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 2013  luglio 01 Lunedì calendario

IL CIBO CHE INFIAMMA I SENSI

Siamo nella Baghdad che non c’è più, quella delle Mille e una notte, l’infinita epopea del racconto che fu scritto tra Persia, Arabia e India intorno all’anno Mille, quando Boccaccio non era nemmeno nella mente dei suoi bisnonni. Un sultano, tradito dalla moglie, decide di sposare una fanciulla diversa ogni giorno, far l’amore con lei di notte, e all’alba consegnarla al boia per farle mozzare la testa. Ma ecco che a corte compare la bella e intelligente Shahrazad, che accetta di essere decapitata se all’alba il sultano vorrà, chiede solo di raccontargli una storia: e cominciano le Mille e una notte. Shahrazad racconta ogni notte una storia che interrompe all’alba al massimo della suspence, come un giallo: il sultano, per la brama di sentire il racconto, rimanda la decapitazione, e così per mille notti più una Shahrazad lo nutre di storie, e alla fine lo rende umano attraverso i suoi racconti. Bellissimo apologo: ma, a pensarci, ci viene una gran curiosità.
NELL’ANNO MILLE
Nell’anno Mille che cosa si mangiava e si beveva a Baghdad e dintorni nelle lunghe notti in cui Shahrazad incantava il sultano con i suoi racconti? Che cosa mangiava nei suoi viaggi Sinbad il marinaio? Alì Babà con cosa banchettava? E i quaranta ladroni come facevano bisboccia? O forse erano tutti asceti e nelle Mille e una notte si viveva solo di letteratura e acqua? Niente affatto! Sinbad, per esempio, mangiava spezzatino d’agnello con “filfil”, ovvero pepe, con “quaranful”, ovvero chiodi di garofano, con “simsim”, ovvero sesamo, con “zafaran”, ovvero zafferano: e con gli onnipresenti aglio, alloro e prezzemolo; Aladino certamente amava il tajin con mandorle o con prugne, e il sultano affascinato ma affamato prendeva delicatamente dal vassoio lamelle di meshwi alla griglia con sopra “kuzbara” e “zinjibar”, ovvero coriandolo e zenzero. Sono questi e molti altri i piatti che emergono succulenti e magici dalle pagine di A tavola con Shahrazad, le ricette delle Mille e una notte, un libro bello e divertente pubblicato dalla Donzelli, scritto da Malek Chebel e illustrato da Anne-Lise Boutin con grazia e freschezza, e ricco delle ricette dello studioso di cucina Kamal Mouzawak.
Davanti a noi si schiude un mondo in cui il cibo era una delle supreme forme della civiltà, un mondo in cui era impossibile cominciare a mangiare senza detergersi le dita nell’acqua profumata e dove le forme dello stare a tavola con grazia avevano la stessa importanza di un piatto riuscito: nella civiltà che fiorì tra Baghdad e Bassora, Aleppo e Damasco, Il Cairo e Samarcanda, e si spinse in Cina e in India, l’eleganza non era un lusso, ma l’atmosfera che rende degna l’esistenza, una equilibrata ebbrezza indispensabile a godere davvero e fino in fondo i piaceri.
IL VINO
E non mancava ai commensali delle Mille e una notte il vino, nonostante il bigottismo religioso cercasse di proibirlo le cantine dei sultani e dei gaudenti così come le taverne del popolo non mancavano mai di vini, e nei racconti il vino è sempre il più abile dei ruffiani, colui che portando con sé una lieve ebbrezza fa sì che si sciolgano cinture, cadano veli e tuniche lasciando scoperti seni di alabastro, ombelichi perfetti e occhi come smeraldi seminascosti da fluenti capigliature, e ci si stringa tra baci e abbracci stordenti dopo aver masticato un pizzico di cannella ed essersi lavati con acqua di rose. E dopo?
I SORBETTI
Dopo non poteva mancare un sorbetto agli agrumi, fresco e dissetante, per aiutare a idratare la pelle che negli amplessi si era coperta di goccioline di sudore. Ma a noi, di questo mondo favoloso, resta qualcosa? Be’, qualcosa sì. Per esempio possiamo, con le ricette di Mouzawak, imbandire un Samak Meshwi, ovvero spigole e scorfani arrostiti con zafferano, cannella, gherigli di noce e acqua di rose; o imparare a farci il Tarator, una purea di sesamo e arancia amara da accompagnare a carni e pesci; o dedicarci alla preparazione del trionfale Sikbaj, un agnello immerso in una salsa di fichi, datteri e uvetta, con aceto e miele: un agrodolce orientale aromaticissimo.
Però, mentre tentiamo di mettere in pratica le ricette di Shahrazad, qualcuno o qualcuna dovrà leggerci con voce ben modulata la storia di Sinbad, o raccontarci che il babà al rum fu inventato da un polacco che a Parigi aveva letto la traduzione di Galland di una storia delle Mille e una notte: Alì Babà e i quaranta ladroni. E poi? Poi una voce suadente ci dirà che secondo Chebel l’arte della cucina era per gli arabi e i persiani un’arte della seduzione, che profumi e aromi per loro erano non solo illuminazioni dell’olfatto ma forme del gusto, e che il tatto completava la festa del piacere. A quel punto, ormai convinti di essere nient’altro che dei barbari, non ci resteranno che due vie.
LA LIMONATA
La prima e più difficile sarà quella di incamminarci sulla strada della raffinata degustazione del piacere; la seconda, adatta al caldo estivo, consisterà nel preparaci la laymonada che ci insegnano in A tavola con Shahrazad, la limonata araba il cui segreto consiste nell’impastare gli spicchi di limone con lo zucchero invece di spremerli, in modo da gustare una limonata dove aromi di bucce e oli essenziali avranno impregnato di sé la bevanda, da servire dopo dodici ore, ben fredda e, a piacere, con qualche goccia di acqua di fior d’arancio: le Mille e una notte in un bicchiere alla portata di tutti. Dopo, dissetati dalla Laymonada, potremmo avviarci freschi e attenti sulla via difficile: gradino dopo gradino, ebbrezza dopo ebbrezza, verso la felicità.