Dario Di Vico, Corriere della Sera 30/6/2013, 30 giugno 2013
LA CONTESA SUGLI ELETTRODOMESTICI COME REAGIRE AL SORPASSO DELLA POLONIA
Alla fine del 2013 i dati certificheranno che l’industria polacca degli elettrodomestici avrà superato l’Italia in volumi di produzione attorno a quota 8-8,5 milioni di pezzi. Il distacco dovrebbe aumentare se, come annunciato, sia l’Indesit sia la Whirlpool sposteranno altre produzioni dal centro e dal nord dell’Italia e le porteranno nel Paese di Lech Walesa. Entrambe le aziende seguono un preciso indirizzo di politica industriale, operano infatti una sorta di specializzazione territoriale. Lasceranno da noi i prodotti da incasso e in generale quelli a maggior valore aggiunto, trasferiranno nel Baltico il mero assemblaggio di lavatrici e frigoriferi. Su questa linea venerdì scorso la Whirlpool ha annunciato che chiuderà un intero impianto, quello di Spini in Trentino (poco meno di 500 addetti) in favore del distretto di Wroclaw.
In Polonia l’Indesit e gli americani sono già presenti e con loro un lungo elenco di produttori con differente passaporto. Ci sono gli svedesi della Electrolux, i coreani della Samsung che hanno comprato la Amica di Poznan e i loro connazionali della Lg, gli olandesi della Philips e almeno un paio di gruppi locali significativi che rispondono ai nomi di Zelmer e Ciarko. In tutto si possono contare 27 fabbriche il cui costo orario medio del lavoro è stimato a 6 euro contro i 24 euro di uno stabilimento italiano. Partiti dal differenziale favorevole sui costi i polacchi però hanno fatto passi in avanti nella cultura industriale, almeno dell’assemblaggio creando una dinamica di collaborazione simile in qualche caso a quella dei distretti industriali italiani.
La palla, dunque, torna a noi obbligati a chiederci cosa fare messi davanti a una comparazione di mercato che vede irrimediabilmente svantaggiato il nostro Paese e che rischia di costare molto in termini di posti di lavoro e coesione sociale. Basta vedere cosa sta accadendo a Fabriano dove l’intera comunità locale si sente «tradita» dalla famiglia Merloni e dalla scelta di delocalizzare impoverendo il territorio d’origine. I sindacati si sono subito mobilitati e il ministero dello Sviluppo economico sta elaborando una sua risposta a quella che appare come la prima vera crisi di un intero settore che si trova ad affrontare. In Italia, dunque, restano le produzioni degli elettrodomestici da incasso che hanno un margine industriale lordo attorno ai 5 punti (l’assemblaggio si ferma tra 1,5 e 2) e quindi rendono sopportabile l’alto costo del lavoro. Ma è evidente che in questo caso un’industria di nobile lignaggio come quella del bianco stavolta fa affidamento non sulle sue forze ma sulla qualità del mobiliere «finale», confidando che sia capace di disegnare una cucina (con elettrodomestici incorporati) di grande appeal e anche redditizia per entrambi i fabbricanti.
Le testimonianze degli operatori ci dicono che rispetto ai polacchi restiamo ancora avanti per quanto riguarda l’ingegnerizzazione dei nuovi prodotti. Il nostro dinamismo e la nostra flessibilità nelle risposte organizzative sono ancora insuperati, anche se le distanze tra Italia e Polonia si stanno riducendo. Siamo in testa pure per quanto riguarda la filiera della componentistica e spesso i produttori che si spostano a Est si portano dietro i propri fornitori. E magari inducono alla trasferta definitiva le società di consulenza che stanno cominciando ad aprire uffici in Polonia. Anche nei grandi impianti di refrigerazione rimaniamo leader perché si tratta quasi di prodotti sartoriali che solo noi siamo capaci di fare così come li vuole il committente.
La mappa delle competenze e dei primati è utile per capire ma in fondo anche per non demoralizzarci e tentare subito dopo di abbozzare una strategia difensiva. Bisogna inventare qualcosa di nuovo magari riflettendo su un dettaglio di grande interesse: la Electrolux-Zanussi non ha messo in discussione uno dei suoi stabilimenti-chiave nel Veneto, quello di Susegana, perché lavora in gran parte su commesse Ikea. A dimostrazione come nell’economia industriale moderna l’input decisivo venga dal basso, da coloro che sono a contatto quotidiano del mercato e ne conoscono gli umori. Va da sé che in una fase di recessione acuta l’ascolto dei consumatori sia ancor più decisivo che nelle fasi di crescita, dove anche chi è stato più pigro ad innovare riesce comunque a vendere. È singolare, in questa chiave, che l’industria degli elettrodomestici italiana non abbia mai pensato di organizzare una propria rete di negozi e invece si sia affidata alle catene high tech che hanno fatto il bello e il cattivo tempo sui prezzi comprimendo all’inverosimile i margini dell’industria del bianco. In fondo l’anticipazione rilasciata qualche tempo fa da Oscar Farinetti di voler aprire a Chicago, accanto al punto vendita della sua Eataly, anche uno showroom interamente dedicato alle cucine italiane, è più di una suggestione isolata. Mentre, però, dunque prendiamo le misure ai nostri nuovi concorrenti polacchi e valutiamo le mosse da fare, per non restare ancora una volta una puntata indietro, varrà la pena ragionare sull’avanzata dei grandi player asiatici in Europa e su come far fruttare il relativo vantaggio di competenze che la nostra cultura industriale del bianco ancora fortunatamente detiene.