Alessandra Farkas, Corriere della Sera 14/6/2013, 14 giugno 2013
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK — I media americani parlano già di «sentenza storica» e di «pietra miliare» che «cambierà in maniera irreversibile il corso della ricerca medico-scientifica». I nove sommi giudici della Corte Suprema Usa ieri hanno unanimemente stabilito che, mentre il materiale genetico di natura sintetica (cioè prodotto in laboratorio) può essere ancora oggetto di brevetto da parte di aziende for profit, lo stesso principio non può più essere applicato a un segmento di Dna umano e ai geni in esso contenuti.
Al centro della disputa pervenuta di fronte al massimo tribunale Usa vi erano i brevetti sui geni (non sintetici) Brca1 e Brca2, responsabili dell’incremento — fino a dieci volte — del rischio per le donne di ammalarsi di cancro al seno e alle ovaie. Noti in passato solo agli addetti ai lavori, questi due geni oggi di proprietà esclusiva della Myriad Genetics (azienda di biogenetica dell’Utah che li aveva scoperti negli anni 90) sono di recente balzati agli onori della cronaca quando l’attrice Angelina Jolie ha rivelato di essersi sottoposta a un intervento di mastectomia preventiva dopo aver scoperto di esserne portatrice, proprio come sua madre morta di tumore nel 2007.
Non tutte le donne hanno però la possibilità, come la Jolie, di sborsare 3 mila dollari per effettuare il cosiddetto BRACAnalysis test offerto in esclusiva dalla Myriad Genetics. Ecco perché per molti dottori e pazienti americani la sentenza di ieri è una vittoria contro la pratica di brevettare geni isolati dal corpo umano che secondo i suoi detrattori rischiava di intralciare i progressi della ricerca scientifica, ma anche la pratica medica e la salute delle persone.
Dietro input dello stesso presidente Barack Obama, la Corte Suprema è alla fine riuscita a individuare una soluzione di compromesso che annulla le precedenti sentenze di alcune corti minori che avevano di fatto legalizzato il brevetto dei Brca. La loro tesi: i geni isolati sono sostanzialmente diversi dai geni nel loro stato naturale e perciò possono essere brevettati.
Ma la Corte Suprema ha rovesciato quest’assunto. «Il Dna è un prodotto della natura e non è idoneo per un brevetto soltanto per il semplice fatto di essere stato isolato», ha affermato il giudice Clarence Thomas nel leggere la sentenza. «È evidente che Myriad non ha creato ex novo né alterato alcuna informazione genetica decodificando i geni BRCA1 e BRCA2», ha aggiunto, concludendo che «alcune scoperte non possono essere brevettate soltanto perché geniali, innovative e rivoluzionarie».
Immediata la reazione della American Civil Liberties Union, la più antica organizzazione per la difesa dei diritti civili. «Oggi viene demolito un enorme ostacolo alle cure e all’innovazione medica», ha commentato la portavoce Sandra Park. Non esulta, invece, l’industria biogenetica americana, che accusa l’Alta Corte di aver stravolto tre decenni di concessioni di brevetti da parte dell’U.S. Patent and Trademark Office. Circa il 20% dei geni umani attualmente conosciuti, come quelli legati all’Alzheimer e alle forme tumorali, sono sotto brevetto di aziende private, università e istituti di ricerca. «Se le società biogenetiche non hanno modo di recuperare gli investimenti attraverso i profitti che si ottengono con i brevetti», puntano il dito, «non vi saranno più progressi nella ricerca scientifica per combattere le malattie».
Per la Myriad si tratta in realtà di una mezza sconfitta. Subito dopo la sentenza, essendo proprietaria dei brevetti di altri geni sintetici, il suo titolo è balzato a Wall Street dell’8%, raggiungendo i massimi di tre anni.
Il New York Times, intanto, prevede che il prezzo del BRACAnalysis test diminuirà «drasticamente» a partire dall’autunno.
Alessandra Farkas
EDOARDO BONCINELLI
Ha vinto il buon senso e la tradizione libertaria dell’Occidente. I geni umani non possono essere brevettati. Solo materiale genetico modificato in laboratorio può essere oggetto di brevetto. Questa la tanto attesa, ma per me scontata, decisione della Corte Suprema Usa. La decisione, presa all’unanimità, mette fino a una ridda di discussioni fatte più o meno in buona fede negli ultimi tempi.
