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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

CORRIERE DELLA SERA

MASSIMO GAGGI
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Pressato da settimane da Francia e Gran Bretagna, attaccato dai repubblicani e ora criticato anche dal suo predecessore, Bill Clinton, per il suo atteggiamento prudente fino ad apparire rinunciatario, il presidente Barack Obama ha alla fine deciso di rompere gli indugi sulla Siria. Ieri sera la Casa Bianca ha riconosciuto ufficialmente, in un messaggio trasmesso al Congresso, che Damasco ha superato la «linea rossa» dell’impiego delle armi chimiche contro i ribelli. Un atto simile, avevano ammonito gli Usa, avrebbe provocato una reazione forte. Quale? Per ora la Casa Bianca annuncia un maggior supporto ai ribelli esteso anche agli aiuti di tipo militare, ma in una «conference call» con i giornalisti il numero due del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Ben Rhodes, ha escluso che, al momento, si stia pensando di istituire una no fly zone sui cieli della Siria. Rhodes ha spiegato che Obama mantiene la sua preferenza per una soluzione della crisi negoziata a livello politico-diplomatico e intende affrontare la questione con gli altri leader dell’Unione Europea, della Russia e del Giappone negli incontri che avrà con loro lunedì e martedì al G-8 in Irlanda del Nord. L’alto funzionario ha però aggiunto che la conferma dell’uso del sarin da parte delle forze di Assad è un fattore che «cambia il calcolo del presidente Usa sulla Siria».
Insomma gli Stati Uniti voltano pagina, anche se non è ancora chiaro come si muoveranno: «Non siamo pronti a fare un inventario degli interventi che metteremo in calendario» ha risposto Rhodes ai cronisti che gli chiedevano di spiegare meglio le intenzioni americane. La sensazione è che la Casa Bianca si sia mossa in ritardo, quando un Assad che qualche mese fa sembrava sull’orlo del tracollo, ha recuperato terreno e, con l’aiuto sempre più massiccio degli Hezbollah filo-iraniani, sta mettendo alle corde i ribelli.
Già da tempo Londra e Parigi, certe degli attacchi chimici dell’esercito siriano, sollecitavano Washington a reagire. Ma Obama ha temporeggiato, la fase di istruttoria degli analisti si è allungata, mentre la diplomazia Usa ha cercato di far avanzare una soluzione negoziale con un maggior coinvolgimento della Russia, sempre decisa a puntellare il regime di Assad, ma anch’essa preoccupata per la crisi siriana.
Ma i tempi di una nuovo conferenza di Ginevra continuano ad allungarsi mentre i ribelli sono ormai allo stremo. In Congresso i repubblicani, col senatore John McCain, accusano apertamente la Casa Bianca di essere stata troppo prudente, compromettendo, così, ogni possibilità di obbligare Assad a uscire di scena. Per questo bisognava aiutare i ribelli, cosa che non è avvenuta. Il governo ha sempre risposto che non si poteva rischiare di armare la gente sbagliata nel caos dei gruppi di insorti che hanno origini e obiettivi diversissimi. E che attendeva i risultati dell’indagine sull’uso del gas. Ora questa parte è conclusa: la Casa Bianca certifica che la «linea rossa» è stata varcata precisando che gli attacchi a base di sarin hanno provato 100-150 vittime (rispetto agli oltre 90 mila morti contati dall’inizio della crisi siriana). Di più: vengono indicate le date degli attacchi: il 19 marzo e il 13 aprile ad Aleppo, il 14 e 23 maggio nella parte est di Damasco: come a dire che sono fatti recenti, che l’istruttoria non è rimasta nel cassetto.
Fatto sta che la Casa Bianca rompe gli indugi solo nell’imminenza di un difficile G-8 e il giorno dopo l’attacco più grave per Obama: quello del suo predecessore Bill Clinton: l’uomo che lo ha affiancato nei giorni decisivi della campagna per la rielezione e la cui moglie ha guidato fino a poche settimane fa la politica estera americana.
In un incontro a porte chiuse il cui contenuto non doveva arrivare alla stampa, Bill Clinton ha addirittura detto che Obama rischia di fare la figura del fifone e di apparire uno «sciocco integrale» («total fool»), davanti alla riscossa di Assad. Replica del portavoce del presidente, Jay Carney: «Obama ascolta tutti, accoglie giudizi e critiche, ma alla fine prende le decisioni che è convinto siano nel miglior interesse del Paese».
Poi, però, Bill Clinton ha criticato Obama anche durante un evento pubblico al quale ha partecipato a New York insieme a McCain. In sostanza l’ex presidente ha sostenuto che, anche se la maggioranza dell’opinione pubblica americana è contraria al coinvolgimento in un altro conflitto, un presidente deve decidere sulla base delle proprie convinzioni e delle informazioni di cui dispone, non guardando i sondaggi d’opinione: «Io ho fatto così quando siamo intervenuti in Bosnia».
Massimo Gaggi

