Oscar Magi, Corriere della Sera 14/06/2013, 14 giugno 2013
NESSUNA IDEOLOGIA DIETRO LA SENTENZA
Caro direttore, sabato 8 giugno il quotidiano da lei diretto pubblicava un articolo scritto da Piero Ostellino, titolato, in prima pagina, «Quel giudizio espresso in tribunale che diventa un’accusa ideologica».
Nel corpo dell’articolo, scritto da una delle firme più prestigiose del Corriere, l’autore esprime dei giudizi molto personali nei confronti della sentenza cosiddetta «Unipol», emessa dalla IV sezione del Tribunale di Milano, da me presieduta, sentenza del 7 marzo scorso, la cui motivazione è stata depositata in data 4 giugno scorso.
In particolare Ostellino parla di una «sentenza surreale» («con la surreale sentenza, che piaccia o no, è nato così un nuovo tipo d’accusa, tutto ideologico...»), dell’invenzione di un’accusa ideologica («d’altra parte, che pur di condannare Berlusconi si sia arrivati ad inventarsi un’accusa ideologica…»), accusa di cui chiede, ironicamente ma non troppo, conto e ragione a Magistratura Democratica, come se la sentenza stessa fosse stata scritta in obbligo non solo ad una ideologia accusatoria ad ogni costo, ma addirittura ad una appartenenza correntizia (come si sa Magistratura Democratica è una delle correnti in cui si dividono i magistrati italiani). Sorge il dubbio che Ostellino non solo non abbia letto la sentenza (o ne abbia letto solo le parti utili alla sua tesi), ma abbia fatto un uso, per la verità molto spregiudicato, di alcuni pezzetti della motivazione per costruire lui sì un’accusa ideologica e surreale nei confronti dei giudici che l’hanno scritta.
Il reato di cui erano accusati Paolo e Silvio Berlusconi e di cui si è discusso, nelle udienze dibattimentali, non è la diffamazione, come il giornalista lascia credere, ma (e non è differenza da poco), rivelazione di segreto d’ufficio.
L’impianto della sentenza (discutibile e criticabile quanto si vuole) quindi, non ruota affatto intorno al contenuto della frase «rivelata» da il Giornale, ma all’attività criminosa, così come è emersa nel corso del dibattimento, a parere del collegio, di chi (Silvio e Paolo Berlusconi, ma non solo), ha permesso tale rivelazione.
Il contenuto della conversazione, quindi, è del tutto irrilevante, mentre non lo è il movente che, secondo la sentenza, ha indotto Silvio Berlusconi a concorrere nella sua diffusione, vale a dire l’offuscamento di immagine che ne sarebbe derivata al Pd ed all’allora suo segretario, da sfruttare nella successiva tornata elettorale. L’attività di appropriazione e divulgazione di notizie che avrebbero dovuto restare segrete, dunque, è reato, indipendentemente dalla loro eventuale portata offensiva, nei confronti di chicchessia.
L’accusa rivolta (in maniera ironica ma molto suggestionante) ai magistrati che hanno celebrato il processo, come impone loro la legge, di aver formulato «un’accusa ideologica» nei confronti degli imputati e perciò supportata da una motivazione surreale, è falsa e priva di qualsiasi logica, non solo giuridica.
Infine, la richiesta di spiegazioni a Magistratura Democratica è, questa sì, oltre che ingiustificata, fortemente diffamatoria, perché lascia intendere a chi legge che la sentenza sia stata scritta in ossequio ad una appartenenza ideologica e correntizia, e non, come è avvenuto, nel rispetto delle norme di legge, sostanziali e procedurali, che regolano la materia.
Oscar Magi
Presidente IV sezione
Tribunale di Milano