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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

Anche se risulta prematuro parlare di una mutazione di regime nella Russia di Putin, appare evidente la tendenza delle autorità di quel Paese a un crescente accentrato autoritarismo

Anche se risulta prematuro parlare di una mutazione di regime nella Russia di Putin, appare evidente la tendenza delle autorità di quel Paese a un crescente accentrato autoritarismo. Scontato che il rapporto con l’Europa è inevitabilmente condizionato dagli sviluppi della politica estera russa, quali possono esserne le conseguenze nella gestione delle relazioni reciproche? Quale atteggiamento tenere in nome dei valori della nostra cultura politica avendo presenti gli interessi comuni sul piano della sicurezza e dall’economia che ci legano alla Russia? Paolo Calzini camelia.flori.moldoveanu@ hotmail.it Caro Calzini, L a parabola di Putin è molto simile a quella del leader turco Cerep Tayyp Erdogan. Hanno sempre avuto uno stile autoritario, ma la lunga familiarità con il potere ha reso entrambi sempre più sprezzanti e insofferenti di qualsiasi ostacolo appaia sulla loro strada. Sono entrambi convinti che l’identità nazionale sia anche una identità religiosa e Putin si sta sbarazzando del dissenso liberal-democratico nello stesso modo in cui Erdogan ha smantellato il bastione laico dello Stato fondato da Kemal Atatürk. Ma sono anche modernizzatori, riformisti e quindi, direttamente o indirettamente, artefici di una società aperta, informata, continuamente in rete, perfettamente capace di confrontare ciò che accade nel loro Paese con le condizioni di vita nei Paesi occidentali che possono liberamente visitare. Uno degli aspetti più interessanti della politica russa degli ultimi anni è la tenacia con cui migliaia di persone continuano a riempire le piazze nonostante i brutali interventi della polizia. Putin può contare sul clero, sui nazionalisti, sui ceti sociali che godevano di maggiore sicurezza durante il regime comunista, sull’apparato statale, sulla propria casa madre (il vecchio Kgb) e sugli oligarchi che si conformano ai suoi ordini di scuderia. Ma non può impedire la nascita di una Russia democratica sempre più critica e coraggiosa. Che cosa possiamo fare per incoraggiare la crescita di questa Giovane Russia? Posso dirle più facilmente, caro Calzini, quello che è meglio non fare. Non dovremmo, a differenza degli americani, finanziare le associazioni non governative che operano in Russia. I loro scopi sono spesso nobili, ma il finanziamento straniero di una associazione nazionale ha quasi sempre l’effetto in Russia di risvegliare antiche paure e diffidenze. È meglio puntare sugli scambi giovanili, sulle collaborazioni universitarie e aziendali. Resta il problema del petrolio e del gas. Le grandi risorse energetiche della Russia sono potenzialmente utili a tutti i Paesi del continente: a noi che possiamo contare su una straordinaria quantità di idrocarburi alle porte di casa e ai russi che hanno una insaziabile fame di infrastrutture. Ma i migliori rapporti economici sono quelli nei quali nessuno dei due è ricattabile. L’apparizione sul mercato di gas proveniente da rocce scistose ci offre l’occasione di dire ai russi che il loro Paese non è il solo con cui fare affari.