Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 15 Sabato calendario

ORSI & TORI - «Esiste un software che consente di far accendere a qualsiasi distanza il microfono e la telecamera di qualsiasi computer senza che chi è proprietario del computer lo veda acceso

ORSI & TORI - «Esiste un software che consente di far accendere a qualsiasi distanza il microfono e la telecamera di qualsiasi computer senza che chi è proprietario del computer lo veda acceso.. Non è difficile capire come la privacy di fatto non esista più. E quindi era facile immaginare cosa è venuto a galla negli Usa a opera di un semplice tecnico della Cia». Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom Italia, lo scandalo che arriva a toccare il presidente Barack Obama lo aveva previsto nel suo fortunato libro Libertà vigilata, privacy, sicurezza e mercato nella rete (Editori Laterza). «Internet, la rete, non è nata per essere sicura», aggiunge Bernabè in questa conversazione. «È nata negli anni della guerra fredda in ambito militare come resilience, cioè come capacità di recupero dei collegamenti fra i sopravvissuti di una guerra atomica. Poi l’amministrazione americana ha deciso di farla diventare di uso civile con tutte le pecche che aveva sul piano della riservatezza e della sicurezza. Se a questo si aggiunge che da quel momento hanno cominciato a fare ricerca e scrivere software schiere crescenti di scienziati e di operatori, si capisce come insieme al grande progresso e alla moltiplicazione degli usi della rete siano nati anche continui nuovi programmi per compiere abusi». I numeri che con grande semplicità Bernabè offre nel suo libro chiariscono ancora meglio il concetto: ormai viviamo in una società in cui la maggior parte dei processi e delle transazioni si svolge attraverso lo scambio di bit, che vengono registrati, conservati elaborati; non solo, l’elaborazione si autoalimenta determinando un aumento esponenziale della produzione e dell’utilizzo dei dati. Il risultato? Nei prossimi anni basterà un solo giorno per generare più informazioni di quante ne siano state create nel corso della storia... Wal-Mart, il gigante americano della vendita al dettaglio, gestisce più di un milione di transazioni all’ora con i propri clienti, aumentando le sue banche dati al ritmo di 2,5 petabyte all’anno, cioè 2,5 milioni di miliardi di byte, equivalenti a 167 volte i libri dell’americana Library del Congresso; il sito di Google è visitato circa 2,5 miliardi di volte al giorno (e la Cina è per ora esclusa) da 500 milioni di utenti unici al giorno (dati al giugno 2011): tutte le azioni digitali dei visitatori (siti visitati, parole chiave cercate, data, orario, durata della navigazione ecc.) sono registrate e catalogate; Facebook ha recentemente dichiarato di aver superato il miliardo di utenti attivi e in otto anni di attività ha archiviato nei propri database 1,1 miliardi di informazioni su gusti e comportamenti degli utenti (attraverso il servizio «mi piace») e 219 miliardi di foto attualmente online. «La disponibilità di una mole così imponente di dati si presta a una infinità di usi», commenta Bernabè, che alla competenza maturata alla guida di Telecom Italia somma le sue esperienze nella commissione che riformò i servizi segreti oltre a una attività imprenditoriale, prima di ritornare ai vertici della telefonia, proprio nelle tecnologie connesse alla rete, senza contare gli anni all’ufficio studi della Fiat e poi alla guida dell’Eni, che ha risanato. «Gli usi sono in molti ambiti: aziendali, sociali, economici e perfino politici, e in molti settori come il commercio, i trasporti, il turismo, la sicurezza, il tessile, il farmaceutico e il sanitario. Fisiologici anche gli abusi, proprio per la natura di resilience con cui la rete è nata». Andando sempre più avanti nel descrivere cosa ci aspetta al di là di che cosa viviamo, Bernabè avverte: prossimamente saranno disponibili strumenti in grado di rilevare perfino gli effetti prodotti su una singola persona dalla lettura di certi testi o dalla visione di certe immagini e, naturalmente, di memorizzarli, associarli, interpretarli e renderli disponibili. «Mio figlio, che