Marino Niola, il Venerdì 14/6/2013, 14 giugno 2013
LA SOCIETÀ DEI CREDULONI
Stiamo diventando una società di creduloni superinformati. Sappiamo un po’ di tutto ma la realtà ci sfugge da ogni parte. È il paradosso della civiltà dell’informazione. L’aumento delle conoscenze e i progressi della tecnologia anziché favorire un atteggiamento più razionale stanno provocano un ritorno massiccio di credenze e luoghi comuni. Superstizioni in versione 2.0. Che si accompagnano a una diffusione crescente del sospetto generalizzato. Nessuno si fida più di nessuno. E meno che meno degli scienziati, degli esperti, delle istituzioni. A dirlo è il sociologo Gérald Bronner in un libro appena uscito in Francia, La démocratie des crédules, (Puf, p. 344, euro 19) ovvero la democrazia dei creduloni. Un titolo sferzante che fotografa lo stato del mercato della conoscenza nell’era di internet. E lancia un grido d’allarme sulle conseguenze nefaste della moltiplicazione e diffusione virale di notizie fai-da-te prodotte dalla rete. Che rischia addirittura di mettere in ginocchio la democrazia. Di farla implodere dall’interno. Anabolizzando i suoi principi attivi: la libertà, l’eguaglianza, la concorrenza, la trasparenza, il dubbio metodico.
Oggi il cittadino globale vive in un clima di diffidenza, inquietudine e sospetto generalizzati. E proprio per questo spopolano le spiegazioni semplici e monocausali di una realtà sempre più complessa. Perché, come diceva Paul Valéry, la credulità consiste nel vedere soltanto una cosa laddove ce ne sono tre o mille. Le semplificazioni consolatorie ci rassicurano, ci danno l’impressione di capirci qualcosa, di saperla lunga, di non farci infinocchiare dalle versioni ufficiali dei fatti. Che si tratti degli ogm, dei vaccini, della sicurezza alimentare, del nucleare, il minimo comun denominatore è una sindrome da complotto che provoca una sfiducia crescente verso tutte le autorità, scientifiche o politiche. Ma anche verso gli altri, i vicini, i colleghi, gli stranieri. Un sondaggio Gallup del 2012 rivela che il settanta per cento dei cittadini occidentali non si fida letteralmente di nessuno. E questo sentirsi soli contro tutti determina uno stato di rassegnazione, insicurezza e paura. Mentre la fiducia è la materia prima della democrazia. Che si regge sulla delega dei saperi e dei poteri.
Se in altri tempi, infatti, una persona colta dominava tutto lo scibile, oggi la massa delle conoscenze e competenze necessarie alla vita è superiore alle capacità di elaborazione dei singoli. Perciò riconoscere l’autorevolezza degli esperti è indispensabile. Invece il pregiudizio antiscientifico cresce a ritmo esponenziale soprattutto su temi molto mediatizzati e che danno a chiunque l’impressione di avere le competenze necessarie a farsi un’idea. Il risultato è che il 58 per cento dei francesi non ha fiducia negli scienziati in materia di ogm e di biotecnologie. E sul nucleare la percentuale schizza al 70.
E se la scienza piange, i media non ridono. In Occidente la maggioranza non crede all’indipendenza e alla credibilità di giornali e televisioni. Cosi il tessuto collettivo della fiducia appare ogni giorno più compromesso. Al punto che in Francia, dove il progresso è una fede e la ragione una religione, nel 2011 43 persone su cento erano assolutamente convinte che la scienza abbia più svantaggi che vantaggi. Nonostante bastino poche nozioni di storia per sapere che è proprio grazie alle scoperte della medicina, della chimica e della fisica che l’aspettativa di vita è passata dai trent’anni dell’Ottocento agli ottanta di oggi. E che le epidemie di peste, tifo, colera facevano milioni di vittime prima che fossero inventati i vaccini.
Così, a dispetto dell’evidenza, proprio i vaccini sono sotto accusa. E precisamente dal 1998, quando la prestigiosa rivista Lancet pubblicò, con una buona dose di leggerezza, uno studio che metteva in relazione la vaccinazione trivalente Mmr (contro morbillo, parotite e rosolia) con la possibile insorgenza dell’autismo. Era una bufala. Ma, nonostante le smentite del General Medical Council britannico e la sconfessione della stessa Lancet, le vaccinazioni sono crollate. E ovviamente i casi di morbillo nel Regno Unito sono cresciuti a dismisura. Il rischio vaccino è diventato un Leitmotif del passaparola fra genitori in rete. E le proiezioni dell’immaginario hanno preso il sopravvento sui dati reali. Come se il responso di Google e Yahoo fosse più attendibile delle competenze mediche. E da un recentissimo studio della Fondazione Veronesi risulta che il 20 per cento dei genitori italiani non si fida dei vaccini pediatrici non obbligatori. Un po’ perché teme effetti collaterali, un po’ perché sospetta che sia tutto un business farmaceutico. E infine perché crede che non siano efficaci. Confidando invece nella vox populi. Con un corto circuito tra sospetto generalizzato e credulità incondizionata. Aveva ragione Diderot, uno dei padri dell’Illuminismo, quando diceva che credere troppo è altrettanto rischioso che credere troppo poco.
Queste mitologie complottiste, queste pseudocertezze hanno grande fortuna anche perché gratificano gli istinti più bassi della cosiddetta controcultura. O della controinformazione. Che in sé sono istanze profondamente democratiche. E dunque ci seducono senza farci sentire irrazionali, o oscurantisti, al massimo siamo autodidatti. Bronner chiama tutto questo nichilismo mentale. E individua due responsabili. Da una parte internet, dall’altra il nuovo mercato della conoscenza dominato dallo sviluppo incontrollato delle tecnologie dell’informazione. Che moltiplicano a dismisura le fonti d’informazione senza la possibilità di verificarne l’attendibilità. Anche perché il ranking dei motori di ricerca fa galleggiare i contenuti più popolari, non quelli più veri. Così un blob di false evidenze e di pseudo conoscenze cannibalizza il web rendendo sempre più difficile distinguere tra verità e impostura. Soprattutto per chi non abbia strumenti intellettuali sufficienti.
Il rimedio ovviamente non è chiudere internet. Ma alfabetizzare i motori di ricerca. In modo da far affiorare i saperi seri e affondare l’analfabetismo. Prima che questa democrazia apparente si rovesci nel suo contrario. Uno stato di natura digitale.
Marino Niola