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 2013  giugno 30 Domenica calendario

QUELLA VERITA’ NASCOSTA SULLA MORTE DI MORO: COSSIGA SAPEVA GIA’ TUTTO

Oggi proviamo soltanto rabbia perché è troppo tardi: i due che sapevano tutto se ne sono andati in silenzio e per sempre: Cossiga e Andreotti. Il primo era anche un mio amico, ma sapevo che su Moro mentiva. Oggi ne abbiamo una prova. Lo avevo aggredito un paio di volte su questo tema, ma lui cambiava di­scorso. Andreotti era rimasto una sfinge. Sapeva di Moro, sapeva di Falcone. La vitiligine, diceva Cos­siga: portava come prova del suo choc di fronte alla vista del cadave­re di Aldo Moro in via Caetani, il fat­to che il suo corpo- viso e braccia in particolare - si fosse coperto di macchie biancastre. Ho sempre pensato che quella reazione spro­porzionata dimostrasse che lui, Cossiga, fosse sopraffatto più che dal dolore per una morte ampia­mente annunciata, dalla traumati­ca sorpresa: non se l’aspettava, aveva informazioni sbagliate. Era sicuro (con Andreotti)di aver otte­nuto la li­berazione di Moro e inve­ce si trovava di fronte il suo cadave­re. Ma adesso ne impariamo una nuova e la impariamo da Vitanto­nio Raso che ­fu uno dei due antisa­botatori che 35 anni fa, il 9 maggio del 1978, scoprirono il cadavere di Moro nella Renault rossa due ore prima di quanto la storia e i verbali abbiano tramandato. Lo raccon­ta nel libr­o La bomba umana scrit­to con il giornalista Paolo Cucchia­relli dell’Ansa.
Ora sappiamo che Cossiga arri­vò subito dopo il ritrovamento e che ben lungi dall’essere sconvol­to, fu impassibile, freddo. Venne subito per constatare il ritrovamento del cadavere, salvo due ore dopo ripetere l’intera scena, in se­guito alla telefonata ufficiale di Moretti. Ma quando la telefonata fu fatta, Moro era già stato ritrova­to. E ancora sanguinava di ferite fresche. Dunque fu trovato pochi minuti dopo l’uccisione, o al mas­simo mezz’ora dopo. Eccoci dun­que di fronte a una messa in sce­na: le ore non sono quelle e nean­che le reazioni e i sentimenti sono quelli. C’è un prima sconosciuto e un dopo che fu creato soltanto per l’opinione pubblica e la stampa. Una messinscena. C’è dunque una controstoria, una storia vera che si sovrappone a quella di fac­ciata e che si aggiunge alle tante fal­se storie e depistaggi che accompagnano la vicenda, la madre di tutti i traumi della Repubblica, dei ricatti, delle falsità che inquinano la politica. Cossiga dunque mentì. Oggi abbiamo anche - oltre all’an­nunciata uscita del libro La bom­ba umana dell’agente Raso­la - testimonianza a sostegno di questa novità, dell’ex ministro socialista Claudio Signorile, allora titolare dei Trasporti nel governo Craxi, il quale per puro caso era al Vimina­le per prendere un caffè con Cossi­ga­ «e non un aperitivo» come ha voluto sottolineare per spostare indietro le lancette dell’orologio ­il quale ricorda oggi che udì con Cossiga via radio il messaggio in cui si diceva che due agenti anti sabotatori stavano forzando una R4 sospetta in via Caetani, e poi che nel portabagagli della macchina era stato rinvenuto il cadavere «della nota personalità», vale a di­re di Moro. Raso fornisce un’ulte­riore informazione: le ferite morta­li di Moro, ucciso con una mitra­glietta Skorpion, sembravano re­centissime. Raso se ne intendeva perché aveva visto le ferite mortali degli uomini della scorta di Moro in via Fani. Due ore dopo l’ecci­dio, il sangue era già secco. Nel ca­so di Moro, il sangue ancora sgor­gava. E Cossiga, piombato sul posto con alcun­i collaboratori del ministro degli Interni si comportava, ricorda Raso, come se fosse già al corrente di tutto e non fosse affat­to sorpreso. E il trauma? E la vitiligi­ne? La vitiligine era vera, intendiamoci. E di sicuro quella malattia colpì la sua pelle quel giorno e non prima, né dopo, ma il trauma do­veva esserci stato in un momento ancora precedente, quello del sopralluogo segreto. Ma quando Cossiga aveva saputo? Moro fu eliminato proprio ­mentre era in corso a pochi metri dal luogo del ritrovamento una riunione convocata da Amintore Fanfani per accettare la richiesta dei se­dicenti brigatisti rossi che chiedevano uno scambio: un«prigioniero di Stato» con­tro Moro. Era fatta. Così sembra­va. Ma il regista vero dell’operazi­o­ne Moro la pensava diversamente e prima che la Dc potesse annunciare la decisione di cedere alle ri­chieste delle Br, fece condurre Mo­ro probabilmente ancora vivo in via Caetani dove fu eliminato.
Queste rivelazioni riaprono, di­rei per fortuna, il caso Moro sul quale hanno indagato quattro processi e una Commissione par­lamentare d’inchiesta, senza mai venire a capo della vera storia. Io presumo di aver capito un po’ di più attraverso i lavori della Com­missione Mitrokhin di cui sono stato presidente e di cui fu un ani­matore l’onorevole Enzo Fragalà, che poi fu assassinato. Si discute­va se le Br che rapirono e uccisero Moro fossero composte soltanto da pretesi rivoluzionari comuni­sti, o anche da altri elementi non italiani. La questione era se le Br fossero state «eterodirette». Ebbe­ne, la Commissione Mitrokhin fu in grado di provare che le Br conte­nevano al proprio interno certa­mente elementi che erano sotto il controllo del Kgb sovietico e della Stasi tedesca orientale. Questa cer­tezza fu raggiunta attraverso una rogatoria internazionale che si svolse presso la Procura generale di Budapest nel dicembre del 2005,quando durante una riunio­ne cui parteciparono membri del­la Commissione il procuratore ci mostrò una grande valigia piena didocumenti in cui, disse, c’erano tutte le prove dei legami fra terrori­smo rosso e Kgb. In particolare fu fatto il nome del brigatista Antonio Savasta che per quanto ne so è scomparso dalla circolazione. Il giorno dopo a queste rivelazioni la Procura di Budapest ci comuni­cò con rammarico di non poterci consegnare la documentazione a causa dei trattati diplomatici che legano i Paesi dell’ex Patto di Var­savia con la Federazione Russa. Ma quel che accadde a Budapest non ce lo siamo sognato. Cossiga, dopo il ritrovamento del corpo di Moro, passò molto tempo andan­do ­in pellegrinaggio in tutte le car­ceri in cui si trovavano i brigatisti con cui ebbe lunghissimi collo­qui. Da quel momento Cossiga im­ped­ì di fatto che qualcuno si azzar­dasse a negare il carattere pura­mente italiano dei «compagni che sbagliano» e i brigatisti uscirono quasi tutti di galera. Così Moro fu assassinato due volte. Andreot­ti face parte della Commissione Mitrokhin e si comportò di fatto come un sabotatore di tutte le ipo­tesi che potessero ricondurre alle responsabilità sovietiche. La vera storia è ancora tutta da scrivere e la rivelazione di questo testimone riapre uno spazio sigillato per de­cenni. Perché Cossiga mentì? Per­ché già sapeva? Perché credeva di aver salvato Moro e invece fu beffa­to e addirittura si ammalò per il trauma?