Nello Scavo, Avvenire 14/5/2013, 14 maggio 2013
FINE PENA MAI. QUANDO IL CARCERE DIVENTA INGIUSTIZIA
Neanche al ministero della Giustizia sanno esattamente quanti siano. Uomini ombra: 1.500 secondo alcune stime, tremila secondo le associazioni di volontariato nelle carceri. Gli ergastolani ostativi sono dei fantasmi la cui voce ogni tanto riesce a superare le barriere di acciaio e cemento. Sono la prova vivente che il fine pena mai non è una leggenda. Che davvero nelle prigioni della Penisola ci sono uomini che ne usciranno solo da morti. Come Giuseppe Barreca, rinchiuso a Spoleto, che per non aver rivelato i nomi dei complici non lascerà mai la galera. Il carcere, però, lo ha cambiato. «Ho capito peraltro che il sacrificio ripaga e che il sudore versato per raggiungere uno scopo è quanto di più nobile l’uomo possa aspirare», ha scritto in occasione della sua laurea.
«Ecco perché ritengo un vanto potere affermare che giorni, mesi e anni ingobbito sui libri hanno rivoluzionato e fatto crollare tutto ciò che di inutilmente nocivo albergava in me». Ed oggi «mi sembra incredibile che io possa essere stato diverso di come invece sono diventato. Ma tant’è. E nessuno può negarlo». Le ragioni che spingono i giudici a comminare l’ergastolo ostativo sono quasi unicamente legate alla mancata collaborazione del detenuto giudicato colpevole di reati particolarmente gravi e cruenti. In alcuni casi, però, può arrivare il ravvedimento. «Ma nessuno – ci ha recentemente scritto uno di loro – tiene conto delle conseguenze».
Pentirsi, mettersi in discussione, riscoprirsi diversi da come si era fino al momento in cui si è premuto il grilletto o si è dato l’ordine di ammazzare qualcuno, non è una strada in discesa. A volte ci vogliono anni. «E gli anni sono una condanna in più», spiega l’ergastolano che non ha perso la speranza di riabbracciare, un giorno, i suoi cari. «Ero giovane, sono passati vent’anni da allora, e se adesso dicessi che avevo dei complici e chi essi sono, per la mia famiglia sarebbe una catastrofe». L’uomo in questione nel frattempo è perfino diventato nonno.
«Questo vorrebbe dire che la mia famiglia, i miei figli, le mie nuore, i miei nipotini, dovrebbero cambiare identità, cambiare città, vivere una vita blindata». E lui, dopo avere inflitto anni di dolore ai suoi, cari, non se la sente di affliggere un altro colpo ad una famiglia «che mia moglie è stata in grado di tenere unita nonostante me».
Storie come quella di Carmelo Musumeci, che per il suo lavoro di scrivanobibliotecario presso il carcere di Spoleto guadagnava 26 euro al mese.
Una remunerazione «non decorosa, umiliante e non rieducativa», per questo Carmelo Musumeci, aveva scritto al ministro Severino una lettera aperta.
«Sono un uomo ombra, un ergastolano ostativo, cattivo e colpevole per sempre secondo la legge», scrisse Musumeci. Entrato in cella con la licenza elementare, mentre era all’Asinara in regime di 41-bis, riprese gli studi e da autodidatta completò le scuole superiori.
Nel 2005 la laurea in Giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo ’Vivere l’ergastolo’. Nel maggio 2011 la laurea a Perugia in Diritto penitenziario. Attraverso alcuni volontari dell’associazione Giovanni XXII fondata da don Oreste Benzi, Musumeci aggiorna anche un suo blog dedicato esclusivamente a quelli come lui.
L’ultimo è del primo marzo: «Oggi pensavo che mi sono rimasti solo i miei sogni. Solo loro sono ancora vivi». A meno che il legislatore non voglia ascoltare le loro voci e quelle dei tanti giuristi che cominciano a scardinare l’assurdo giurisprudenziale del «fine pena mai».