Di che si tratta? Da quando la genetica è divenuta così importante per la gestione della salute umana e più in generale per l’economia, si era posto il problema della brevettabilità delle sequenze dei diversi geni umani, che via via si andavano determinando nei vari laboratori del mondo, soprattutto dopo il sequenziamento completo del nostro genoma. Queste sequenze, in sostanza, sono patrimonio di tutti o solo di qualcuno che ha pagato per averle? Se sono di tutti, chiunque le può utilizzare, a fini diagnostici o di preparazione di farmaci. Se sono solo di qualcuno, solo questo qualcuno è autorizzato a lavorarci e gli altri, se vogliono usufruirne, devono pagare.
È abbastanza chiaro che alcune grosse industrie farmaceutiche facevano il tifo per la brevettabilità, così avrebbero avuto l’esclusiva su un gene o su un gruppo di geni, e avrebbero potuto lavorarci senza l’assillo della fretta e della pressione di altri possibili concorrenti. Ma sarebbe stato una sorta di furto, la sottrazione di conoscenze da un patrimonio comune, che deve essere a disposizione di tutti.
Dall’altra parte ci stanno idealmente i pazienti e i loro medici, che desiderano ardentemente fare tesoro di queste conoscenze, anche se magari al momento non possiedono i fondi e le attrezzature per lavorarci. Quindi tutti sono potenzialmente impegnati nella ricerca sui geni e sul genoma.
È chiaro però che non tutti sono in grado di fare certi tipi di studi e di applicazioni, ed è giusto che chi li sa fare ed è disposto a spendere per questo venga protetto da un brevetto, perché tutto il mondo produttivo funziona così. Giusto quindi liberalizzare i geni in quanto tali e, nello stesso tempo, assoggettare a brevetto le operazioni che hanno portato a modificarli per raggiungere questo o quello scopo.
D’altra parte è noto che sono brevettabili solo i prodotti dell’ingegno e quelle metodologie e quelle procedure atte a condurre a un prodotto materiale finito. Assurde erano, secondo me, le pretese che anche questi prodotti finali non fossero brevettabili. Sarebbe crollato tutto l’edificio della cosiddetta Ricerca e Sviluppo, termine così poco usato dalle nostre parti, ma di bruciante attualità nel mondo anglosassone.
Che cosa cambierà dopo questa sentenza? Secondo me niente, ma si potrà lavorare tutti più tranquillamente e forse più proficuamente. Per ottenere cosa? Prodotti diagnostici in primo luogo, per diagnosi confermative, differenziali, precoci o prenatali, per diagnosi predittive o esplorative e per cercare di determinare tutte le associazioni fra le diverse malattie genetiche e le predisposizioni che ancora non conosciamo. Per produrre farmaci curativi o palliativi, vaccini e antisieri, per allungare la vita umana e migliorarne la qualità.
La conoscenza oggi è sempre più un patrimonio, immediato o a più lungo termine. Occorre quindi liberalizzarla e farla circolare il più possibile. L’uomo dalla parte sua ha solo la conoscenza e la capacità di utilizzarla. Ne deve far tesoro quindi e non lasciarsi sfuggire le opportunità, per egoismo, per paura o per stupidità.
LA REPUBBLICA
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK
— Èuna vittoria per i pazienti di cancro, per i ricercatori, per la scienza medica. Il gene umano non può essere brevettato: lo stabilisce da ieri una storica sentenza della Corte suprema americana. Lo stop alla “privatizzazione” del gene dà ragione a tutti coloro che si sono battuti contro questa pratica, denunciandola come una restrizione alla libertà di ricerca e al progresso nelle cure. Il “mattone con cui si costruisce la vita umana”, com’è stato definito il gene, non può diventare l’oggetto di un business circondato da barriere impenetrabili. La sentenza è considerata una delle più importanti nell’era della biogenetica e della medicina molecolare, farà giurisprudenza in altre situazioni analoghe. Il caso specifico su cui il tribunale costituzionale si è pronunciato riguarda la società Myriad Genetics, con sede nello Utah. Titolare di brevetti su due geni, designati in codice come
Brca1 e Brca2: possono rivelare se una donna ha un elevato rischio ereditario di essere colpita dal cancro al seno o alle ovaie. I geni in questione sono stati al centro del “caso” di Angelina Jolie, la celebre attrice che annunciò il mese scorso la sua decisione di sottoporsi alla mastectomia (asportazione dei seni) dopo avere appreso che per motivi ereditari aveva elevate probabilità di tumore. Ma i test diagnostici precoci, proprio in conseguenza del brevetto sui geni, costano cari: anche oltre i tremila dollari a paziente. Solo in certi casi questi test sono rimborsati dalle assicurazioni private, certo non per tutte le potenziali pazienti. Ora che i brevetti di Myriad sono stati dichiarati illegittimi, la speranza è che questi test siano più accessibili e che nessuna donna debba rinunciarvi solo per ragioni economiche. E’ quel che ha dichiarato il medico Harry Ostrer, che si era presentato fra le parti lese nel ricorso finito davanti ai giudici costituzionali. «La tariffa di un test — ha detto ieri Ostrer — dovrebbe
scendere in modo sostanziale. Questa sentenza avrà un effetto immediato e benefico sulla salute delle donne».
