Paolo Conti, Corriere della Sera 30/6/2013, 30 giugno 2013
GUBITOSI: I CONTI SONO QUASI IN PARI LA RAI RICOMINCIA A FARE ASSUNZIONI
ROMA — Lei, Luigi Gubitosi, è direttore generale della Rai da un anno esatto. Un primo bilancio? Partiamo dai conti.
«Nella prima parte dell’anno si sono visti gli effetti del nostro intervento. Il budget prevede una riduzione della perdita da 244 a 34 milioni. Dovremmo raggiungere il pareggio operativo a fine 2013 e il pareggio a livello di risultato netto nel 2014. Tutto questo continuando a investire, riprendendo ad assumere, coniugando rigore e sviluppo»
La Rai assume nonostante la crisi? E come fa?
«Oggi sarà l’ultimo giorno di lavoro per circa 430 dipendenti che vanno in pensione. A fine 2013 saranno circa 600. Si tratta di un risparmio di 60-70 milioni nell’arco di piano. Siamo inoltre in dirittura d’arrivo con il sindacato dei giornalisti Rai, grazie ad un intenso lavoro di relazioni tra le parti, per raggiungere un accordo. Il controllo dei costi non deve impedire la costruzione del futuro dell’azienda. Assumeremo 75 giovani giornalisti. Alcuni dalla scuola di Perugia, che sarà sempre più un centro di formazione continua; ci sarà poi un concorso nazionale e uno per i giornalisti che già lavorano in Rai, anche quelli con contratti atipici. Anticiperemo di due anni il piano di stabilizzazione dei giornalisti precari poiché siamo convinti che l’incertezza danneggia il rapporto con l’azienda e incide negativamente sul rendimento delle persone,oltre che essere una cosa profondamente ingiusta. Assumeremo inoltre 200 giovani per concorso con contratto di apprendistato, se troveremo un accordo con i sindacati. Considero davvero apprezzabile lo sforzo che i sindacati stanno facendo nel gestire il conflitto generazionale tra chi affronta la pensione e chi si affaccia sul mercato del lavoro. Ma il tema del lavoro è solo uno dei punti del nostro piano industriale che si articola in dodici cantieri che porteranno al rinnovamento radicale della Rai...» .
La Grecia ha chiuso la sua tv. La Rai rischia lo stesso?
«No. Le ho appena parlato di innovazione. La Rai guarda ad Occidente: ai grandi broadcaster come France Télévision e Bbc, con cui abbiamo rapporti stretti di collaborazione».
Lei parlava di risparmi. La Rai per tanti vuol dire sprechi.
«Stiamo attenti a tutto, continuamente. Un solo esempio. Lo spot sul canone costò 2.500.000 euro nel 2006 e 326.000 euro nel 2012, ed era prodotto all’esterno. Quest’anno, spot analoghi, fatti in Rai, dalla direzione Relazioni Esterne, 19.000..»
Però avete molte grane politiche. Renato Brunetta, Pdl, ha presentato un esposto all’Agcom accusando Fabio Fazio e Lucia Annunziata per violazione della par condicio a favore del Pd. E ne ha presentato anche uno sulla mancanza di trasparenza sugli stipendi dei divi e dei dipendenti.
«Ritengo che il luogo preposto a rispondere a questo tipo di domande sia la Commissione di Vigilanza. È un dato di fatto che nella recente campagna elettorale nessuno ci ha accusato di squilibri politici. Tutta la Rai è impegnata a far rispettare il pluralismo. Non è solo uno slogan, ma un ferreo impegno quotidiano».
I palinsesti, non votati da Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, sono apparsi a molti vecchi, ripetitivi. Mara Venier a «Domenica in», Paola Perego a «La vita in diretta»...
«La Rai vive un processo evolutivo in cui ogni palinsesto dev’essere migliore del vecchio e peggiore del futuro. Abbiamo contratti con volti noti da rispettare ma formule e contenuti cambiano. De “La vita in diretta” resta solo il nome: autori, conduttore, capostruttura di riferimento, contenuti sono cambiati. Già da quest’estate sperimenteremo format nuovi e molti volti: Nicola Porro, Concita De Gregorio, Annalisa Bruchi, David Parenzo, Antonio Polito. Qualcosa andrà bene, qualcosa magari meno. Ma se non si sperimenta si resta fermi. Come vedrete prossimamente i dati Qualitel, che misurano la qualità registrata dal pubblico, ci stanno dando ragione e premiano la Rai più della concorrenza».
C’è poi Roberto Benigni con «I dieci comandamenti», ancora in prima serata. E il flop della «Divina commedia» su Raidue?
«Per la Rai gli ascolti non possono essere l’unica discriminante. Ricordo che Benigni ha avuto in totale quasi il 50% degli ascolti su Raiuno ed è stato ripagato dalla pubblicità. Come servizio pubblico siamo chiamati ad affrontare grandi temi collettivi: cultura, legalità, storia nazionale, criminalità organizzata. Per esempio con la fiction su Ambrosoli, che stiamo girando, racconteremo un eroe contemporaneo...»
Parlava di storia. Che fine farà «La storia siamo noi» dopo l’uscita di scena di Giovanni Minoli?
«Si continua a confondere il destino di un progetto editoriale con un singolo uomo. La Storia è sempre stata presente nei palinsesti Rai e continuerà ad esserlo, anche di più. Il direttore di Rai Storia sta mettendo a punto il progetto».
È davvero chiusa la porta Rai per Giovanni Minoli?
«Per quanto mi riguarda la vicenda è finita con la conclusione del suo contratto. Attacchi e pressioni su questo tema continueranno ad arrivare. Ma credo che per la Rai sia il momento di dire qualche no rispetto a quando diceva troppi sì. È un problema di valori».
Voi siete stati nominati da Mario Monti. Siete senza «referenti politici». Chi incontra? Chi la chiama?
«Non ho un rapporto col Palazzo in quanto tale. La Rai è di proprietà del Tesoro, risponde a una commissione parlamentare, partecipa ai grandi progetti culturali del Paese. Sarebbe ridicolo e ingenuo sostenere che la Rai non ha rapporti con la politica. L’importante è che siano sani e di mutuo rispetto. Io cerco di mantenermi equidistante incontrando tutti e con le medesime modalità. Quanto a Mario Monti, ritengo sempre valida una frase che gli dissi prima di accettare l’incarico:“scontenterò tutti allo stesso modo”...».