è un piccolo imprenditore, mi ha fatto vedere quale infinità di dati, di gusti, di bisogni di un determinato target offre la piattaforma di Facebook», aggiunge Bernabè. «Per il business è una manna dal cielo ma per i singoli individui una totale violazione della privacy». Appunto: le rivelazioni di Edward Snowden, la talpa ex dipendente Cia, su Prism e sulla capacità della Nsa americana di controllare e filtrare miliardi e miliardi di telefonate, email e messaggi ogni giorno attingendo da società di tlc e colossi internet ha riportato in prima fila il problema della privacy privata e commerciale, che ormai non esistono più. Il libro Libertà vigilata aveva affrontato il tema in tempi non sospetti... «Quello che mi ha spinto a scrivere il libro è stata la constatazione della totale asimmetria in materia di regole relative all’uso dei dati personali a fini commerciali tra le società di telecomunicazione, in particolar modo quelle europee e i colossi del web americani. Mentre per questi ultimi le regole sono definite con finalità assai leggere di tutela di consumatori, per le prime sono fissate in base a principi di tutela di diritti fondamentali di cittadinanza». Quindi per ragioni professionali. Ma anche davanti a fatti inequivocabili si assiste a una serie di difese d’ufficio. Obama dice: se si vuole essere al sicuro bisogna fare rinunce alla privacy. Dal punto di osservazione di una società di telecomunicazioni che nella precedente gestione ha avuto problemi sulla sicurezza dei dati è possibile vedere una compatibilità fra la necessità di business e le esigenze di privacy da un lato e di sicurezza nazionale dall’altro? A una condizione, secondo Bernabè: «Se tutti rispondono allo stesso sistema di regole non ci sono problemi di business perché tutti hanno le medesime opportunità e i medesimi vincoli. Credo comunque che utilizzare dati personali estremamente sensibili per finalità di business sia una pratica che deve essere regolata in modo omogeneo perlomeno all’interno dei Paesi Ocse. L’esperienza di Telecom Italia ha poco a che vedere con questi problemi. Nel nostro caso ci sono stati veri e propri abusi che sono stati sanzionati e ci hanno fatto adottare un sistema di regole per impedire che si ripetano, che ritengo oggi siano tra la più avanzate a livello internazionale». Ma i capi di Google si difendono assicurando che tutte le informazioni prese sono come infiniti coriandoli, non sono collegabili insieme ma rispondono a miriadi di database scollegati tra loro. Questo impedirebbe, a loro dire, di tracciare un unico profilo e quindi compromettere la privacy. «Nel libro c’è un’ampia descrizione delle politiche di privacy adottate dai giganti del web e del modo in cui i dati possono essere collegati. L’indicatore della scarsa trasparenza delle politiche di privacy è la loro lunghezza, che costringe gli utilizzatori a cliccare su “accetto” senza andare a leggere l’uso che verrà fatto dei loro dati». Del resto quando si compra un telefono Android, si accetta esplicitamente che il sistema possa leggere i propri numeri telefonici e la propria agenda. «Come avviene per numerose applicazioni disponibili in rete che consentono di telefonare o di mandare Sms gratis, salvo poi scoprire che la tua rubrica è diventata di proprietà di qualcun altro che la usa per sue finalità, creandoti magari qualche imbarazzo. Bisognerebbe ricordare che, come dicono gli economisti, non ci sono pasti gratis. Tutto ciò viene difeso in nome di qualcosa: la sicurezza per Obama, il progresso materiale per Google e Facebook, la facilità dei commerci per Amazon ed eBay. Sono difese accettabili e fino a che punto? L’abitudine di Bernabè a ragionare, sempre tenuto conto delle istituzioni, è diplomatica ma vera: «Il livello di difesa accettabile da una nazione è quello che decide un Parlamento liberamente eletto e dove esistono sistemi di controllo efficaci e un bilanciamento dei poteri». Google, Facebook e Amazon sono public company, e per questo scalabili. E chissà in mano a chi potrebbero andare un domani. Prenderne il controllo sarebbe come scatenare una nuova guerra mondiale... «Penso che l’interesse strategico degli