Le ramificazioni della sentenza possono essere ancora più ampie. Farà giurisprudenza in altri campi, dà un segnale importante al mondo della ricerca medica, e al business biogenetico che punta sullo sfruttamento privato di queste scoperte. L’alta Corte si è attenuta da vicino a un parere espresso dall’Amministrazione Obama: la linea del governo è che un singolo elemento del nostro Dna non può essere brevettato, mentre possono esserlo quelle “costruzioni artificiali” chiamate Dna complementari (in sigla cDna). In questo senso non viene sconfitta del tutto la privatizzazione dei geni: non a caso in Borsa ieri il titolo Myriad ha reagito positivamente.
La sentenza costituzionale è stata adottata all’unanimità. Il dispositivo è stato scritto da un giudice repubblicano molto conservatore, Clarence Thomas. «Un segmento naturale del Dna
— si legge nella motivazione — è un prodotto della natura e pertanto non può essere brevettato solo perché qualcuno lo ha isolato. Myriad non ha creato né alterato l’informazione contenuta nei geni Brca1 e Brca2. Una scoperta, per quanto innovativa e
brillante, di per sé non basta a soddisfare il criterio della sua brevettabilità». Resta invece, nel testo di Thomas, la possibilità di brevettare la manipolazione di un gene finalizzata a creare qualcosa che non esiste in natura; oppure di brevettare i metodi originali usati per isolare questo o quel gene.
Tuttavia nell’immediato la vittoria per la libertà di ricerca, e per la tutela dei pazienti, è notevole.
Decaduti i brevetti, Myriad non potrà più far causa contro chi usa questi geni per le diagnosi precoci del rischio tumorale. La concorrenza farà scendere i costi. Il verdetto della Corte suprema — che sconfessa un precedente pronunciamento di una corte d’appello — rappresenta anche un chiaro ammonimento rivolto allo U. S. Patent and Trademark Office. Dagli anni Novanta questo ufficio federale dei brevetti ha accettato di registrare molte migliaia di scoperte relative alla genetica. Da tempo questa sua politica è bersaglio di critiche. Vuoi perché dotato di mezzi insufficienti rispetto agli eserciti di avvocati delle imprese, vuoi perché troppo “comprensivo” verso gli interessi del business, l’ufficio brevetti è stato molto generoso nelle sue concessioni. Ora avrà un ostacolo insormontabile: chiunque potrà appellarsi alla sentenza costituzionale, per difendere la propria libertà di ricerca o il proprio diritto alle cure.
ELENA DUSI
ROMA
— «Leggere il Dna è diventato così facile oggi. Concedere brevetti sulle sequenze dei geni non era solo sbagliato, era diventato ormai anacronistico ». Fulvio Mavilio non è stupito: la sentenza della Corte Suprema Usa prende atto dell’avanzamento prepotente della tecnologia nel campo della genetica. Lo scienziato che oggi dirige Genethon (l’equivalente francese di Telethon) ha insegnato biologia molecolare all’università di Modena e Reggio e fondato due aziende biotech a Milano. Alla doppia elica sa dunque guardare a tutto tondo.
Cosa cambia per noi europei?
«Pratica mente nulla. L’Europa ha deciso anni fa che il genoma non è brevettabile. Il caso americano era un paradosso e la decisione della Corte Suprema era molto attesa. Quando la Myriad ottenne il brevetto, sequenziare un gene come Brca era un’impresa d’avanguardia. Oggi un mio studente saprebbe farlo».
Perché allora i test della Myriad da noi costavano
come negli Usa?
