Enrico Cisnetto, Il Messaggero 30/6/2013, 30 giugno 2013
LE MANOVRE DIETRO LA VICENDA-DERIVATI
Primo: se anche fosse, 8 miliardi sono lo 0,39% del debito pubblico (2041 miliardi) e non sono certo la goccia che fa traboccare il vaso. Secondo: se anche lo Stato italiano, tra il 1997 e il 1999, avesse fatto operazioni in titoli derivati in concomitanza con le trattative per il nostro ingresso nell’euro per rendere maggiormente possibile che ciò avvenisse sin dalla prima fase, cosa ci sarebbe stato di male? In quegli anni, tutti gli Stati europei hanno usato i derivati per coprirsi rispetto alle fluttuazioni delle valuta estere e alla volatilità dei tassi. Comunque la si giri, questo scoop del Financial Times sulla presunta perdita del Tesoro di 8 miliardi per aver giocato con i derivati - smentita seccamente da Saccomanni e dalla Corte dei Conti - puzza di bruciato. Qualcuno, per esempio, sostiene che si sia trattato di un «trappolone lobbistico» contro Mario Draghi, reo agli occhi dei tedeschi oltranzisti - ma non solo - di difendere «troppo bene» la stabilità dell’Unione europea, esercitando un ruolo di supplenza nei confronti dei governi e della Commissione. In casi come questi, è sempre difficile distinguere la realtà dalla fantasia. Ma la sensazione, forte, è che qualcuno abbia tentato di mettere lo sterco dei derivati nel ventilatore per infangare Draghi, e con lui dirigenti del Tesoro come l’attuale direttore generale Vincenzo La Via o la responsabile del debito pubblico Maria Cannata. D’altra parte, il faticoso aggancio dell’Italia all’euro offre un’ottima sponda a chi vuole speculare. Perché nessun altro paese europeo era più fuori che dentro e riuscì a migliorare i parametri della propria finanza pubblica come facemmo noi. Ricordate quando Prodi andò da Aznar a Madrid, pensando di trovare nel premier spagnolo un alleato per abbinare peseta e lira in una sorta di fase due che desse ad entrambi più respiro nell’aggiustamento dei conti? Aznar gli disse che la Spagna era già dentro e che l’Italia sarebbe rimasta fuori da sola. Allora Prodi tornò a Roma e s’inventò l’Eurotassa e un po’ di privatizzazioni garibaldine. Non mancarono spericolate operazioni di window dressing? Sicuro. Si usarono i derivati senza guardare troppo per il sottile? Probabile. Ma il gioco valeva la candela, non era un affare privato di qualcuno.
E poi, il giochino contro Draghi era già stato tentato con Mps: quando è scoppiato lo scandalo, una manina ha cercato di far camminare nel circuito dei media la voce che Draghi e i suoi di Bankitalia - segnatamente Annamaria Tarantola, allora a capo della Vigilanza - erano stati quantomeno disattenti di fronte all’operato dei vertici della banca senese. Tentativo fallito ma intanto il ventilatore per un po’ ha girato vorticosamente. Con quale scopo? Sicuramente fare lo sgambetto a Draghi. Per la linea che ha fatto assumere alla Bce, notoriamente invisa a quelli della Bundesbank. Per il potere che ha assunto in Europa, considerato eccessivo da taluni, e pericoloso per le loro ambizioni da altri. E per quello che un domani non troppo lontano potrebbe assumere in Italia. Tutti buoni motivi per provarci. Inutilmente, però.