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 2013  luglio 01 Lunedì calendario

DENTRO LA PAURA ATOMICA

Jim Boensch nella sua vita ha fatto almeno due lavori molto particolari. Negli anni Settanta, giovane ufficiale dell’Us Air Force, aveva di fronte a sé il quadro di comandi che governava il lancio di una decina di missili nucleari strategici. Oggi, sulla sessantina, in congedo, fa il volontario per il National Park Service degli Stati Uniti e, con una divisa simile a quella di maggiore con cui lasciò l’Usaf, accompagna i turisti a visitare lo stesso luogo in cui ha prestato servizio, nel cuore delle sterminate praterie del South Dakota. Un luogo unico al mondo, che visitiamo proprio dopo che, da Berlino, il presidente Obama ha lanciato la proposta di un’ulteriore riduzione degli armamenti nucleari.
Il Centro di Controllo Delta-01 — questo il suo nome — è una delle decine di stazioni simili, organizzate per squadroni e dipendenti da basi Usaf, disseminate negli anni ’60 nel Midwest e nelle Grandi Pianure settentrionali degli Stati Uniti. Nel giro di pochi anni, in un serrato e terribile confronto con la parallela escalation sovietica, mille missili strategici nucleari (ICBM) Minuteman con testate da 1,2 megatoni furono collocati in altrettanti silos, pronti al lancio. Nel solo South Dakota ce n’erano 150. I meno giovani ricorderanno gli anni dell’equilibrio del terrore, fondato sulle mutua dissuasione tra Usa e Urss e, infine, la caduta del Muro e, momento decisivo per questo luogo, il trattato Start del 1991 sulla riduzione delle armi strategiche. Così, in questi scenari di dura bellezza, patria per secoli dei Sioux Lakota e Dakota, a poche miglia dal magnifico Parco nazionale delle Badlands e a 60 dalla più vicina città degna di questo nome, Rapid City, arrivarono gli ispettori russi a certificare che tutti i 149 silos e i relativi centri di controllo venissero via via distrutti.
L’ECCEZIONE
Tutti meno uno, quello dove ci sta conducendo Jim. Con una decisione del Congresso, nel 1999 venne istituito il Minuteman Missile National Historic Site con l’intento di preservare due distinti siti: il silos vero e proprio, Delta-09, e il centro di controllo Delta-01. Basta uscire dalla Interstate – 90 che taglia come un coltello le Grandi Pianure, percorrere un breve sterrato e si arriva al Delta-09. Ecco, ora coperto da una cupola trasparente, il silos profondo 25 metri che contiene un missile inattivo ma uguale all’originale. Essere al centro del continente, lontani dalle coste, significava più tempo prima di essere colpiti e quindi più tempo per reagire. È la prima cosa che il maggiore Boensch spiega quando inizia la visita a Delta-01, il cuore dell’accoppiata missile-controllo a 11 miglia di distanza dal silos visitato poco fa. Due semplici fabbricati a un piano, che ai satelliti dovevano apparire indistinguibili dalle fattorie che punteggiano le rarefatte praterie, racchiudevano il segreto terribile della mutua distruzione nucleare e governavano 10 Minuteman. Nel centro di controllo operava uno staff di militari composto da addetti alla manutenzione, alla sorveglianza e da un cuoco. Tutti erano “al servizio” del personale più scelto, i missilisti come Jim. «Ho fatto anche il valutatore» spiega mentre l’ascensore ci porta a 20 metri di profondità «ed era indispensabile stimare le condizioni psicologiche del nostro personale».
IL MONITO
Sulla porta blindata la scritta: «Consegna in tutto il mondo in 30 minuti o meno. Altrimenti il prossimo sarà gratis». Trenta erano infatti i minuti necessari al missile per raggiungere l’obiettivo sorvolando il Polo Nord. Il maggiore Boensch mostra gli enormi tiranti che tengono sospesa e ammortizzata la cellula in cemento armato, spiega che le poltrone dei due ufficiali erano studiate per assorbire lo choc di un’esplosione ravvicinata in superficie, mostra la brandina e la toilette, illustra i sistemi di protezione dal fall out e da sostanze tossiche. «Qui si passavano ore e ore di inattività e quasi di noia e secondi di panico» sorride Boensch mentre illustra le complesse procedure — viste nei migliori film — di ricezione del messaggio presidenziale, della doppia autenticazione, dell’inserimento simultaneo delle chiavi di accensione, la distanza tra le consolle tale da impedire l’operatività a una sola persona e così via. Tutto è rimasto come allora.
Si risale in superficie e resta il tempo di fare qualche domanda. Armi nucleari ben più sofisticate sono ancora in stato di approntamento. Il maggiore ricorda che se non ci sono più silos ICBM attivi in South Dakota, ben 500 missili nucleari sono ancora dispiegati nelle Grandi Pianure.
A proposito di allerta, chiedo a Jim se ne ha vissuta qualcuna. Fa capire che si tratta di informazioni classificate; ma una la può raccontare. Un giorno del 1977, dal centro di controllo del SAC, lo Strategic Air Command, arriva improvvisamente agli equipaggi il flash di «prepararsi a ricevere un messaggio del Presidente degli Stati Uniti». Con le pulsazioni a mille, la coppia di ufficiali di turno attende di ricevere il codice di autenticazione al lancio. Ma ecco la voce di Jimmy Carter: «Salve a tutti. Sono qui al SAC e volevo vedere come funziona questa roba».