«Perché nessuno ha mai prodotto un test concorrente. In Europa il brevetto non era riconosciuto, d’accordo. Ma la paura di finire in tribunale con spese legali enormi aleggiava comunque».
La ricerca ora sarà più libera?
«I brevetti riguarda-
vano la commercializzazione dei test genetici. Non avevano impatto sulla ricerca di laboratorio. La nostra libertà non era in ballo perché siamo diventati da tempo bravi e veloci nel sequenziare il Dna, senza bisogno
della Myriad».
Perché le azioni della Myriad sono salite?
«Perché la Corte da un lato ha cancellato i brevetti su una tecnologia del passato. Ma dall’altro ha sancito la possibilità di chiederli sulla tecnologia del futuro: la genetica che interviene
sul Dna modificandolo. Si tratta di tecniche con cui possiamo produrre farmaci, piante, semi o animali per curare le malattie. E lì l’elemento di innovazione è innegabile. Per questo la decisione della Corte non ha stupito i mercati, e i guadagni delle azioni si spiegano con un normale sospiro di sollievo. La sentenza ha rispettato le attese e sventato il timore di prese di posizione oscurantiste ».
Giusta o sbagliata, la brevettabilità dei geni ha fatto da ombrello
per anni a un enorme settore della scienza. Ha forse
drogato un mercato?
«È vero, l’industria investe dove intravede guadagni e i brevetti hanno reso attraente questo settore in anni cruciali per la sua crescita. Ma il fattore essenziale per la scienza resta la conoscenza, non la brevettabilità. Al progresso della genetica ha contribuito infinitamente di più il Progetto Genoma Umano. I cui dati sono da sempre pubblici».
PIERGIORGIO ODIFREDDI
LA NATURA non si brevetta. Con questo slogan si può tradurre la decisione che arriva dagli Stati Uniti. D’altra parte per semplificare un po’, ma non troppo, la biologia contemporanea può essere considerata come uno scontro fra Titani. Da una parte, ci sono gli scienziati “duri e puri”, interessati alla ricerca per scoprire com’è fatta la Natura, per il bene dell’umanità. DALL’ALTRA parte, gli scienziati “duri e impuri”, interessati alla ricerca per scoprire com’è fatta la Natura, per il bene del loro conto in banca.
I vessilliferi di questi due gruppi sono i due biologi più famosi del mondo: rispettivamente, James Watson e Craig Venter. Entrambi sono stati degli
enfant prodige,
e sono diventati degli
enfant terrible.
Ed entrambi hanno legato il loro nome al Progetto Genoma, che nel 2000 ha portato alla sequenziazione del genoma umano.
Watson fu il primo direttore del Consorzio pubblico fondato nel 1988 dall’Istituto Nazionale della Sanità degli Stati Uniti, che coordinò una ricerca internazionale in cui parti diverse del genoma furono sequenziate da nazioni diverse. Venter fu invece il presidente della compagnia privata Celera, che nel 1998 si affiancò al Consorzio pubblico nella corsa al traguardo. La sua entrata in gara accelerò la corsa, che però in parte fu truccata dal fatto che la Celera usò molti dei dati del Consorzio pubblico, che erano essi stessi pubblici.
La corsa si concluse con una dichiarazione di parità il 26 giugno 2000, quando il secondo direttore del Consorzio pubblico, Francis Collins, annunciò insieme a Venter alla Casa Bianca il raggiungimento dell’obiettivo. Il presidente Clinton dichiarò che l’uomo aveva appreso il linguaggio della vita, ma rimaneva da leggerne il libro: cioè, identificare i geni che ne costituiscono i capitoli. E già prima di quel momento era sorta la questione se i geni identificati si potessero “brevettare”: parola che, naturalmente, è solo un sinonimo di “privatizzare”.
Come si può immaginare, Watson era assolutamente contrario. E così era Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina e primo ideatore del Progetto Genoma, che in un’intervista per
Repubblica
del 2002 mi disse: “Per me un brevetto è un prodotto ottenuto con mezzi non banali, e che abbia dimostrata utilità. Brevettare un gene da cui si è ottenuto un prodotto utile, va bene. Ma non so perché si debba concedere il brevetto a un gene soltanto perché lo si è identificato, senza sapere né dove agisce, né cosa fa”.
