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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

IL MISTERO DELLA FAMA


FIRENZE. Andando dietro a Dan Brown, sembra di entrare in un suo romanzo, per l’esattezza l’ultimo, Inferno, ambientato soprattutto a Firenze, ma anche a Venezia e Istanbul, sulle tracce di un neomalthusiano pazzo che vuole risolvere con metodi molto spicci il problema della sovrappopolazione. Nel libro ci sono gli uomini in tuta del Consortium, una squadra privata molto speciale, che, muniti di droni e altre diavolerie, scatenano lo scompiglio in città all’inseguimento dell’alter ego letterario (e più figaccione) di Dan Brown: Robert Langdon, professore di simbologia a Harvard e spericolato investigatore di misteri nel tempo libero. A Firenze, invece, ci sono le body guard dello scrittore più letto del mondo che ce la mettono tutta per creare un clima da thriller intorno al loro protetto, anche se la popolazione non si mostra minacciosa né troppo invadente, ma solo amichevole e tollerabilmente incuriosita.
C’è anche Marta Alvarez, la storica dell’arte che lo ha aiutato nella ricerca delle location e che – come avviene spesso a chi bazzica Dan Brown – è finita nel suo romanzo, nel ruolo di curatrice di Palazzo Vecchio. È la prima volta che si rincontrano e lei, abbracciandolo, gli dice che le ha fatto proprio una bella sorpresa. Domando a Brown se chiede mai il permesso per operare queste trasposizioni e lui risponde di no, mai. E non c’è nessuno che la prende male? «No, neanche se lo faccio morire».
Dan Brown ha 59 anni, un taglio di capelli scalato e un’aria comprensibilmente soddisfatta. Gli studiosi alzano il sopracciglio sui suoi arditi collage di arte, storia, scienza, religione, misteri e complotti, negandogli ogni credibilità, ma la riverenza con cui viene accolto da funzionari e dirigenti della meravigliosa Biblioteca Laurenziana o di Palazzo Vecchio fanno intuire che un tour infernale di milioni di lettori sui luoghi del suo ultimo romanzo è quanto di meglio la città possa desiderare. Per dire: il portale Hotels.com propone già un conveniente pacchetto alberghiero Firenze-Venezia-Istanbul sulle tracce di Robert Langdon.
Dopo aver tramato con Galileo, Bernini, il Vaticano, Gesù, Maria Maddalena, Leonardo, la massoneria e vari illuminati di ogni ordine e grado, per la quarta avventura di Langdon Dan Brown si è rivolto a Dante Alighieri e alla prima cantica della Divina Commedia, Inferno, appunto. I cui versi e significati nascosti sono utilizzati per lasciare messaggi ancora più criptici da Bertrand Zobrist, un biochimico svizzero molto ricco, geniale e ossessionato dall’escalation demografica, che inaugura il libro buttandosi giù dal campanile della Badia a pagina 15.
Ma prima di morire, Zobrist ha architettato un diabolicissimo piano per ridurre di un terzo la popolazione, proprio come fece la Peste nera nel XIV secolo. E, tra una crisi di amnesia retrograda e una terzina da decrittare, tra un espresso al Caffè Rivoire e alcune acrobazie nel «sottotetto più straordinario del mondo», Langdon deve evitare che il piano si compia.
Se ci riesce, lo scopriranno i lettori, ma stavolta Brown non si è accontentato di un classico happy end. «Mi sembrava troppo facile, ho alzato la posta. Io mi sfido sempre, perché so che chi mi legge vuol essere spiazzato. Quando chiude il libro senza poter stabilire se il cattivo è veramente cattivo, vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro. Mi piacciono gli eroi che fanno cose sbagliate per un fine giusto. Zobrist trova una soluzione troppo drastica per ridurre la popolazione, ma certi suoi argomenti sono inoppugnabili. Per esempio, questo: quando la direttrice dell’Organizzazione mondiale della sanità compirà ottant’anni, l’umanità si sarà triplicata rispetto al giorno in cui lei è venuta al mondo». A questo punto, un’inevitabile incursione nella privacy: i coniugi Brown non hanno figli. «Io e mia moglie Blythe ne abbiamo parlato e abbiamo deciso così».
Sicuramente questo Zubris lascia tanti indizi che mettono a rischio il suo progetto per consentire a Dan Brown di sviluppare il plot. Ma, in termini di coerenza narrativa, perché non mantiene il segreto e si sabota da solo? «Per due motivi: il primo è che è pazzo. E il secondo è che Dante considera l’orgoglio il peggiore dei peccati: questa è la rovina di ogni eroe archetipico nella letteratura classica. L’umanità deve sapere che è stato lui a progettare il suo sfoltimento».
