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 2013  luglio 02 Martedì calendario

LA CONSULTA SUL CAVALIERE: NESSUNA LEALE COLLABORAZIONE

MILANO — Benché «in tre mesi e mezzo il Tribunale» milanese del processo sui diritti tv Mediaset avesse «soppresso tre udienze già calendarizzate per febbraio» e avesse «riconosciuto» già «due volte il carattere assoluto dell’impedimento» invocato dal premier Silvio Berlusconi il 16 novembre 2009 e l’1 febbraio 2010, «analoga osservanza del principio di leale collaborazione» tra poteri dello Stato «non è stata mostrata dal Presidente del Consiglio» la terza volta, l’1 marzo 2010: quel giorno «l’imputato, dopo aver egli stesso il 25 gennaio 2010 comunicato al Tribunale la data dell’1 marzo come unica disponibile, ha dedotto l’impedimento» e, diversamente dalle altre volte, «non si è attivato per un nuovo calendario, né ha fornito alcuna indicazione circa la necessità di presiedere un Consiglio dei ministri» inizialmente convocato per il 26 febbraio, ma in extremis spostato il 24 febbraio appunto all’1 marzo. Perciò, quando i giudici milanesi D’Avossa-Guadagnino-Lupo respinsero l’impedimento in quanto «legittimo» in astratto ma «non assoluto» in concreto, essi «rispettarono le attribuzioni dell’organo esecutivo» perché «non sindacarono le ragioni del Consiglio dei ministri, ma si limitarono a osservare che l’imputato avrebbe dovuto fornire “quantomeno” una “allegazione”circa la “sovrapposizione” dei due impegni». Berlusconi non lo fece, e così «non permise all’autorità giudiziaria di operare un bilanciamento fra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti, tra i quali l’interesse alla sollecita celebrazione del processo, e di valutare il carattere assoluto dell’impedimento».

Sono queste le motivazioni, depositate ieri, con le quali il 19 giugno la Corte Costituzionale ha dato torto alla Presidenza del Consiglio «made in Berlusconi» che 15 mesi fa sollevò conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Tribunale di Milano, per l’ordinanza con la quale l’1 marzo 2010 i giudici di primo grado avevano negato all’imputato allora premier (e poi condannato anche in Appello per frode fiscale a 4 anni di carcere e 5 di interdizione dai pubblici uffici) il rinvio dell’udienza per «legittimo impedimento» dopo la convocazione improvvisa di un Consiglio dei ministri per discutere in teoria di legge anticorruzione. Disegno di legge che, rileva la Consulta, verrà «presentato in Senato due mesi dopo, il 4 maggio 2010, per poi essere assorbito insieme ad altri progetti e divenire legge, in un testo ampiamente modificato», addirittura due anni dopo, «il 6 novembre 2012».

La doccia gelata della Consulta ha raffreddato le aspettative di Berlusconi che, con i suoi avvocati e l’entourage del suo partito, vagheggiava che il Tribunale di Milano avesse violato le prerogative del governo, e che a cascata questa violazione avesse l’effetto non soltanto di annullare l’ordinanza dell’1 marzo, ma di comportare la nullità di tutto il processo e addirittura travolgere e azzerare la condanna di primo e secondo grado.

Per certi versi è perciò ancor più interessante nelle motivazioni della Consulta il ribadire la propria giurisprudenza sul fatto che «il Consiglio dei ministri costituisca una delle più rilevanti modalità di esercizio delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute all’organo esecutivo», e dunque ben possa «in astratto costituire legittimo impedimento» a un processo: ma «spetta al giudice valutare, caso per caso e […]anche alla luce del necessario bilanciamento con l’interesse costituzionalmente rilevante a celebrare il processo]/…], se lo specifico impegno addotto dall’imputato Presidente del Consiglio» sia «oggettivamente indifferibile» e «necessariamente concomitante con l’udienza». E il giudice che opera questa valutazione non è un golpista, ma «si mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale, non esercita un sindacato di merito sull’attività del potere esecutivo, né invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato»]…].