Morya Longo, Il Sole 24 Ore 30/6/2013, 30 giugno 2013
LE QUATTRO INCOGNITE CHE PESERANNO SUI LISTINI
«Faremo di tutto per salvare l’euro». È passato un anno da quando il presidente della Bce, Mario Draghi, bloccò con poche parole la speculazione che stava per mandare l’Europa a picco. Era luglio 2012. Ora, a luglio 2013, il clima è esattamente quello opposto: tutte le banche centrali, non solo la Bce, sono passate da una politica del «faremo di tutto» (che infiammava i mercati) a una più cauta e attenta all’andamento dell’economia (che delude i mercati). Ecco perché se nel luglio 2012 era facile investire, ora è tutto più difficile: l’andamento di Borse, bond e valute sarà sempre più influenzato dai dati economici.
I problemi, nel prossimo semestre, potrebbero arrivare da qualunque parte del mondo: dal Giappone, alle prese con una politica economico-monetaria che sta dando i risultati sperati solo a metà; dalla Cina, che combatte con la bolla del sistema bancario «ombra» e con il rallentamento economico; dall’Europa, incerta per le elezioni tedesche di settembre e per la persistente debolezza dei Paesi mediterranei; dagli Stati Uniti, in bilico tra gli stimoli monetari e la difficile «exit strategy». Ognuna di queste aree del mondo potrebbe influenzare i mercati. E il mese chiave per capirlo sarà il primo dopo le vacanze: settembre.
L’incognita americana
Sarà settembre il momento in cui la Federal Reserve potrebbe iniziare a ridurre gli acquisti di bond e dunque le iniezioni di liquidità tanto benefiche per i mercati finanziari. Il 18 settembre si riunisce infatti il Fomc, il "cervello operativo" della banca centrale, e in quel momento potrebbe essere annunciato l’inizio della lenta «exit strategy». La tempistica sarà determinata da due elementi chiave. Il primo è il tasso di disoccupazione. I super-stimoli monetari (quelli noti come «quantitative easing») dovrebbero terminare quando il tasso dei senza lavoro arriverà al 7%: gli economisti di Barclays pensano che questo traguardo potrà essere raggiunto nel primo trimestre del 2014. Questo dunque sarebbe coerente con un rallentamento del «quantitative easing» già da settembre.
Ma le prime indicazioni utili potrebbero arrivare il 5 luglio, con i dati sul mercato del lavoro, e il 17-18 luglio, con l’audizione di Bernanke al Congresso. Il secondo elemento chiave sarà poi l’inflazione: se restasse contenuta, la «exit strategy» potrebbe rallentare. Tutto questo influenzerà i mercati: se dovesse prevalere la sensazione di una più veloce «exit strategy», per Borse e bond mondiali l’effetto sarebbe negativo. Molti economisti sono però convinti che a prevalere sarà l’approccio soft: quello più favorevole ai mercati.
Europa, ventre molle
Sarà settembre il mese chiave anche per l’Europa. Il 22 si terranno infatti le elezioni tedesche: l’esito elettorale sarà determinante per capire l’atteggiamento della Germania nei confronti dell’Europa. Poi ci si attende la sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità in Germania del piano Omt: cioè quello scudo anti-spread che Mario Draghi annunciò nel luglio 2012. Nessuno si attende uno «stop» (non sarebbe neppure possibile), ma tanti temono qualche paletto in più a uno scudo già ora difficilissimo da attivare.
Ma l’Europa resta un’incognita per mille altri motivi: per la difficoltà a prendere decisioni, per la riluttanza ad aumentare l’integrazione. Etc, etc. In questo senso l’accordo raggiunto pochi giorni fa sul meccanismo di liquidazione delle banche in crisi è un buon passo in avanti, ma molto ancora va fatto. E la Bce, che non dovrebbe fare nulla il prossimo 4 luglio, pare avere sempre più le mani legate.
Far East a orologeria
Le vere sorprese (negative) potrebbero però arrivare dall’Estremo Oriente. Il Giappone è impegnato nella più poderosa politica monetaria e fiscale espansiva della storia. Il problema è che, per certi aspetti, non sembra funzionare come sperato. Quello che preoccupa è il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato decennali: erano allo 0,4% ad aprile, sono allo 0,84% ora. Il doppio. Il problema è che le banche nipponiche hanno in pancia una quantità di titoli di Stato pari al 160% del Pil giapponese: se i rendimenti salissero troppo, per loro le perdite sarebbero gigantesche. Insostenibili.
Anche dalla Cina desta qualche preoccupazione. La battaglia delle Autorità contro il sistema bancario «ombra» sembra ammorbidirsi, ma questo non elimina il problema di una finanza senza regole e troppo grande. Che ora – stimano in tanti – potrebbe diventare un boomerang. Gli economisti di Barclays sono convinti che la crescita del Dragone rallenterà nel prossimo semestre. Il pericolo maggiore arriva dal debito privato, cresciuto così velocemente che attualmente ha già raggiunto i livelli giapponesi e americani (166% del Pil).
m.longo@ilsole24ore.com