Corriere della Sera 1/7/2013, 1 luglio 2013
CONFRONTI TRA EUROPEI IN FUGA E IMMIGRATI IN ARRIVO
A partire dalla fine dell’Ottocento migliaia di europei (per lo più italiani, francesi, spagnoli e greci) si stabilirono nei Paesi del Nord Africa (non solo la ben nota Algeria ma anche Tunisia, Egitto, Libia) e vi vissero e lavorarono per decenni. Non erano «biechi sfruttatori», ma per lo più semplici contadini, artigiani, tassisti, insegnanti, giornalisti. Negli anni Sessanta del Novecento le loro famiglie vennero cacciate dai nuovi governanti, private di ogni bene e allontanate dalla terra in cui avevano vissuto da generazioni e di cui si sentivano figlie. Come mai nel loro caso nessuno ha proposto di applicare uno ius soli? E come mai oggi se ne parla solo a proposito di africani e asiatici che vengono a vivere qui e non a proposito di quegli europei che vorrebbero vivere in Africa o Asia (ce ne sono e non sono tutti incoscienti)?
Luca Pignataro
Caro Pignataro,
I casi elencati nella sua lettera sono alquanto diversi. In Egitto lo sviluppo della comunità europea risale alla fase in cui la modernizzazione, nell’Ottocento, attirava professionisti, consiglieri ministeriali, alti funzionari dello Stato, mercanti, banchieri, architetti. Con poche eccezioni queste persone conservarono la nazionalità del Paese d’origine o di quello da cui erano protette. In Tunisia, dove si era stabilita verso la metà dell’Ottocento una numerosa colonia italiana, molti ebrei tunisini avevano il passaporto del Regno d’Italia perché erano stati, sino all’Unità, cittadini del Granducato di Toscana; ed erano stati toscani, negli anni precedenti, perché avevano continui rapporti d’affari con la comunità ebraica di Livorno.
Nel caso dell’Algeria e, più tardi, della Libia, l’immigrazione fu incoraggiata dall’amministrazione coloniale ed ebbe un carattere più popolare: agricoltori, artigiani, pubblici impiegati, sottufficiali che sceglievano di restare in colonia dopo la fine del servizio. Quelli che s’installarono in Libia grazie alle due grandi «ondate» organizzate da Italo Balbo negli anni del suo governatorato, restarono italiani anche dopo l’indipendenza perché era quella la cittadinanza che garantiva ai loro occhi maggiore prestigio. Quando vennero espulsi da Gheddafi, dopo il colpo di Stato del 1969, non avrebbero rivendicato lo ius soli neppure se il nuovo governo fosse stato disposto a concederlo.
Il caso più drammatico fu quello dei pieds-noirs algerini: europei di origine prevalentemente francese, ma anche italiana e spagnola. Erano numerosi (poco meno un milione) e avevano fatto dell’agricoltura algerina una delle più prospere dell’area mediterranea. Ma erano risolutamente contrari all’indipendenza e avevano fortemente sostenuto sia la repressione del movimento di liberazione, sia il colpo di Stato militare del maggio 1958. Non appena l’Algeria divenne indipendente, nel 1962, la grande maggioranza dei pieds-noirs decise spontaneamente di partire a bordo di navi inviate dalla madrepatria; e molti di essi lasciarono la loro automobile sulle banchine del porto. Furono circa ottocentomila a cui si aggiunsero 120.000 ebrei, una delle più antiche comunità ebraiche dell’Africa del Nord. Come avrà constatato, caro Pignataro, ogni confronto fra i colonizzatori di ieri e gli immigrati di oggi è impossibile.