Nonostante le reiterate accuse di inattendibilità, anche in questo libro l’autore dichiara in apertura che tutti i riferimenti ad arti, letteratura, scienze e storia si basano su dati reali. Che bisogno c’era, dopo tutti i guai con il Vaticano per Il Codice Da Vinci e Angeli e demoni? Inferno è appena uscito (vendendo dieci milioni di copie, delle quali quasi uno in Italia) ed è già venuta fuori una magagna: la maschera mortuaria di Dante che tanta parte ha nella storia, non è originale, ma è stata eseguita in tempi molto più recenti. Lui non fa una piega e dice che è stata aggiunta una nota di correzione. Non la trovo nell’edizione italiana (che, per rispettare i tempi d’uscita planetaria, ha impegnato tre traduttrici, con inevitabili pasticci di personaggi, indecisi se darsi del tu o del lei), ma non stiamo tanto a sottilizzare.
Brown si presta anche un tête-à-tête fotografico con la maschera, conservata a Palazzo Vecchio, e spiega perché insiste tanto sui dati reali: «Io leggo quasi esclusivamente saggi perché voglio che la lettura mi insegni sempre qualcosa. Per qualche strana ragione, i romanzi mi piace solo scriverli. E quando Langdon attraversa un passaggio segreto, guarda un documento antico o ammira un monumento, voglio che i lettori sappiano che sono cose vere, per poi ritrovarle, se fanno un viaggio sui luoghi del libro. Questo attaccamento alla realtà però non vuole creare equivoci: le location sono vere, ma i personaggi e i loro pensieri sono fiction».
Bene, ma il dato più reale di tutti è un altro: questo signore siede su 178 milioni di copie vendute, in tutto il mondo. Mr Brown, adesso sveli questo, di segreto: come si fa a entrare in empatia con così tante persone? «All’inizio, ho avuto un timing fortunato: la gente cominciava a farsi domande sulle gerarchie e i misteri della Chiesa, sulla pedofilia e altri scandali». Tanti milioni di lettori così interessati alle storie e storiacce della Chiesa, da Gesù allo Ior? «Ho un pubblico vastissimo: ricevo lettere da quattordicenni e da fisici delle particelle ultraottantenni. Mi leggono casalinghe, tassisti, ingegneri, e tutti condividono gli stessi interrogativi: perché siamo qui? Che cosa succede dopo la morte?». Più spericolato di Langdon, Brown costeggia impavido il marzullismo.
E spiega così il suo metodo e il suo successo: «Scrivo i romanzi che vorrei leggere. Tutto qui. Se me ne sto in spiaggia, che libro voglio tra le mani? Qualcosa che mi insegni la scienza, la filosofia, l’etica, e sia ambientato in una cornice piacevole, con molta architettura, paesaggio, bellezza. Gli esseri umani sono simili: a tutti noi piace la stessa roba. Le domande sul futuro, sull’inferno, sui misteri attraggono. Non ci possiamo rassegnare che tutto succeda per caso, vogliamo pensare che c’è un ordine, per questo sono nate la religione e la teoria della cospirazione: sono tentativi di spiegazione. Se ti muore un bambino, dici che c’è dietro un piano: è una follia, ma ti fa stare meglio. Magari non piace il mio stile, ma i temi sono irresistibili».
Ecco, lo stile. La critica non lo apprezza molto: di Inferno non si è parlato proprio bene. Trama che frana, linguaggio da guida turistica, profondità psicologica zero, ma funzionale ai tradizionali voltafaccia dei personaggi che, se fossero più densi, non avrebbero l’agilità da trasformisti per apparire prima buoni e poi cattivi, o viceversa. Brown non si scompone perché ha stabilito che è lui solo il critico di se stesso. È uno molto centrato su di sé, Dan Brown: anche le ricerche per i romanzi sono fatte in casa, ci pensa Blythe. Però in Inferno lancia una frecciatina critica contro i bestseller genere Cinquanta sfumature. Dal vivo invece minimizza: «Più che altro è un tributo. Libri come quello, Harry Potter o i miei hanno creato un genere fortunatissimo che permette agli editori di puntare su altri autori che altrimenti non avrebbero voce».
Visto che siamo entrati nel marketing duro e puro, gli chiedo perché Angeli e demoni, pubblicato prima del Codice Da Vinci, non aveva avuto successo. «Perché avevo un altro editore» risponde. «Non l’aveva neanche letto, ha risparmiato sulla tiratura e non gli ha fatto pubblicità. Quando è stato ripubblicato dal mio nuovo editore, ha venduto quaranta milioni di copie».
Ultima domanda: perché Langdon non ha mai un’avventuretta con le sue affascinanti compagne d’avventura? «Metterli a letto romperebbe la tensione erotica e romantica». Risposta inappuntabile.
Intanto, nell’incantevole chiostro della Laurenziana, una monaca afferra una copia di Inferno poggiata sul muretto durante il servizio fotografico e comincia a sfogliarlo. Incuriosita. Inutile dire che Dan Brown gongola.
Paola Zanuttini