Come si può di nuovo immaginare, Venter era al contrario assolutamente favorevole. Il premio Nobel per la medicina Hamilton Smith, che è la mente dei progetti di cui Venter è il braccio, prese una posizione intermedia, così testimoniata in un’altra intervista che gli feci per
Repubblica
nel 2005: “Non ho problemi coi brevetti
provvisori,
che congelino ad esempio per un anno i diritti su un gene che è stato appena trovato, nell’attesa che se ne scopra qualche uso immediato”.
In realtà, messi da parte gli interessi, la non brevettazione dei geni era semplicemente una questione di buon senso. Anche perché si può facilmente immaginare cosa succederebbe se si brevettassero geni umani: tutti gli esseri che li hanno potrebbero essere costretti a pagare, per il solo fatto di averli. Si istituirebbe così una tassa sull’esistenza, ancora peggiore di quelle per l’aria che si respira, l’acqua che si beve, o il Sole che ci riscalda. Una vera follia, che solo l’avidità di un Dottor Stranamore poteva immaginare e difendere.
La Corte Suprema degli Stati Uniti ora ha finalmente dato ragione a Watson e Dulbecco, oltre che agli uomini di buon senso, a proposito dei geni umani. Ma ha lasciato aperta la questione dei geni artificiali, ai quali si stanno dedicando da anni Venter e Smith: la guerra continua.
LA STAMPA
PAOLO MASTROLILLI
Il regime di Assad ha usato le armi chimiche, e gli Stati Uniti hanno deciso di rispondere armando l’opposizione. Una soluzione politica alla crisi resta ancora la via d’uscita preferita da Washington, ma la Casa Bianca è pronta a considerare tutte le ipotesi, inclusa quella dell’intervento militare diretto.
L’annuncio è stato fatto ieri da Ben Rhodes, consigliere del presidente Obama per le questioni di sicurezza nazionale, durante una «conference call» organizzata d’urgenza alle cinque del pomeriggio, quando in Italia erano le undici di sera.
Rhodes ha detto che l’intelligence americana ha appena completato una nuova valutazione della situazione in Siria, ed è arrivata alla conclusione che Damasco ha usato le armi chimiche contro i suoi oppositori e contro i civili. Il consigliere della Casa Bianca ha indicato anche alcuni episodi specifici in cui questi agenti mortali sono stati utilizzati: il 19 marzo vicino ad Aleppo, il 13 aprile nella stessa zona, il 14 maggio a nord di Homs, e il 23 maggio alla periferia di Damasco. Le vittime sono state tra cento e duecento, ma la valutazione è ancora in corso e quindi questo bilancio rappresenta un dato approssimativo.
Rhodes ha spiegato che tali azioni da parte di Assad rappresentano una violazione della «linea rossa» tracciata nei mesi scorsi dal presidente Obama, che quindi ha deciso di reagire aumentando il sostegno offerto all’opposizione. Il consigliere ha chiarito che si tratta di appoggio politico, ma anche militare. L’invio di armi è già cominciato, e riguarda forniture che finora non erano mai state concesse ai guerriglieri. Il presidente però non ha tolto alcuna opzione dal tavolo, e quindi non esclude un intervento militare diretto o la creazione di una no fly zone. Le ragioni che hanno provocato questa accelerazione sono state l’uso delle armi chimiche, ma anche l’aumento del coinvolgimento diretto dell’Iran e di Hezbollah al fianco del regime di Assad.
Obama ha informato la comunità internazionale del rapporto stilato dall’intelligence americana, e gli Stati Uniti ne parleranno tanto all’Onu, quanto al G8 della prossima settimana. Rhodes ha detto che anche la Russia è stata messa al corrente della situazione, e Washington si aspetta che questi sviluppi facciano riflettere Mosca sulle sue posizioni.
Il consigliere di Obama ha detto che la soluzione preferita per il governo americano sarebbe ancora un accordo politico, da trovare nell’ambito del processo di Ginevra o con altre forme di mediazione. Rhodes però ha chiarito che la condizione irrinunciabile per un’intesa tra le forze di opposizione e quelle governative è l’uscita di scena di Assad.
La tensione sulla Siria stava crescendo da giorni, in seguito alla recente avanzata delle forze del regime contro gli oppositori. Proprio mercoledì sera l’ex presidente Bill Clinton aveva criticato Obama, dicendo che in una situazione del genere non si poteva più restare a guardare. La macchina della reazione americana però era già in moto, e il conflitto siriano entra ora nella sua fase finale.