REPUBBLICA
FEDERICO RAMPINI
al nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK
— La Siria ha superato “la linea rossa” tracciata da Barack Obama. L’Amministrazione Usa ha raggiunto le prove che il regime di Damasco ha usato armi chimiche, uccidendo almeno 150-200 persone. Obama «ne trarrà le conseguenze, i suoi calcoli sono cambiati». Cosa fare in Siria, sarà un tema che Obama intende discutere da domenica al summit G8 in Irlanda del Nord con i suoi alleati.
L’ANNUNCIO è giunto ieri sera con una conferenza stampa di Ben Rhodes, il Deputy National Security Advisor, uno dei massimi consiglieri del presidente sulle questioni strategiche. Rhodes non si è sbilanciato sul tipo di cambiamento nella strategia americana in Siria, sui tempi e sulle azioni specifiche. Da tempo Obama è sotto pressione, anche da parte dei suoi: Hillary Clinton quando era segretario di Stato, e più di recente il marito ed ex presidente Bill (che era arrivato a definire «da pazzo» le esitazioni del presidente sulla crisi), hanno auspicato aiuti militari
diretti ai ribelli che lottano contro il regime Assad. Altri, come il repubblicano John Mc-Cain e alcuni militari, vorrebbero andare oltre le forniture di armi all’opposizione, fino a imporre una no-fly zone con possibili bombardamenti aerei su alcune strutture militari del regime. «La nostra intelligence — ha dichiarato Rhodes — ha le prove che il regime Assad ha usato armi chimiche, incluso il gas nervino sarin, su scala ridotta in molteplici occasioni l’anno scorso». Rhodes ha precisato che, per quanto il bilancio di vittime sia provvisorio, si tratta comunque di una frazione rispetto al totale di 90.000 morti nel corso dei combattimenti. Tuttavia, il consigliere di Obama ha sottolineato che l’uso di armi chimiche «supera una linea rossa stabilita dalla comunità internazionale da decenni». Viceversa ha detto che non ci sono prove dell’uso di armi chimiche da parte dell’opposizione.
Il primo passo che Rhodes ha annunciato, consisterà nel presentare alle Nazioni Unite queste conclusioni, perché le includa nel suo rapporto. Il passaggio chiave è quello in cui Rhodes ha detto: «Il presidente è stato
chiaro che l’uso di armi chimiche, o il trasferimento di armi chimiche a gruppi terroristici, è una linea rossa per gli Stati Uniti. Il presidente ha detto che l’uso di queste armi avrebbe cambiato i suoi calcoli, e li ha cambiati ». Il consigliere ha ricordato che l’America aveva già rafforzato di recente la sua assistenza non-militare alle forze dell’opposizione, e «questi sforzi aumenteranno d’ora in avanti ». Tuttavia ha aggiunto anche la possibilità di un diverso tipo di aiuti, compresa la fornitura di
armi. «Il presidente ha già preso una decisione al proposito», ha aggiunto Rhodes, pur rifiutandosi di anticipare i contenuti di questa decisione.
Interrogato dai giornalisti sulla possibilità di un salto di qualità nell’azione Usa, giungendo a un intervento militare vero e proprio, Rhodes è stato molto più cauto. Senza arrivare all’ipotesi di mandare truppe terrestri, che nessuno evoca, perfino sulla no-fly zone il National Security Advisor ha elencato una lunga serie di obiezioni
e di riserve. Ha ricordato che «la Siria è molto diversa dalla Libia », con ciò alludendo alla qualità dei suoi armamenti incluse le batterie contraeree made in Russia, che potrebbero infliggere perdite all’aviazione militare degli Stati Uniti e dei paesi alleati. Ha aggiunto che non ci sono elementi per considerare che un intervento aereo, di interdizione dei cieli, sia sufficiente se non viene seguito dall’invio di truppe terrestri. Sono le obiezioni che continuano a trattenere Obama dal seguire i consi-
gli dei Clinton o di McCain: il presidente non vuole farsi trascinare in un intervento armato “open-ended”, del quale sarebbe noto l’inizio ma non la fine.
Resta il fatto che ultimamente la Casa Bianca ha sentito una maggiore urgenza di agire nei confronti del regime Assad: tra le ragioni, ci sarebbe il fatto che gli ultimi sviluppi del conflitto avrebbero ulteriormente rafforzato il ruolo dell’Iran nell’area. Lo ha ricordato Rhodes dicendo che «Iran e Hezbollah hanno
enormemente aumentato la loro presenza». Nell’agenda del G8, l’emergenza-Siria balza di colpo ai primissimi posti. Mc-Cain è stato uno dei primi a reagire, e parlando alla
Cnn
ha risposto all’obiezione che le armi fornite dagli Usa possano finire nelle mani di Al Qaeda. «Ogni giorno che perdiamo — ha detto McCain — le nostre opzioni peggiorano. Non fare nulla ha conseguenze catastrofiche, l’inazione degli ultimi due anni è l’opzione peggiore».

