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 2013  luglio 01 Lunedì calendario

DOTTOR JEKYLL E MISTER BRUNETTA

La prima volta che ho visto Renato Brunetta è stato per un’intervista, ma già eravamo al tu per precedenti rapporti telefonici. Appena entrato mi salu­tò con gioioso trasporto e al commiato volle abbracciarmi. Affettuosissimo è stato an­che negli incontri successivi, nonché festo­so al telefono e altrettanto cordiale con tut­te le persone cui ha avuto a che fare me pre­sente. Come un uomo così amabile in privato, possa trasformarsi in un rompiscatole e cre­are tanti attriti quanti ne ha provocati Rena­to da presidente dei deputati Pdl è un mistero. In un pugno di mesi ha svelato una prepo­tenza pubblica opposta alla mitezza che ho magnificato so­pra.
Nel gruppo Pdl di Montecito­rio, Brunetta ha scardinato un’organizzazione collauda­ta perché si considera la quintessenza del riformatore e nul­la gli piace di quanto altri han­no fatto prima di lui. Usare la ramazza ogni volta che gli è af­fidato un compito istituziona­le è il suo marchio. Quando nel 2008 fu ministro della Pa del quarto governo Berlusconi, prese di petto tre milioni di bu­ro­crati trattandoli da fannullo­ni. Li costrinse a non ammalar­si per non perdere quote di sti­pendio e li obbligò ad affronta­re un percorso di guerra per giustificare ogni minima as­senza. Fu detestato dall’intera categoria ma acquistò popola­rità presso il resto degli italia­ni. La perse però due anni do­po, quando, incapace di tene­re a freno la lingua, disse dei precari (figli della stragrande maggioranza dei connazionali) «questa è l’Italia peggiore».
Giunto alla presidenza del gruppo in marzo, Brunetta ha dunque sospeso tutte le posi­zioni e ordinato al braccio destro, Stefania Profili, di vaglia­re con colloqui chi poteva restare e chi andava frullato. A quali criteri si sia ispirata la te­mutissima Profili è ignoto. Sta di fatto che, senza neppure averlo incontrato, fu defene­strato lo storico segretario ge­nerale del gruppo, Franco Pal­lotta, roccioso marchigiano e autentica colonna da due de­cenni. Pare sia stata una ripic­ca diretta di Brunetta, in una faida tra ex socialisti del Pdl. Renato, craxiano di rito veneziano, discepolo di Gianni De Michelis, avrebbe covato anti­patia per Pallotta, ex Psi pure lui, per la vicinanza al suo predecessore, l’ex Psi Fabrizio Cicchitto, colpevole da capogruppo di avere fatto sospira­re a Brunetta un paio di stanze.
Altra cacciata illustre quella del portavoce del gruppo ai tempi di Cicchitto, Fabio Maz­zeo, giornalista messinese. «Via i fascisti», avrebbe senten­ziato Renato con riferimento al fatto che il mite Mazzeo era in quota ex An. Così, con una motivazione grottesca, Fabio sarebbe rimasto appiedato se la neo ministra, Beatrice Lo­renzin, indignata per la bruta­lità, non lo avesse preso al dica­ste­ro della Sa­lute facendo­lo capufficio stampa. Epi­ci, infine, gli scontri tra Re­nato con la vi­ce, Mariastel­la Gelmini, e la nuova por­tavoce del gruppo, Ma­ra Carfagna. Le urla hanno rot­to diversi timpani. A entram­be, Brunetta voleva infatti im­porre collaboratori che stava­no bene a lui e non a loro. Le due, che sono tigresse, alla fi­ne l’hanno spuntata ma resta l’incognita di quanta autono­mia otterranno da Renato. Gi­ra già la battuta che «fare la vice di Brunetta è come fare il sot­tosegretario di Scajola», ossia finire annullati perché l’altro non lascia spazio. Cosa abbia spinto il Cav a sceglierlo co­me capogrup­po è oggetto di dibattito. Dopo la rottu­ra con Giulio Tremonti due anni fa, l’economista di riferimen­to del Berlusca è stato Brunet­ta che, profittando del momen­to di grazia, si è sistemato di sua iniziativa in una suite di Pa­lazz­o Grazioli praticamente al­l’uscio dell’ex premier. Per­ciò, c’è chi pensa che la promozione a capogruppo sia una ri­compensa e chi, invece, un’astuzia del Cav per liberar­si da una prossimità assillante. Ora che i deputati ce l’han­no negli stinchi si lamentano e dicono: «Il capogruppo deve essere empatico, il nostro inve­ce è antipatico».
