Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 14/06/2013, 14 giugno 2013
«PRISM? L’HO VISTO IN AZINOE 6 ANNI FA» —
«Non capisco lo scandalo e tantomeno la sorpresa. Il sistema di intercettazioni telefoniche e telematiche non era un programma segreto. L’ho visto anch’io». Alfredo Mantovano, ex viceministro dell’Interno ed ex componente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi, ha un’opinione controcorrente sul Datagate che sta scuotendo gli Stati Uniti. Tutto a causa di una missione a Washington.
Ce la racconta?
«Era il giugno del 2007. E con una delegazione del Copaco, allora presieduto da Claudio Scajola, nell’ambito dei rapporti istituzionali di scambio di informazione facemmo un giro tra le 5-6 principali agenzie di sicurezza».
Inclusa la Nsa, la National Security Agency.
«Sì, quella di cui si sta parlando in modo improprio».
Vide Prism, il gigantesco programma di ascolto in nome della sicurezza nazionale?
«Non ricordo se all’epoca è stato fatto questo nome. Ma il funzionamento era quello descritto in questi giorni e non è il Grande fratello paventato».
Invece?
«È un meccanismo di controllo per gradi. Se fossimo sotto il cono di attenzione e pronunciassimo la parola "bomba", si attiverebbe il primo allarme. Se nelle conversazioni seguenti facessimo riferimento a "timer" o "esplosivo", o magari avessimo interlocutori con idiomi di Paesi a rischio terrorismo l’allarme, trasformato in algoritmi, si rafforzerebbe fino a far scattare i meccanismi più seri di prevenzione».
Non è un po’ invasivo?
«Meno del nostro. Le intercettazioni non vengono trascritte né pubblicate, sono solo in chiave preventiva. Ed escludo passaggi di informazioni per scopi commerciali».
Chi ve lo illustrò?
«I responsabili dell’agenzia. Ci fu un briefing con slide e visita al sistema informatico. E visto che gli Usa non sono soliti mettere in piazza i loro segreti vuol dire che era ben conosciuto e anche sotto la costante verifica del Congresso».
Virginia Piccolillo