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 2013  luglio 01 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 1 LUGLIO 2013

«San Pietro non aveva un conto in banca» (papa Francesco durante l’omelia dell’11 giugno alla domus Santa Marta). All’alba di venerdì scorso è stato arrestato in una villetta a Palidoro, sul litorale romano, monsignor Nunzio Scarano, 61 anni, fino a un mese fa contabile dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. Accusa: corruzione e truffa. Con lui sono finiti in carcere Giovanni Maria Zito, agente segreto in servizio all’Aisi, 47 anni, e Giovanni Carenzio, broker, 48 anni. [1] Il prelato è accusato di aver versato 400 mila euro allo 007 per fargli riportare in Italia dalla Svizzera 20 milioni di euro che secondo l’accusa sono degli armatori napoletani Paolo, Maurizio e Cesare D’Amico, depositati su un conto dell’Ubs di Lugano. Operazione finanziaria pianificata nel luglio 2012 che all’improvviso è saltata, ma è servita ad aprire un nuovo scenario sui movimenti dei conti correnti aperti presso lo Ior e a individuare i canali utilizzati dal monsignore per gestire milioni di euro su propri depositi personali. [2] Monsignor Scarano, detto anche “Don 500” perché aveva sempre con sé banconote di grosso taglio. [3] Nato a Salerno, «sempre elegantissimo, al punto da sembrare un po’ effeminato» [4], spesso si vedeva arrivare al lavoro pedalando in bicicletta dal suo appartamento in via della Scrofa, dove vive con la madre. [5] Carlo Bonini: «L’uomo ha una vocazione tardiva (viene ordinato sacerdote a 32 anni), che lo folgora dopo una breve carriera da bancario (lavora alla Banca d’America e d’Italia fino al 1983) e quando la vita lo ha già esposto alle sue tentazioni». [6] Scarano avrebbe accumulato un importante patrimonio immobiliare utilizzando somme (1 milione e 155 mila euro) incongrue per i suoi redditi. Un box auto a Salerno. Due immobili sempre a Salerno. Uno dei suoi conti correnti presso la filiale Unicredit di via della Conciliazione, a Roma presenta un saldo attivo nel settembre 2011 di 455 mila euro. E ancora: acquisisce partecipazioni in società immobiliari come la “Prima Luce srl” cui vengono intestati due mutui da 600 mila euro ciascuno (uno acceso con Unicredit, l’altro con il Monte dei Paschi) per l’acquisto di un immobile a Paestum. [6] Quello di monsignor Scarano è l’ultimo di una serie di scandali che hanno messo in cattiva luce le finanze del Vaticano che, dal punto di vista dei soldi, cammina su due gambe: la banca, ossia lo Ior (Istituto Opere Religiose), nato nel 1942, e l’Apsa, ossia l’amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, fondata nel 1967, di cui Nunzio Scarano era responsabile della contabilità analitica. [7] Giorgio Dell’Arti: «Lo Ior vale 7,1 miliardi di depositi, ha chiuso il 2012 con un utile di 86,6 milioni e ha 18.900 clienti (dati riferiti di recente dal suo presidente, il tedesco Ernst von Freyberg). Il patrimonio immobiliare della Chiesa, quello che fa capo all’Apsa, secondo una ricostruzione di Marzio Bartolini (Il Sole 24 Ore dello scorso 15 febbraio) “conta quasi un milione di complessi composti da edifici, fabbricati e terreni di ogni tipo con un valore che prudenzialmente supera i 2mila miliardi di euro nel mondo. Può contare sullo stesso numero di ospedali, università e scuole di un gigante come gli Stati Uniti”». [7] Gli altri enti che in Curia maneggiano denaro o se ne occupano: il Governatorato (gestione dello Stato della Città del Vaticano), Propaganda Fide (maxi dicastero delle missioni, con un’importante dotazione di beni perlopiù riveniente da donazioni), la Prefettura per gli affari economici (il ministero del Bilancio, con poteri rafforzati di indirizzo e programmazione). [8] Lo Ior è una banca sui generis, ha una sola sede, nel quattrocentesco torrione Niccolò V, correntisti nascosti dietro un codice cifrato, e non rilascia libretti di assegni. [9] «Il battesimo dello Ior avviene il 27 giugno 1942, quando Pio XII fa nascere l’Istituto per le Opere di Religione, allo scopo di investire e far fruttare i fondi per il sostegno alle “opere di religione”. Nel corso dei decenni successivi il nome della “banca vaticana” viene accostato a scandali e inchieste. Negli anni ’60, a causa del banchiere Michele Sindona. Negli anni ’70 e ’80, a causa del prelato americano Paul Marcinkus e dei suoi rapporti con Roberto Calvi. Nel 1982 il crac del Banco Ambrosiano coinvolge anche i vertici dell’Istituto. Marcinkus nel 1987 è indagato dalla magistratura italiana