Stati Uniti per il mantenimento di un controllo americano su queste società impedirà nel futuro un trasferimento del controllo a soggetti stranieri. È vero, anche perché l’amministrazione americana si oppone a regolamentazioni della rete per poter mantenere il primato assoluto nel settore: il vertice degli Stati Uniti vuole che nei dormitori delle università di Stanford o di Harvard o al Mit gli studenti sognino di poter arrivare a quanto hanno fatto i fondatori di Google o di Facebook, sì che il progresso e l’innovazione siano continui. Mentre nella civiltà industriale precedente, le capacità di produrre reddito della persona (sia egli un bracciante o un manager) sono valutate dal mercato e remunerate di conseguenza, oggi informazioni commercialmente preziose come i gusti personali, le relazioni, le condizioni di salute sono prelevate gratis dai colossi di cui sopra, in cambio dei servizi che essi concedono più o meno gratis». È uno scambio equo? «Dipende dalla consapevolezza che ciascuno ha dell’utilizzo dei propri dati. Se uno pensa di avere un servizio e di non avere dato niente in cambio è uno scambio non equo perché non trasparente». Per essere più chiari, si può pensare che in un prossimo futuro ci sarà il diritto e la possibilità dell’individuo di percepire, in qualche modo, un suo profitto dall’utilizzo che Google, Facebook eccetera fanno sulle informazioni che lo riguardano? «Qualcosa di simile sta già avvenendo. Si stanno sviluppando società che gestiscono i profili personali in nome e per conto del soggetto che li mette a disposizione. In questo modo si realizza un controllo totale dell’utilizzo dei dati e i benefici vanno direttamente al soggetto che li mette a disposizione. Quindi potranno andare anche all’individuo». Intanto, però, il mondo dei media è squassato da anni dalla politica di Google e degli altri motori di ricerca. Il patto originario (Google preleva informazioni che la casa editrice rende prelevabili e in cambio dà una visibilità molto più ampia alle informazioni suddette) non funziona più. «L’informazione di qualità è sempre stata pagata da un mix di ricavi da pubblicità e di ricavi da vendita. Penso che nel futuro tornerà a essere così perché modelli di business basati solo sulla pubblicità sono sostenibili in un mercato monopolistico ma molto meno facilmente in un mercato competitivo dove esiste una pluralità di operatori». È palese che l’Unione Europea e gli Usa hanno due atteggiamenti diametralmente opposti. Quello che sta emergendo in questi giorni ne è la giustificazione. «La vicepresidente della Commissione Europea, Viviane Reding, ha avviato su questi temi una battaglia che va sostenuta. Sono proprio i media in primo luogo che la devono sostenere». Nel libro le società di telecomunicazioni sono definite trasportatori stupidi perché trasportano sulle loro autostrade il traffico miliardario dei cosiddetti Over the top, appunto i vari Google, senza averne particolare profitto. È possibile che questi grandi operatori siano chiamati a investire massicciamente nelle nuove reti di tlc? O continueranno ad approfittare del trasportatore stupido e degli utenti non certo intelligentissimi? «Non vedo per il momento segnali di investimenti. L’onere dei massicci investimenti necessari per realizzare le reti di nuova generazione grava interamente sulle società di telecomunicazioni». Come dire che Google e compagni riescono per ora a dominare anche le grandi società di telecomunicazioni, escludendole dai loro ricchissimi guadagni. Una ragione in più per marciare (il ruolo spetta all’Europa) verso una regolamentazione seria della rete a 360 gradi. * * * L’utilizzo di internet può essere una grande occasione di sviluppo. L’Italia non è certo all’avanguardia e non si vede neppure come lo possa diventare se il clima del Paese è quello che dopo poche settimane di speranza, come sottolinea giustamente all’interno di questo numero Lamberto Dini, una delle menti più lucide della politica in materia economica, è ritornato cupo di fronte alla prudenza del governo Letta nell’affrontare di petto i tagli della spesa e del debito per abbassare significativamente la pressione fiscale.