La stizzosità di Renato è pro­verbiale. Un giorno in Aula, la presidente Laura Boldrini,annunciandone l’intervento, disse: «Ha la parola il deputato Brunetta». «Grazie deputata Boldrini - replicò lui, piccato perché non aveva ricordato che era capogruppo - . Lei non mi chiama presidente e io non la chiamo presidente». A volte invece la suscettibilità scom­pare e Renato torna il tenerot­to che ho descritto all’inizio. Tutti sanno la trentennale riva­lità tra Brunetta e Tremonti, entrambi socialisti e prime­donne. Eppure un giorno, in un momento di distensione durante una riunione politica, mentre Giulio stava distratta­mente seduto, Renato gli saltò in grembo sistemandosi come un pupo tra le braccia della mamma. Circolano un paio di foto da Pulitzer di questa qua­si poppata tra i due rivali.
Il sessantatreenne Brunetta è l’ultimo di tre figli di un venditore ambulante di «gondoe­te» - modellini di gondole in plastica - che smerciava sui marciapiedi di Venezia. Renato è cresciuto in un apparta­mento di qualche decina di metri quadri in cui abitavano in nove: i genitori con i tre figli e la zia vedova con altri tre mar­mocchi. In casa, non c’era ne­anche un libro. Eppure Rena­to frequentò il liceo classico e fu primo alla maturità. A 23 an­ni, si laureò in Economia. A 31, vinse la cattedra a Venezia. Tutto questo partendo dalla stamberga.
Così - dato il punto di avvio e visto l’arrivo - si è esaltato. Di qui, le fanfaronate. Tre anni fa, Brunetta - allora ministro ­si candidò sindaco di Venezia contro il centrosinistro Gior­gio Orsoni. Poiché era molto più popolare, avrebbe dovuto stravincere. Fu invece travolto dalla sua spocchia. Richiesto se avrebbe lasciato la carica ro­mana, una volta eletto sinda­co, replicò: «Neanche per sogno. Ho il cervello per fare be­nissimo le due cose insieme». Così, non volendo uno sbruffo­ne tra i piedi, i veneziani gli pre­ferirono il più modesto avver­sario. Un’altra volta, a Matrix , disse: «Volevo vincere il No­bel. Ero sulla buona strada, ma ha prevalso il mio amore per la politica e il Nobel non lo vincerò più». Inutile dire, che non l’ha neppure mai sfiorato e ha dovuto accontentarsi di qualche premio nostrano: lo Scanno, il Tarantelli, il Rodol­fo Valentino. La parte più nota della sua produzione economica è quella che il Giornale pubblica ogni settimana. Un’analisi critica sui meccani­smi Ue, meno focosa però del suo autore poiché, forse per ti­midezza intellettuale, non si spinge a immaginare come, al­l’occorrenza, tornare a battere moneta.
Due anni fa, Renato ha spo­sato Tommasa Giovannoni, detta Titti, architetto di inter­ni. Bella e in gamba, è l’unica di fronte alla quale l’orco Bru­netta si ammansisce. Ottima cosa. Purché non depotenzi troppo il caratteraccio dello sposo, che in un Pdl popolato di mollaccioni, può risultare utile come una buona colt nel cassetto.