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 2013  luglio 02 Martedì calendario

E LE FIAMME CANCELLANO LA SQUADRA SPECIALE

«Sono eroi» ha detto di loro Obama, come in un riflesso condizionato. Ma forse i diciannove pompieri morti tutti insieme, nel tentativo di spegnere un incendio in Arizona, sono qualcosa in più di un mucchio di eroi; sono una squadra. Come una squadra di atleti si erano fatti fotografare, davanti quelli accosciati, dietro quelli in piedi. Come un plotone di soldati sono andati a morire, uno per l’altro.
Ci sono foto abbastanza simili a questa, che raffigurano in effetti reparti mandati a morire sui campi di battaglia. Ma ci sono foto ancora più simili, che raffigurano squadre di calcio: accosciati John, David, Joseph, in piedi Mark, Eric, Wade Scott...
Eric Marsh e Wade Scott Parker sono gli unici nomi resi noti dalle rispettive famiglie; le autorità dell’Arizona non ne hanno fatti altri. La foto mostra i diciannove pompieri dell’«Hot Shot», la squadra speciale inviata a domare l’incendio scoppiato a Yarnell Hill, una collina dell’Arizona a Nord-Est di Phoenix. Sono morti tutti, come un reparto speciale incaricato di strappare un lembo di terra al nemico. Hanno emozionato l’America, come una squadra rimasta unita fino all’ultimo, che non si è scompaginata di fronte al pericolo, e ha affrontato tutta insieme lo stesso destino.
Per questo Barack Obama ha sentito la necessità di intervenire, dopo che era intervenuto il suo rivale del 2008, John McCain, senatore dell’Arizona. Per il dettaglio che ha colpito il Paese ed è rimbalzato sui siti e sui media del mondo: la squadra si è mossa come un sol uomo, e come un sol uomo è caduta. Se n’è salvato uno soltanto, l’uomo che guidava il camion. Ma i morti sono comunque diciannove, perché alla squadra «Hot Shot» si era aggiunto un volontario.
I pompieri sono stati chiamati domenica. All’inizio, venerdì scorso, l’incendio pareva sotto controllo, sembrava fosse possibile domarlo dal cielo. Poi il rogo è divampato, bruciando 150 case, ed è stato deciso l’intervento via terra. Ma il fuoco ha cambiato direzione all’improvviso, il vento ha allargato il fronte, l’aria secca e la temperatura alta l’hanno alimentato. La squadra speciale non è riuscita a far funzionare i dispositivi di emergenza. Fiamme alte fino a tredici metri l’hanno inghiottita. Qualcuno ha tentato di mettere in pratica quel che aveva imparato nel corso di addestramento: scavare una buca nel terreno e coprirla con materiale ignifugo, in modo da essere scavalcato dall’ondata di fuoco. Altri hanno cercato di azionare le motoseghe in dotazione, per creare una barriera. Nessuno ha avuto scampo.
Il loro capo, il comandante dei pompieri della città di Prescott, Dan Fraijo, ha raccontato ai cronisti locali la storia delle vittime, in poche frasi. «Siamo devastati, abbiamo appena perso diciannove ragazzi meravigliosi. Erano molto amici tra loro, erano entrati insieme nei vigili del fuoco, erano uniti dallo spirito di corpo». Parole che suonerebbero retoriche, se non fossero confermate dai fatti.
L’epopea dell’11 settembre ha consolidato negli Stati Uniti il mito dei pompieri, gli unici che salirono le scale delle Torri per fare il loro dovere mentre tutti le scendevano per tentare di salvarsi. Nell’estate del 1994 lo «Storm King Fire» aveva ucciso quattordici pompieri in Colorado. In questi anni altri reparti sono caduti sul loro elicottero. Proprio una settimana fa, il portavoce della squadra, Wade Ward, ha raccontato a un giornale, il Daily Courier, i pericoli del suo lavoro: «Ci sono cinque squadre "Hot Shot". La nostra si chiama Granite Mountain. Siamo un corpo d’élite, costituito nel 2002. Siamo appena stati impegnati a spegnere gli incendi nel New Mexico, ora ci sposteremo in Arizona. Siamo addestrati a stare in prima linea. Non ci limitiamo a giocare in difesa; andiamo all’attacco. A volte combattiamo il fuoco con il fuoco. Costruiamo barriere contro l’incendio che avanza. Distruggiamo qualsiasi combustibile che lo alimenti. Possiamo camminare per sette miglia con il carico sulla schiena, lavorare per quattordici ore, restare in servizio ventuno giorni di fila. Quando non è stagione di incendi, siamo pronti a intervenire contro le tempeste».
Quel che Wade Ward non ha sentito il bisogno di esplicitare, è che i membri della squadra erano pronti a morire l’uno per l’altro, e se necessario a morire tutti. «Sono eroi» ha detto Obama dall’Africa, con la commozione e l’enfasi che i politici usano in questi casi. Ma l’eroe, nel senso che siamo abituati ad attribuire alla parola, è l’uomo eccezionale che per il suo coraggio e le sue qualità si staglia sul gruppo. La Granite Mountain Hot Shot, la cui foto resterà a lungo della memoria, era qualcosa di diverso, forse di più; era una squadra.