la pizza gourmet, che punta tutto su impasti con lunghe lievita­zioni naturali, materie prime selezionate e tanta fantasia: un piatto d’autore che ha trovato negli ultimi anni in una città (Roma) la sua capitale e in un uomo (Gabriele Bonci) il suo profeta.
Si fa presto a dire margherita, dicevamo. La pizza è un mondo che il mondo ci invidia e ci insidia. Ora raccontato da una gui­da (Pizzerie d’Italia del Gambe­ro Rosso, 272 pagine, 8 ,90 euro) presentata ieri all’interporto di Nola. Un modo non solo per orientare il consumatore ma anche per rivalutare un piatto e una professione, quella del pizzaiolo, che non ha lo stesso rango di quella di chef e che spesso fini­sce nelle mani di stranieri: e pensa­re che oggi in Ita­lia ci sarebbe spazio per 6mila pizzaioli. Ec­co come infornare la disoc­cupazione.
Il volume recensisce 400 pizzerie in tutta Italia e mette un po’ d’ordine negli sti­li e negli inter­preti, crean­do l­a tripartizione fi­losofi­ca di cui sopra. Un modo piutto­sto furbo per scongiurare le ire dei pizzaioli campani scandalizzati dall’idea di poter compe­tere con colleghi veneti o marchigiani. E partiamo proprio dalla Campania il nostro viaggio nelle migliori pizze italiane.
Per chi suona la.... Campana.
Sono dieci gli indirizzi dove mangiare una grande margherita a Napoli e dintorni: nel ca­poluogo Da Attilio alla Pignasecca , nelle due sedi de La Notizia (in via Caravaggio ai nume­ri 53 e 94), da Sorbillo , da Starita e alla Trattoria Fresco . Tre insegne sono nella provincia partenopea: Era Ora a Palma Campania, Salvo da Tre Generazioni a San Giorgio a Cremano e Massè a Torre Annunziata, che si aggiudica an­che il premio per la migliore ri­cetta, la Pizza dell’Alleanza con fior di latte di Agerola, scaglie di Conciato romano, cipolla ra­mata di Montoro e Lardo di Co­lonnata. E poi a Caiazzo, nel Casertano, c’è Pepe in Grani, un marchio già cult per gli amanti della pizza tonda.
A ciascuno la sua.
Qui stravince Roma, che in pochi anni si è trasformata in ve­ra capitale alternativa del for­no. Tre sono gli indirizzi imper­dibili nella capitale: due si devo­no­alla creatività di Stefano Callegari, punto di riferimento se non altro per l’invenzione del «trapizzino» (un angolo di piz­za bianca ripieno di trailer della cucina romana, come la trippa o la coda alla vaccinara) e della pizza cacio&pepe che da sola vale il viaggio. Uno, Sforno, è a Cinecittà e l’altra, Tonda, a Montesacro. Pizze di periferia ma a quote siderali. Terzo indi­rizzo romano La Gatta Mangio­na , che ha anche una straordi­naria carta di birre, vini e Cham­pagne da abbinare alle pizze. Fuori Roma sono premiati con i «tre spicchi» (il simbolo dell’ec­cellenza scelto dai curatori del­la guida) Libery Pizza & Arti­gianal Beer a Torino e La Sor­gente di Guardiagrele (Chieti).
Pizza gourmet.
Qui la creatività la fa da padro­ne e salta ogni schema. Anche geografico. Non è un caso che a farla da padrone è il Veneto con ben tre insegne: Ottocento Sim­ply Food a Bassano del Grappa (Vi), I Tigli a San Bonifacio (Vr) e Saporè a San Martino Buon Albergo (Vr). Altri indirizzi da urlo sono Pomodoro&Basili­co a San Mauro Torinese (To), ’O Malomm a Coriano (Rn), ’O Fiore Mio a Faenza (Ra), Apo­geo Giovannini a Pietrasanta (Lu), La Spela a Greve in Chian­ti (Fi), Urbino dei Laghi a Urbi­no e La Fucina a Roma. Que­st’ultima che ha una caratteristica unica: il patròn Edoardo Papa propone ai clienti che le varie pizze ordinate da uno stes­so tavolo vengono servite una per volta secondo una sequen­za crescente per sapori e già ta­gliate in modo che tutti i com­mens­ali possano assaggiare cia­scuna in un vero percorso degu­stativo.
E quelle al taglio?
Categoria a parte è quella del­le pizze «quadrate». Qui c’è un fuoriclasse che fa storia a sé: è il già citato Gabriele Bonci, vulca­nico fornaio che in un buchetto chiamato Pizzarium a Roma, a due passi dal Vaticano, da anni stupisce con una pizza dalla cre­atività esagerata (per qualcuno lo sono anche i prezzi, ma si sa: la qualità non bada a spese). A fare da scudieri a Bonci nella pizza a quadretti c’è un’altra insegna romana (Ange­lo e Simonetta), due toscane (Men­chetti ad Arez­zo e Divina Pizza a Fi­renze) e una veneta: Sapo­re Asporto a San Martino Buon Alber­go (Vr).