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 2013  luglio 02 Martedì calendario

PENSIONI, COSI’ I GIOVANI PAGANO IL CONTO

Sulle pensioni, come sempre accade da decenni in Italia, anche il governo Letta a settembre riaprirà il cantiere. Dopo il secco intervento della riforma Fornero a dicembre 2011, presentata come intervento “definitivo”, si vuole tornare indietro. Il ministro Giovannini non è contrario allo schema proposto da Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta del Pd e condiviso da Renato Brunetta del Pdl, da sempre convinti, insieme ai sindacati, che la riforma Fornero sia stata troppo “secca”. L’ipotesi è di tornare a uscite “flessibili”.
È una buona idea? Vediamo qualche numero, per capirlo. La riforma Fornero ha introdotto dal 2012 l’unico criterio contributivo, ha bloccato l’adeguamento all’inflazione per il biennio 2012-13 delle pensioni superiori a 1.400 euro lordi al mese, e dal 2012 ha abolito la pensione di anzianità, sostituita da un trattamento pensionistico anticipato che si può ottenere con 42 anni e 1 mese per gli uomini, e 41 e 1 mese per le donne. Queste età sono soggette ad aggiornamento triennale per effetto dell’incremento della durata media della vita, per cui in futuro l’età minima per la pensione sale, fino a convergere con quella di vecchiaia.
Per accedere alla pensione di vecchiaia occorre avere almeno 20 anni di contribuzione, mentre l’età per poter diventare pensionato è stata aumentata a 66 anni per tutti, salvo per le donne che lavorano nel privato (62 anni), e per le lavoratrici autonome (63 anni e 3 mesi). Ma tutte queste categorie convergeranno gradualmente all’età di 66 anni, per poi salire verso quota 70 per effetto dell’aumento automatico dei requisiti di vita. Sono state eliminate le cosiddette finestre. E’ stato alzata gradualmente dal 20 al 24% la contribuzione ai lavoratori autonomi. Tutto questo, sommando le varie voci tra minori spese e maggiori entrate, si è calcolato produca risparmi nella misura di 80 miliardi entro il 2018. Ma il più, almeno 46 miliardi, verrà dal 2016 in avanti.
I NUMERI
La domanda da farsi è: oggi, come sta andando la spesa per previdenza, che assorbe oltre il 35% del totale delle uscite pubbliche? Male. Tra il 2009 e il 2012 l’aumento della spesa pubblica corrente – mentre le entrate salivano di 38 miliardi, tutti usciti dalle nostre tasche – si è concentrata proprio in 27 miliardi di maggiori prestazioni previdenziali e assistenziali. Per di più, i contributi sociali sono cresciuti di 4 miliardi, mentre l’onere a carico della fiscalità generale è cresciuto di 23 miliardi di euro. Nel 2013 le prestazioni aumenteranno di altri 8,3 miliardi rispetto al 2012, di cui solo 3,7 vengono coperti da maggiori contributi, e 4,1 da maggiori trasferimenti statali.
L’ipotesi Baretta-Damiano è di tornare a pensioni flessibili, col meccanismo di penalizzazione e premio. Tagliare dell’8% l’assegno di chi lascia a 62 anni, del 6% a chi lavora fino a 63, del 4% a 64 e così via, fino alla neutralità di chi "sceglie" le regole generali e lascia il lavoro a 66 anni. In modo speculare, chi lavora oltre il tetto di età in vigore alla maturazione del trattamento potrebbe avere un bonus del 2% per ogni anno di lavoro in più.
LA PROPOSTA
Questa proposta mira non solo a ridare “scelta di vita” ai lavoratori. Si propone anche di creare occupazione giovanile aggiuntiva, visto che gli effetti della riforma Fornero sono di alzare di più di due anni la vita al lavoro media della platea maschile e di 4 quella femminile, “bloccando” per così dire i nuovi ingressi proprio ora che la disoccupazione giovanile è ai massimi. Tuttavia ha ragione Carlo Dell’Aringa, che nella squadra di governo è il più tiepido verso il ritorno a uscite anticipate. La discesa verso il 15% del Pil di spesa previdenziale – comunque 2 punti sopra la media Ue e della Germania - per effetto della riforma Fornero si concentra negli anni 2018-2024. Nel frattempo, tornare a uscite flessibili aggrava la spesa tendenziale, e aggrava soprattutto la quota da coprire con fiscalità generale, rendendo cioè ancora più difficile i tagli generalizzati al cuneo fiscale di cui ci sarebbe bisogno.
Sindacati, Pd e Pdl spingono, ma sarà bene sapere con precisione a chi verrà addossato l’onere di un eventuale abbandono della riforma Fornero. Per più occupati giovani, è meglio abbassare il cuneo fiscale che fargli pagare più imposte per sostenere i trattamenti di chi va in pensione prima, visto che chi è giovane ora avrà pensioni di poco superiori al 40% della sua ultima retribuzione, e a patto di non avere “buchi” contributivi nell’arco della propria vita. Ed è meglio non aspettarsi troppo da tagli alle pensioni d’oro – i soli 33 mila pensionati oltre i 90 mila euro pesano per 3,3 miliardi l’anno – in quanto la recente sentenza 116/2013 della Corte costituzionale ha innalzato un muro, contro l’ipotesi di interventi equitativi.