Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 12/06/2013, 12 giugno 2013
IL DIARIO ROMANO DI ÉMILE ZOLA
Émile Zola arrivò a Roma in treno, alle sette di mattina del 31 ottobre 1894, un mercoledì. Era accompagnato dalla moglie e restò nella nuova capitale del Regno d’Italia fino al 5 dicembre. Attratto non dalla magnificenza dei ruderi antichi o dallo splendore delle chiese, ma dal desiderio di studiare la città che avrebbe fatto da sfondo alle vicende del giovane prete Pierre Froment, protagonista del ciclo delle Trois Villes (tre romanzi ambientati rispettivamente a Lourdes, Roma e Parigi). «Lourdes» era già stato pubblicato e messo all’indice dalla Chiesa. Perciò Zola tenterà invano, durante il suo soggiorno romano, di ottenere udienza da papa Leone XIII. Frequenta invece nobili, giornalisti, qualche prelato, alla ricerca di informazioni sulla vita quotidiana della città. Fa visita al conte Primoli, «un bambinone che fa fotografie». Sosta al caffè Aragno, trascorre un pomeriggio agli scavi sul Palatino, passeggia al Verano e al Pincio la domenica, quando «c’è molta gente per sentire la musica (una musica orribile)». Si ferma ad osservare le verzure che pendono dall’alto del Colosseo: «Si sarebbero dette solo erbe ma, abbattendole, si trovavano tronchi grossi come cosciotti». Gira instancabile per strade e vicoli, a cominciare dal primo giorno. Giusto il tempo di lasciare i bagagli al Grand Hotel e via verso il Campidoglio. «Il Marcaurelio è superbo, forte e potente; il Foro invece è piccolo e grigio. Da qui andando verso il Corso si ha una sensazione di strettezza. È la nostra rue Saint-Honoré: i palazzi, grandi masse quadrate, nudi e tristi dal di fuori con il loro intonaco di un giallo rossastro; all’interno invece sono enormi, vi si avverte l’immensità», scrive sui taccuini, editi ora da Intra Moenia con la traduzione di Silvia Accardi. È uscito di recente, nelle edizioni Bordeaux e con la prefazione di Emanuele Trevi, anche il romanzo «Roma», circa 900 pagine, ripubblicato per la prima volta a distanza di quasi un secolo.«Il mio viaggio a Roma», che raccoglie gli appunti presi in città, si legge tutto d’un fiato. Si osserva la città con lo sguardo dello scrittore, cinico e al tempo stesso sbalordito. Zola descrive minuziosamente quello che vede, annota le riflessioni, riporta i segreti sugli appartamenti del papa, sussuratigli da Félix Ziegler, corrispondente di «Le Figaro», che aveva avuto modo di vedere la camera dove dormiva Leone XIII in occasione del montaggio dei caloriferi. In questa stanza il papa riponeva il denaro, in un mobile collocato tra due finestre. «Nessuno entra in camera se lui non c’è. Chiude e si porta la chiave in tasca. Quando ha bisogno di soldi, il cardinale Mocenni va dal papa, una volta al mese, e ottiene sempre la somma necessaria». Nelle Logge di Raffaello immagina le riflessioni del pontefice «prigioniero sì, ma con questa immensa distesa davanti». Da lì osserva i quartieri sconvolti dalla febbre edilizia, da Prati al Viminale. Poi scende nelle strade vuote e piene d’erba e di fango di Prati, in mezzo alle case incompiute, occupate da gente che non paga e che nessuno osa scacciare: «una vera e propria città a scacchiera, colpita dalla morte prima ancora di aver vissuto».
Lauretta Colonnelli