Piero Bianucci, La Stampa 2/7/2013, 2 luglio 2013
LA PARTICELLA DI DIO FA FESTA ORA LE MANCA SOLO IL NOBEL
Da un anno viviamo con il bosone di Higgs, già «particella di Dio». Viviamo con lui nel senso che ora sappiamo che grazie al bosone di Higgs le altre particelle atomiche hanno una massa, e quindi esiste la materia così come la conosciamo, quella che sposta l’ago della bilancia quando esageriamo con dolci e patatine fritte.
L’annuncio della scoperta è del 4 luglio 2012. Una diretta mondiale in streaming dal Cern di Ginevra – sì, Grillo non ha inventato niente, il web è una creatura dei fisici – mentre dall’altra parte del mondo, a Melbourne, Australia, si apriva la trentaseiesima conferenza internazionale delle alte energie. Peter Higgs, in seconda fila nell’aula magna del Cern, dichiarò: «Non pensavo di arrivare vivo a questo momento».
L’hanno inseguito per 46 anni, il bosone di Higgs, ma la macchina vorace dell’informazione l’ha consumato in pochi mesi e già si guarda oltre. All’orizzonte c’è la prima settimana di ottobre, quando a Stoccolma verrà annunciato il Nobel per la Fisica 2013. Sarà la consacrazione della «particella di Dio»? E chi saranno gli eletti, considerando che questa particella ha parecchi padri tra i fisici teorici e migliaia di ostetrici tra i fisici sperimentali? Joe Incandela e Fabiola Gianotti, portavoce dei due esperimenti che hanno catturato la particella, protagonisti dello streaming del 4 luglio 2012, sono nella partita o a Stoccolma decideranno per un salomonico Nobel al Cern che accontenterebbe e insieme scontenterebbe tutti?
Vedremo. Un dato di fatto è che i premiati del Nobel non possono essere più di tre. Se «mater semper certa», per ciò che riguarda i padri le cose sono più complicate. Il meccanismo del campo di Higgs fu inventato nel 1964 dal fisico inglese e indipendentemente dai belgi François Englert e Robert Brout. Entrambi però avevano sviluppato un’idea di Philip Anderson, e a stabilire il meccanismo che genera il campo di Higgs contribuirono anche Gerald Guralnik, Carl Hagen e Tom Kibble. Questi nomi sono ricordati alla pari nei testi di Fisica e tutti insieme danno il nome al campo del più famoso dei bosoni, ma non sono mai arrivati al grande pubblico.
Brout se n’è andato il 3 maggio 2011, semplificando la vita alla giuria del Nobel. Englert, classe 1932, è sulla breccia, con il coetaneo Kibble. Così pure Carl Hagen, classe 1937. E’ vero però che soltanto la pubblicazione di Higgs citava esplicitamente, in una nota finale, la possibile esistenza di un nuovo bosone. Tuttavia è altrettanto vero che Higgs aggiunse quella nota dopo che una prima stesura del suo lavoro era stata rifiutata dalla rivista Physics Letters, e la aggiunse per proporre poi il lavoro stesso, opportunamente revisionato, alla rivista Physical Review Letters , che infine lo pubblicò. Tre anni dopo, nel 1967, la teoria del campo di Higgs fu integrata nel Modello Standard delle particelle elementari per completare l’interpretazione delle interazioni elettro-deboli, opera svolta indipendentemente da Abdus Salam e Steven Weinberg, premiati con il Nobel nel 1979.
Sull’identikit della particella di Higgs non tutto è chiaro. Gli scienziati più prudenti continuano a parlare di una particella «like Higgs», cioè che si comporta come ci si aspetterebbe da Higgs. Ma è lei? Per la statistica la probabilità di aver centrato il bersaglio è del 99,99 per cento. Tuttavia non mancano gli interrogativi. La particella individuata ha una massa di 125 GeV, cioè relativamente piccola, a portata di mano. È come se l’agente 007 andasse a caccia del killer più elusivo del mondo, e un appuntato dei carabinieri lo trovasse dietro la porta della caserma. Non si esclude, quindi, che esistano particelle di Higgs più pesanti. Un altro problema è che non si trova traccia di certe particelle supersimmetriche previste dai teorici. Ci si aspettava una nuova giungla, e invece sembra che ci sia un deserto immenso, fino a energie irraggiungibili per macchine umane. E i fisici si domandano: che fare, se la Fisica è finita?
Intanto si accumulano i libri che trasformano in Storia ciò che è ancora cronaca. Dopo quello di Luciano Maiani, ecco, puntuali per festeggiare l’anniversario, Higgs e il suo bosone di Ian Sample, giornalista del Guardian (il Saggiatore), e Il bosone di Higgs di Jim Baggott (Adelphi). Due tentativi riusciti di umanizzare con aneddoti e sentimenti una vicenda intellettuale così ardua da sfidare anche la più smaliziata divulgazione scientifica.
Baggott ha il merito di spiegare come funziona il chiavistello usato dai fisici per penetrare nel sancta sanctorum dell’estremamente piccolo: la simmetria. L’idea risale a una matematica tedesca di cui non si parla mai, Amalie Emmy Noether, nata in Baviera nel 1882. Fu lei a capire che in Fisica i principi fondamentali – come le leggi di conservazione dell’energia e della carica elettrica – corrispondono in matematica a trasformazioni continue di simmetria, sicché si può, con un capovolgimento del punto di vista, partire dalle simmetrie (e dalle loro violazioni) per scoprire come stanno concretamente le cose nella fisica. Gell-Mann, l’ideatore dei quark, enfant prodige ammesso a 15 anni all’Università di Yale, Higgs, Weinberg, Salam e compagni sono tutti «nipotini» della Noether.
Genio delle simmetrie violate, per decenni Higgs è rimasto in ombra. A molti il campo della sua particella ricordava l’etere, sembrava una fede metafisica, non qualcosa di afferrabile sperimentalmente. L’acceleratore LHC del Cern, un investimento di 8 miliardi di euro, è riuscito nell’impresa. Una particella cara. Ma anche preziosa.