Giovanni Vigo, Sette 14/6/2013, 14 giugno 2013
COSÌ LA BANCA CENTRALE FECE LA FORTUNA DELL’INGHILTERRA
Nel 1781 il debito nazionale britannico ammontava a 187,8 milioni di sterline. In otto decenni era cresciuto di oltre dodici volte sotto l’incalzare delle guerre che stavano ridisegnando la geografia politica del Vecchio Continente e allontanando la Gran Bretagna dalle sue colonie americane. Prima la guerra di successione spagnola, poi quella di successione austriaca, in seguito la guerra dei Sette anni e, infine, quella di indipendenza americana avevano messo a dura prova le finanze. Eppure la Corona non aveva mai trovato difficoltà insormontabili a rastrellare il denaro necessario per far fronte a questa lunga catena di eventi.
Della situazione inglese, relativamente confortevole, Jacques Necker (direttore generale delle finanze di Luigi XVI, ndr) diede una spiegazione molto convincente. Presentando al Re lo stato delle finanze francesi nel 1781 scriveva: «Invero, se appuntiamo la nostra attenzione sull’immenso credito di cui gode l’Inghilterra e che a oggi costituisce la sua forza principale nella guerra, non saremo avventati attribuendolo per intero alla natura del suo governo… Ma un’altra causa del credito dell’Inghilterra risiede, indubitabilmente, nella trasparenza dello stato delle sue finanze, riguardo alle quali si dà la massima informazione… Chi presta viene informato sul rapporto esistente tra entrata e spesa, così che non viene turbato dai sospetti e dalle chimeriche paure inseparabili da una condotta più decorosa». «In Francia», aggiungeva per marcare la differenza «lo stato delle finanze è sempre stato un mistero». Le accorate parole del ministro di Luigi XVI rispecchiavano la sua volontà di riformare in maniera radicale la finanza pubblica giunta sull’orlo del baratro.
L’espediente d’Oltremanica. Che cosa distingueva l’Inghilterra dalle altre potenze europee che, dopo tutto, avevano gli stessi problemi? Nel 1694, quasi un secolo prima del rapporto di Necker, il governo inglese aveva dato vita alla Bank of England, un istituto creato con capitale privato che doveva essere obbligatoriamente investito in titoli di Stato per facilitare l’afflusso di fondi nelle casse del Tesoro. C’era tuttavia un’altra questione da risolvere. In un’epoca in cui i teatri di guerra si spostavano rapidamente da una parte all’altra dell’Europa, la Banca d’Inghilterra svolgeva anche un’altra funzione: trasferiva all’estero il denaro necessario per le costose campagne militari anticipando le somme (cioè accordando un prestito) al governo. In questo compito era facilitata dal fatto che le eccedenze della bilancia commerciale inglese venivano trattenute ad Amsterdam – che era una sorta di stanza di compensazione del commercio mondiale – e di lì potevano essere inviate sui campi di battaglia senza l’uscita di moneta sonante dal Paese, cosa che ebbe luogo solo in casi eccezionali. La Banca d’Inghilterra si collocava perciò al centro di una fitta ragnatela finanziaria, regolando in modo ordinato e razionale i flussi di denaro, ed era ciò che secondo Geoffrey Parker “distingueva l’Inghilterra dalla maggior parte degli Stati europei”. La monarchia inglese non si sarebbe mai trovata nelle umilianti condizioni di Maria Teresa che nel 1740 parlava di se stessa come di un’imperatrice “senza soldi, senza credito e senza esercito”.
La dilatazione delle spese di guerra subì una frenata dopo la Pace dei Pirenei (1659), dando un po’ di respiro alle finanze francesi, cosa di cui approfittò Jean-Baptiste Colbert per riordinarle istituendo nel 1674 la Caisse des emprunts, una banca dove i privati potevano depositare i loro soldi, e ritirarli a loro piacimento, ricevendo ogni anno un interesse del 5 per cento. Nei dieci anni successivi la Caisse des emprunts riuscì a raccogliere tutto il denaro di cui il Re aveva bisogno pagando un costo moderato. Colbert morì nel 1683 e da quel momento il debito pubblico tornò a crescere per finanziare le imprese e il lusso della corte del Re Sole, un sovrano poco attento alle spese e ancor meno al rimborso dei debiti quando venivano a scadenza. Alla sua morte, nel settembre del 1715, il debito aveva raggiunto l’astronomica cifra di tre miliardi di livres. Per evitare il tracollo e riportarlo entro limiti sopportabili, il duca di Orléans, reggente durante la minore età di Luigi XV, affidò a John Law il compito di alleggerire le difficoltà del Tesoro. Il fantasioso e spregiudicato scozzese – l’uomo che, secondo lo storico Niall Ferguson, realizzò perfettamente “la fusione del gioco d’azzardo e della finanza” – riuscì a smagrire il debito statale invogliando i possessori di titoli pubblici a scambiarli con azioni della Compagnia del Mississippi, un’impresa avventurosa che fu all’origine di una delle più stupefacenti bolle speculative della storia moderna. L’iniziale successo del complesso sistema creato da John Law indusse il Parlamento britannico a tentare una via analoga per abbattere il debito accumulato nei secoli precedenti. Ma come accadde a Parigi, anche gli azionisti della Compagnia dei Mari del Sud si trovarono ben presto con in mano un pugno di mosche: si erano privati di titoli del debito pubblico in cambio di azioni che non valevano più nulla. Paradossalmente queste disavventure restituirono una maggiore credibilità allo Stato come debitore.
Le dimensioni raggiunte dal debito pubblico nel corso del Settecento e il fallimento dei tentativi per arginarlo indusse i contemporanei a chiedersi se fosse vantaggioso o dannoso per l’economia nazionale e per i suoi sottoscrittori. Non è difficile immaginare che si formarono rapidamente due schieramenti, gli uni favorevoli alla sua espansione, gli altri contrari. Adam Smith non aveva dubbi: «Una volta che i debiti nazionali siano stati accumulati fino a un certo livello, credo che non ci sia forse un solo esempio in cui essi siano stati regolarmente e completamente pagati». E aggiungeva che sono sempre stati annullati «grazie a un fallimento, a volte mediante manifesto, a volte no, ma sempre mediante un fallimento reale, anche se spesso mascherato con un preteso pagamento». Ovviamente, con carta straccia.
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