Marco Imarisio, Corriere della Sera 15/06/2013, 15 giugno 2013
IL PLAYBOY AMICO DI CRAXI E LA MALEDIZIONE DELLA VILLA
Con Maurizio Raggio l’aneddotica non viene in aiuto, per eccesso di offerta.
La sua ultima disavventura giudiziaria, con la procura di Chiavari che ne chiede l’arresto per reati fiscali connessi alla proprietà della celebre Villa Altachiara, provoca la stessa reazione che si può avere all’uscita del nuovo disco dei Deep Purple. «Ma come, ancora in giro dopo tutti questi anni?». Con risultati artistici meno rilevanti di quelli raggiunti dalla band inglese, anche se in quanto a entrate il confronto ci può stare, l’ormai stagionato ex play boy di Portofino ha attraversato quasi tre decadi di cronache mondane e sopratutto giudiziarie, usando come bussola una morale alquanto elastica e un tasso di paraculaggine senza precedenti. L’incrocio tra il perfetto esemplare dell’Italia furba ma simpatica e un mistero vivente. Al processo All Iberian il pubblico ministero puntò il dito verso di lui. «Lo sa che questa è appropriazione indebita?» gli disse vibrando di sdegno. E lui, con il solito sorriso, rispose: «Appropriazione, sicuro. Quanto all’indebita, non saprei...» Interrogato da Francesco Greco che gli contestava un regalo da 400 mila dollari a una amante si giustificò così: «Se l’avesse vista, gli avrebbe spesi anche lei».
Queste sono storielle della sua prima vita, che gli valse una lunga serie di guai derivati dal fatto di essere l’ultimo custode del presunto tesoro di Bettino Craxi. Ne era diventato amico durante i ruggenti Ottanta, quando il leader socialista frequentava Portofino e lui era il giovane fidanzato della non più giovane contessa Francesca Vacca Agusta, erede di un patrimonio notevole. Il punto di convergenza della Milano da bere era la Gritta, il locale fondato da suo padre. «Tante cene, bella vita» raccontò poi con un filo di rimpianto nella voce. «Anni meravigliosi per tutti».
Quando venne giù tutto, nel senso di Mani Pulite, il segretario socialista gli affidò i suoi conti privati, e mal gliene incolse. Raggio passò gli anni seguenti a raccontare in tribunale di aver dilapidato miliardi durante una latitanza messicana che più dorata non si poteva, comprendente anche un periodo di detenzione trascorso, si suppone non gratis, ad aragoste e sfide sui campi da tennis. Trecentomila dollari a una modella? «Un regalino, dottore». I magistrati milanesi non gli hanno mai creduto. Se la cavò con una condanna di tre anni.
Poi la contessa precipitò da Villa Altichiara, la dimora da sogno diventata prigione della sua solitudine, dove viveva con il nuovo compagno, il messicano Tirzo Chazaro, e l’amore di un tempo, che durante la permanenza nel terribile carcere messicano aveva conosciuto un’ereditiera locale, l’avvenente Rocìo Saldivas, e si era fidanzato con lei. Al momento della tragedia, Raggio si trovava a Miami, sua probabile sede attuale. Tornò subito. «Annullate tutto» gridò ai suoi avvocati nella piazzetta di Portofino. Fece impugnare i testamenti della contessa che donavano i suoi averi al messicano, con il quale ingaggiò una lotta feroce. Le fecero un funerale a testa. I due vennero quasi alle mani sulla tomba della cara estinta, ma continuarono a dormire sotto lo stesso tetto. Nonostante i proclami — il caso Agusta segnò l’inizio della serializzazione televisiva della cronaca nera — l’accordo extra giudiziale sull’eredità della contessa conveniva a entrambi. E così fu.
A Raggio interessava la casa. Le ragioni sono da cercare nella psicologia dell’uomo, meno semplice e meno guascone di quanto possa sembrare all’esterno. A Portofino non si è mai sentito accettato. L’ex play boy, definizione che non amava, ha sempre sofferto per gli sguardi dei suoi compaesani e degli illustri protagonisti del fine settimana. In cuor suo, sapeva di essere stato ammesso nei circoli che contavano solo per via della sua relazione con la contessa. La proprietà di quella residenza che domina la baia dall’alto era il suo riscatto. Non importa se i suoi legali gli consigliassero di lasciar perdere, che ne sarebbero venute solo delle grane. Non importa la pessima fama della dimora, che ha una lunga storia di sciagure avvenute ai suoi proprietari. La vittoria definitiva su quegli sguardi contava di più.
Negli ultimi anni si è allontanato dall’Italia, scelta agevolata dai rivoli giudiziari di quella eredità. Villa Altachiara è finita all’asta. Il suo matrimonio con la bella messicana è andato in frantumi. Hanno divorziato nel 2012, dopo una faida legale che in confronto quella con Tirzo Chazaro era Disneyland. Ultimi avvistamenti tra Cuernavaca e Miami. L’attuale ritorno ai disonori delle cronache assomiglia molto al passato che presenta il conto per quell’ossessione. L’unica debolezza di un uomo che non beve, non fuma e conduce una vita salutista in omaggio a un padre scomparso troppo presto. Come se fosse un seguito con altri mezzi del maleficio di Villa Altachiara. Oppure, più semplicemente, un effetto collaterale della presunzione di sentirsi sempre e comunque più furbo degli altri.
Marco Imarisio