LA STAMPA
PAOLO MASTROLILLI
Il regime di Assad ha usato le armi chimiche, e gli Stati Uniti hanno deciso di rispondere armando l’opposizione. Una soluzione politica alla crisi resta ancora la via d’uscita preferita da Washington, ma la Casa Bianca è pronta a considerare tutte le ipotesi, inclusa quella dell’intervento militare diretto.

L’annuncio è stato fatto ieri da Ben Rhodes, consigliere del presidente Obama per le questioni di sicurezza nazionale, durante una «conference call» organizzata d’urgenza alle cinque del pomeriggio, quando in Italia erano le undici di sera.

Rhodes ha detto che l’intelligence americana ha appena completato una nuova valutazione della situazione in Siria, ed è arrivata alla conclusione che Damasco ha usato le armi chimiche contro i suoi oppositori e contro i civili. Il consigliere della Casa Bianca ha indicato anche alcuni episodi specifici in cui questi agenti mortali sono stati utilizzati: il 19 marzo vicino ad Aleppo, il 13 aprile nella stessa zona, il 14 maggio a nord di Homs, e il 23 maggio alla periferia di Damasco. Le vittime sono state tra cento e duecento, ma la valutazione è ancora in corso e quindi questo bilancio rappresenta un dato approssimativo.

Rhodes ha spiegato che tali azioni da parte di Assad rappresentano una violazione della «linea rossa» tracciata nei mesi scorsi dal presidente Obama, che quindi ha deciso di reagire aumentando il sostegno offerto all’opposizione. Il consigliere ha chiarito che si tratta di appoggio politico, ma anche militare. L’invio di armi è già cominciato, e riguarda forniture che finora non erano mai state concesse ai guerriglieri. Il presidente però non ha tolto alcuna opzione dal tavolo, e quindi non esclude un intervento militare diretto o la creazione di una no fly zone. Le ragioni che hanno provocato questa accelerazione sono state l’uso delle armi chimiche, ma anche l’aumento del coinvolgimento diretto dell’Iran e di Hezbollah al fianco del regime di Assad.

Obama ha informato la comunità internazionale del rapporto stilato dall’intelligence americana, e gli Stati Uniti ne parleranno tanto all’Onu, quanto al G8 della prossima settimana. Rhodes ha detto che anche la Russia è stata messa al corrente della situazione, e Washington si aspetta che questi sviluppi facciano riflettere Mosca sulle sue posizioni.

Il consigliere di Obama ha detto che la soluzione preferita per il governo americano sarebbe ancora un accordo politico, da trovare nell’ambito del processo di Ginevra o con altre forme di mediazione. Rhodes però ha chiarito che la condizione irrinunciabile per un’intesa tra le forze di opposizione e quelle governative è l’uscita di scena di Assad.

La tensione sulla Siria stava crescendo da giorni, in seguito alla recente avanzata delle forze del regime contro gli oppositori. Proprio mercoledì sera l’ex presidente Bill Clinton aveva criticato Obama, dicendo che in una situazione del genere non si poteva più restare a guardare. La macchina della reazione americana però era già in moto, e il conflitto siriano entra ora nella sua fase finale.