Giovanni Caprara, Corriere della Sera 2/7/2013, 2 luglio 2013
LA PARTICELLA CHE HA SVELATO LA NATURA DELL’UNIVERSO (MA IL MISTERO NON È FINITO)
I l 4 luglio 2012, un anno fa, l’auditorium del Cern, il Centro europeo di ricerche nucleari di Ginevra, era zeppo di scienziati di ogni nazionalità. In prima fila un signore anziano dallo sguardo segnato da un sorriso scambiava qualche parola con i vicini, anche loro con i capelli bianchi. Tutti li guardavano con curiosità. Il signore era Peter Higgs che a 83 anni aspettava di ascoltare la conferma di un’intuizione avuta 48 anni prima, nel 1964, passeggiando sulle colline scozzesi. I suoi vicini erano i fisici François Englert, Gerald Guralnik, C.R. Hagen e Tom Kibble che avevano contribuito all’idea assieme a Robert Brout da poco scomparso.
L’atmosfera era un miscuglio di tensione e soddisfazione che si manifestò compiutamente quando l’americano Joe Incandela e Fabiola Gianotti pronunciarono dopo lunghe spiegazioni costellate da coloratissimi grafici un numero e una parola, 5 sigma. Applausi quasi senza fine accompagnarono quella sorta di parola magica capace di confermare con la sicurezza del 99,9999 per cento la scoperta di una fantomatica particella nucleare tanto indispensabile quanto imprendibile. Era il bosone di Higgs di cui la scienza aveva bisogno per completare il disegno (la teoria del Modello Standard) capace di spiegare la natura dell’Universo. «È davvero incredibile che sia accaduto mentre sono ancora in vita» rispondeva sorpreso Peter Higgs ai giornalisti che lo avvicinavano.
E non era il solo ad averne dubitato fino all’ultimo perché la cattura della particella battezzata con il suo nome era stata una delle avventure più complicate scientificamente, tecnologicamente ed economicamente. Ma anche umanamente come si comprende leggendo il magnifico libro di Jim Baggot, Il bosone di Higgs (Adelphi, pagine 259, € 23) in cui ricostruisce l’evoluzione delle conoscenze che hanno portato all’ambitissimo risultato ma anche le vicende talvolta dominate più che dalle formule dall’umore degli scienziati.
«Di che cosa è fatto il mondo?» si chiedeva Empedocle, filosofo siciliano del quinto secolo avanti Cristo. E ipotizzava si potesse ridurre a quattro forme di base: terra, acqua, aria, fuoco. E quegli elementi oltre ad essere giudicati eterni e indistruttibili erano romanticamente tenuti insieme dalla forza dell’Amore e separati dalla forza dell’Odio. Da allora occorse un lungo balzo nel tempo e nel pensiero per arrivare agli anni Trenta del secolo scorso quando si spiegava che tutta la materia del mondo era composta da elementi chimici, che ciascun elemento era costituito di atomi, ognuno dei quali era formato da un nucleo con protoni e neutroni attorno al quale ruotavano elettroni.
Nei decenni seguenti il panorama si rivelò ben più complicato. Finché negli anni Settanta prese forma la teoria del Modello Standard che metteva ordine e dava un senso allo «zoo delle particelle» che i fisici trovavano sempre più numerose con i loro acceleratori. Alla fine ne mancava una, la più importante, perché dava la massa a tutte le altre. Le scoperte sull’unificazione delle forze elettromagnetiche e nucleari da parte di Glashow, Weinberg e Salam e delle particelle «doppia W e Zeta zero» di Carlo Rubbia consentivano, negli anni Novanta, di affrontare l’ardua questione del bosone di Higgs nel frattempo diventato famoso come «particella di Dio» garantendo una sicura diffusione mediatica.
Gli americani incominciarono a costruire un gigantesco acceleratore in Texas che poi venne abbandonato per i costi proibitivi. Al Cern, invece, i Paesi europei, sia pure con qualche incertezza sostennero il costo di sei miliardi di euro arrivando ad accendere nel settembre 2008 il Large Hadron Collider (Lhc), la più potente macchina mai realizzata, in grado di riprodurre le condizioni dell’Universo una frazione di secondo dopo la sua nascita. Così l’impresa scientifica e tecnologica in cui brillavano molti scienziati italiani, portava all’annuncio del 4 luglio: il bosone era catturato.
Con un acceso finale: gli americani tentavano di soffiare la scoperta col vecchio acceleratore Tevatron di Chicago mentre alcuni scienziati diramavano su Internet la notizia tanto attesa prima di averne certezza. Ma la conclusione della storia ne apriva un’altra, dando il via ad una nuova fisica. E al Cern cominciavano a chiedersi: è il bosone che cercavamo? Ne esiste davvero uno solo? La storia della scienza continua.