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 2013  giugno 15 Sabato calendario

IMBOSCATO DI PROFESSIONE

E così Antonio Ingroia, il supermagistra­to supertrombato alle elezioni politiche del febbraio scorso, ha deciso: non si tra­sferirà ad Aosta per occuparsi di casi marginali (dal punto di vista geografico, quanto­meno) e non andrà a lavorare in nessun’altra Pro­cura della Repubblica. Semplicemente cambia mestiere. Farà l’avvocato? Nossignori. Assecon­dando la propria vocazione tardiva, si ributta in politica, proprio il settore da cui ha recentemente ricevuto una netta quanto imprevista bocciatura. Insiste.
Qualcuno penserà che egli sia un testone, altri un uomo di carattere destinato a sfondare. Chi vi­vrà vedrà. Una cosa è certa: Ingroia solo sei mesi fa era convinto di essere un astro nascente pronto per brillare nella costellazione degli onorevoli, e si lanciò nel firmamento elettorale senza valutare appieno le difficoltà cui sarebbe andato incontro. L’ottimismo probabilmente era alimentato dalla buona stampa di cui godeva. La sua immagine (re­putazione) di Pm inflessibile ed esperto nel ramo mafia, d’altronde, era garanzia di successo, e an­che le televisioni non disdegnavano di invitarlo nella speranza di fare audience.
Ma l’impatto di Ingroia con i mezzi di comuni­cazione di massa non fu entusiasmante. L’aspi­rante leader faticava a bucare il video, come si di­ce. Gli mancavano l’eloquio adatto per tenere sve­glio il pubblico e­la capacità di imporsi sugli inter­locutori con argomenti originali, poco aiutato an­che dalla voce, efficace succedaneo del Tavor. Se non fosse stato per Maurizio Crozza, il magistrato più noioso e meno votato d’Italia sarebbe passato inosservato: l’imitazione che ne faceva il comico era imperdibile.
Ma queste sono inezie a confronto con le inizia­tive propagandistiche assunte dall’ormai ex Pm, la più nefasta delle quali è stata la denominazione del partito: Rivoluzio­ne civile. Un simbolo peggiore non esiste nella storia democratica nazionale. Già la parola «ri­voluzione » mette in fuga il 90 per cento degli italiani, notoriamente pantofolai, pigri e timo­rosi di qualsiasi stravolgimento. L’aggettivo «civile», poi, non contribuisce a rendere più raccomandabile il sovvertimento dell’ordine costituito. Sarebbe come addolcire la pena di morte con 20 gocce di Valium. Aiuta a rendere il decesso meno traumatico, ma non lo evita.
Questo però Ingroia adesso pare lo abbia ca­pito. In effetti ha cambiato qualcosa. Nel no­me del suo movimento ha sostituito il sostanti­vo Rivoluzione con Azione, che ha un significa­to meno spaventevole. Tuttavia è rimasto l’at­tributo «civile», e non mi pare azzeccato: non per via della semantica, ma per il fatto che Scel­ta civica di Mario Monti è stata un fiasco istrut­tivo. Anche solo per scaramanzia, nei panni di Ingroia ci impegneremmo a trovare dizioni più fortunate.Quanto poi alla fusione di Rivo­luzione civile con l’Italia dei valori, non si può affermare che sia stata un’idea geniale: i due partiti, una volta sposati, si sono vicendevol­mente azzerati. I matrimoni, compresi quelli appunto civili, sono insidiosi.
Mi auguro che il magistrato dimissionario non se la prenda per queste nostre considera­zioni. Dobbiamo segnalare, per equità di giu­dizio, che l’esperienzagli deve aver insegnato molto. Per esempio ha capito che in politica non bisogna chiudere le porte a possibili allea­ti. A differenza che in un recente passato, ora è pronto a trattare sia con il Pd, orfano di Pier Lui­gi Bersani, sia con il M5S di Beppe (Grillo) il fu­rioso. Insomma Ingroia, privato della toga e dello stipendio, sta diventando accomodan­te. Ancora un piccolo sforzo e sarà in grado di entrare a pieno titolo nella Casta dei politici senza rimpiangere quella dei giudici. Una so­la domanda gli rivolgiamo rispettosamente: ma nel frattempo di che campa?