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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

ADDIO NICOTRA, PORTO’ IN CASA "DRIVE IN"

Ah Nicò, damme la due”. Gianfranco Funari se ne è andato da tempo e adesso lo ha raggiunto anche “Nicò”, l’amico di una vita, Gian Carlo Nicotra, 69 anni, regista, autore, doppiatore, montatore e altre mille cose, cresciuto alla scuola del teatro siciliano dei Grasso e dei Musco, attivo “complice” nella rivoluzione culturale della Tv italiana e poi emigrato in Cina, a guardare in faccia Shanghai, come nelle canzoni di Paolo Conte. Prima di finire un passo dietro i riflettori o di interpretare un’anonima voce nel selvaggio West di Rin Tin Tin, Gian Carlo Nicotra in scena era stato. Recitando con Orson Welles e Totò , agli ordini di Steno e Monicelli, negli sceneggiati tv tratti dalle opere di Grazia Deledda, in un perenne, ventosissimo palco che agli zingari felici come lui, aveva concesso un’alternativa che aveva finito per essere l’unica possibile.
La Tv e l’ipotesi della regìa, giunsero con un maestro come Enzo Trapani. Prima sul campo, a imparare, poi con Antonello Falqui e Enrico Vaime ad affinare l’arte ai bordi di Canzonissima, infine in prima fila, col soffio consolante di 18 milioni di telespettatori alle spalle, nel 1978. Il programma si chiamava La Sberla, con le sigle cantate da Paolo Zavallone alias “El Pasador” e il cabaret che nello sketch rielaborava il varietà sull’onda di certe celebri cantine milanesi.
Greggio e Beruschi, motori con Nicotra del successo Rai, trasferirono l’ipotesi in Drive in. Nicotra collaborava con Antonio Ricci e da romano, non diversamente dal ligure, nutriva il medesimo disincantato disprezzo per chi in quella picara stagione di tv privata aveva a tutti i costi voluto leggere non tanto la pretesa “volgarità”, ma genesi, segreto e ascesa del futuro impero berlusconiano. La vita era più semplice e le sovrastrutture, la complicavano non meno delle malattie. Prima di arrendersi all’ultima, Nicotra aveva preferito parlare con la qualità. Una cura antica del mestiere che poggiava su solide, esportabili basi. Così il luogo fisico, fosse lo studio di Domenica In o un bistrot per descrivere i sogni di Aznavour, era solo un espediente per raccontare delle storie. Simile al Wolfe di Tarantino, con la battuta feroce, l’intelligenza rapida e lo sguardo vispo, Gian Carlo arrivava per risolvere problemi. Lo premiavano spesso, ma l’abitudine non lo annoiava. Ripartiva sempre. Un Festivalbar, un’esterna, una sessione con Renato Rascel. Giancarlo era lì. Smarrito nel fumo di una sigaretta. Il timone in mano. La guida sicura. “Ah Nicò, damme la due”.