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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

CHE SPRECO, IL CARCERE MODELLO PER POLIZIOTTI CATTIVI


Nessuno è mai evaso dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Chiaro: ci sono 280 “guardie” per 56 detenuti, condizione non proprio ideale per chi volesse annodare qualche lenzuolo. E che detenuti: 22 carabinieri, 18 poliziotti, 3 finanzieri, 4 soldati di esercito e aeronautica e pure 9 agenti di polizia penitenziaria, cioè personale che fino a qualche tempo fa vigilava sui reclusi e che ora è vigilato e recluso, chi per omicidio, chi per mafia, chi per droga.
Ma perché mai dovrebbero evadere da un carcere del genere, questi “prigionieri” che pranzano alla stessa mensa dei “controllori” e talvolta con loro: il menu è “à la carte”, da scegliere fra quattro primi e quattro secondi, diversi per ogni giorno della settimana. «Sono tutti in sovrappeso», scherza ma fino a un certo punto il colonnello Raffaele D’Ambrosio, comandante dell’Organizzazione penitenziaria militare italiana e dunque anche di Santa Maria Capua Vetere, ultima struttura detentiva per uomini in divisa rimasta in Italia. Un carcere dove esiste un campo da calcio regolamentare dotato di tribuna e uno da calcetto sui quali giocano agenti e detenuti, anche nella stessa squadra che ha pure partecipato a un campionato di terza categoria: «Da dimenticare». Dove c’è un’area verde piantumata a pini marittimi, attrezzata con gazebo, giochi per bambini, dondoli, scivoli, aperta ai familiari di chi è finito dentro. Dove la sala colloqui è una specie di bar e ogni cella è dignitosa, con tv a cristalli liquidi e naturalmente bagno, tavolo e armadietto. Ma, soprattutto, dove un tipo come l’ex brigadiere dei carabinieri Pietro Mango, marcantonio baffuto di 53 anni condannato per aver rapinato e ucciso due anziani coniugi, scatta sull’attenti nella sua cella solitaria quando bussiamo alla porta, aperta: «Colonnè, sempre a disposizione!». Mango è qui da nove anni: «La libertà mi manca, eccome, ma dovendo scontare una pena questo posto è quasi ideale». Lui si diletta con l’orto e con corsi vari. «Quando uscirò vorrei fare qualcosa nell’edilizia, anche il muratore». Il problema sarà uscire: ergastolo. «Grazie, Mango», saluta D’Ambrosio. «Agli ordini, comandà!».
Un carcere dove l’ex ispettore di polizia Pasquale De Santis, finito dentro per droga e con tre anni ancora da scontare, è riuscito a laurearsi in corso con 110 in Conservazione dei beni culturali: «Grande soddisfazione, ho studiato su quel tavolino». Non si vede, il tavolino coperto di libri. C’è la foto di papa Giovanni e, qualche metro più in là, la branda di un suo collega tristemente famoso: Luigi Spaccarotella, 9 anni e 4 mesi per l’omicidio del tifoso laziale Gabriele Sandri. Spaccarotella è presente. Osserva circospetto, tace e, frettoloso, esce. Qui frequenta la seconda classe dell’Istituto alberghiero e il corso di Pet Therapy con due pastori tedeschi. «Serve a convogliare l’aggressività in atteggiamenti positivi», spiega il comandante. De Santis ha un sogno: «Fare il corniciaio». Nessuno di loro potrà infatti rimettere la divisa perché la legge lo vieta in caso di condanne superiori ai 5 anni.

Tra mensa e palestra. Seguendo i corsi interni, carabinieri e poliziotti imparano così un nuovo mestiere. Alcuni andranno a fare i cuochi, altri i pizzaioli, un ex agente fa già l’attore, un altro, fuori da poco, ha aperto un ristorante, un altro ancora sogna un agriturismo. Passeggiando per questo raggio incrociamo Domenico Cavasso, l’agente penitenziario responsabile nel 1995 della strage alla Conservatoria di Santa Maria Capua Vetere, dove fece fuoco all’impazzata uccidendo sette persone che a suo dire gli negarono un certificato catastale per incassare l’eredità. Cammina a testa bassa avanti e indietro e saluta veloce: «Buongiorno buongiorno». Non dice altro, riabbassa lo sguardo e riprende a bofonchiare come un automa, la testa incassata nelle spalle. Un vecchietto di cinquant’anni. Cavasso ha scontato la sua condanna (in parte trascorsa in un ospedale psichiatrico) e sta per uscire. «Per lui non è stato facile trovare il giusto percorso di reinserimento».
Più avanti, il raggio si apre a una sala dove una decina di ex agenti ed ex uomini dell’Arma giocano a carte. Cinema, teatro, palestra e la sala pittura completano il quadretto di questa anomala isola di prigionia che vanta un dato politico esclusivo: l’antiproibizionista Marco Pannella, che quando vede un muro di cinta lo butterebbe giù, non ha mai avuto nulla da ridire. Nessun lusso, sia chiaro, si tratta di una vecchia struttura riadattata con molto ordine e senso pratico. Da queste celle sono passati uomini che hanno riempito pagine di cronaca nera e giudiziaria: i fratelli Savi della Uno Bianca, l’ex agente del Sisde Bruno Contrada che ancora telefona e scrive al carcere, l’ex Ss dell’eccidio delle Fosse Ardeatine Erich Priebke e il suo “collega” Michael Seifert, il caporale nazista passato alle cronache giudiziarie come il «boia» di Bolzano per le atrocità commesse in un campo di transito altoatesino. «Ecco, lì c’era lui». La stanza è vuota: un letto, una tivù, un armadietto, un bagno. A Santa Maria Capua Vetere ci sono molti spazi inanimati, pieni solo di celle vuote, porte aperte e corridoi deserti. È il caso del braccio femminile, dove l’ultima detenuta se n’è andata due anni fa, mentre sono ben 34 i militari donne che avrebbero il compito di gestire le recluse. E succede anche in quello maschile riservato ai militari condannati dalla giustizia ordinaria, dove l’unico rumore è l’eco dei nostri passi. Anche qui tutto è perfettamente funzionante e pulito. La sola cosa che non va è il vuoto umano: zero detenuti. Eppure il penitenziario ne potrebbe ospitare 129, ben oltre il doppio dei presenti. D’Ambrosio, che comanda i 280 militari chiamati a vigilare (180 sono in ferma temporanea di un anno), non ci sta: «La situazione è paradossale: esiste un decreto legislativo del 2010 che impone il trasferimento in questo carcere dei militari condannati di esercito, marina e aeronautica. Basterebbe che lo applicassero e torneremmo a pieno regime». Un caso su tutti: Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore in cella per l’omicidio di sua moglie Melania Rea: «Dovrebbe essere qui e invece lo tengono a Teramo».
Uno spreco, dunque. Soprattutto se si considera che fuori di queste mura ci sono file di disoccupati, gente senza casa, negozi che chiudono, montagne di spazzatura (dentro si fa la differenziata) e, per rimanere al mondo detentivo, la piaga del sovraffollamento denunciata anche dall’Europa.
Anche al Gran Caffè di Santa Maria Capua Vetere si parla della buona mensa e dei posti vuoti del vicino penitenziario. Un signore di mezza età, forse senza lavoro, sorride: «Domani vado anch’io dal comandante, magari ha una cella anche per me».