per concorso in bancarotta fraudolenta. Il Vaticano non ammette responsabilità, ma a titolo di “contributo volontario” paga alle banche creditrici dell’Ambrosiano 250 milioni di dollari. Nel decennio successivo il nome dello Ior ricompare legato alle inchieste di Tangentopoli e alla maxi-tangente Enimont» (Andrea Tornielli). [10] Benedetto XVI, nel Motu Proprio del 2010 che poi è stato oggetto di scontri tra cardinali, decise che i flussi finanziari del Vaticano andassero monitorati attraverso l’Aif, l’autorità di informazione finanziaria che segnala le operazioni sospette. [8] Moneyval, la divisione del Consiglio d’Europa che vigila sull’antiriciclaggio, ha trovato sette punti di debolezza (su 16 esaminati) nel sistema Ior. L’Autorità d’Informazione Finanziaria della Santa Sede ha segnalato sei operazioni sospette nel 2012. Nel 2013 le operazioni sospette sono già sette. Il Consiglio d’Europa vuole che l’indagine sui conti correnti dello Ior sia completata entro il 31 luglio. [7] Il caso di monsignor Scarano è clamoroso perché è il primo dopo il Conclave e perché è scoppiato tre giorni dopo che papa Francesco ha nominando una commissione d’inchiesta sullo Ior. Una decisione che ora sembra quasi il via libera al primo arresto di un monsignore di Curia dopo decenni di chiusura totale alle iniziative della magistratura italiana. [3] La «commissione referente», nominata con un chirografo (ovvero una lettera autografa del Papa), è incaricata di «raccogliere documenti, dati e informazioni» dello e sullo Ior «necessari allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali». Sarà presieduta dal cardinale salesiano Raffaele Farina, coordinata dal vescovo Juan Ignacio Arrieta e avrà come membri il porporato francese Jean-Louis Tauran (membro anche della commissione cardinalizia dello Ior) e la professoressa americana Mary Ann Glendon, ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Il quinto membro, con funzioni di segretario, è l’americano Peter Wells, assessore della Segreteria di Stato. [11] Andrea Tornielli: «Con questo documento, che arriva a meno di due settimane dalla recente nomina del prelato dello Ior, Battista Ricca, uomo di fiducia del Papa, Francesco intende dare un segnale forte: le scelte di tipo strategico e strutturale sull’Istituto saranno prese a un livello più alto di quello rappresentato dalla presidenza e dirigenza dell’Istituto. La banca vaticana non dovrà mai più essere occasione di contro-testimonianza evangelica». [10] Le prime indiscrezioni parlano di una lunga lista di testimoni che la «commissione Bergoglio» si prepara a convocare nelle prossime settimane: a cominciare dai vecchi vertici dello Ior. Incluso Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto dal 23 settembre del 2009 al 26 maggio del 2012. Massimo Franco: «Gotti Tedeschi fu sfiduciato all’unanimità da un vertice col quale i rapporti erano deteriorati, si disse, anche sul piano personale. Ma la spiegazione si sta rivelando insufficiente. Il suo brusco benservito arrivò dopo un lungo, sordo conflitto interno che aveva per oggetto anche la riforma dell’Istituto e le norme sul riciclaggio del denaro sporco». [12] La strada indicata da papa Francesco sembra quella di ribaltare lo Ior nei suoi statuti, costituendo una fondazione esterna, costituita da soci diversi, che risponda ultimamente al Papa ma la cui responsabilità non sia del Papa stesso. [13] Quello che è evidente è che lo stile di Francesco conferma una determinazione che intimorisce molti nei Sacri Palazzi. Franco: «Appaiono come segni di impotenza e di allarme le minacce velate e gli avvertimenti che alcune filiere del potere curiale lasciano trapelare qui e là. Sono le dimissioni di Benedetto XVI e l’esito del Conclave a dettare l’agenda papale. Cambiarla, o pensare che si possa tornare indietro, significa non avere capito o non voler capire quanto è successo negli ultimi tre mesi e mezzo». [12] Note: [1] tutti i giornali 29/6; [2] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 29/6; [3] Giacomo Galeazzi, La Stampa 29/6; [4] Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 29/6; [5] Franca Giansoldati, Il Messaggero 29/6; [6] Carlo Bonini, la Repubblica 29/6; [7] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 29/6; [8] Carlo Moroni, Il Sole 24 Ore 29/6; [9] Francesco Grignetti, La Stampa 29/6; [10] Andrea Tornielli, La Stampa 27/6; [11] Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 27/6; [12] Massimo Franco, Corriere della Sera 29/6; [13] Paolo Rodari, la Repubblica 29/6].