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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

MI LASCI FINIRE, VAIASSA!

Spero che il direttore de "l’Espresso" non me ne voglia se affermo che la rivista che leggo ogni settimana con maggior interesse e rispetto è la "Settimana enigmistica", anche perché non mi impone soltanto i propri contenuti, ma mi chiede di collaborare al completamento delle sue 48 pagine.
MOLTO ISTRUTTIVE sono le definizioni delle parole crociate. La tradizione italiana è diversa da quella francese, dove la definizione si pone come un enigma, e celebre rimane l’esempio citato da Greimas per cui "l’amico dei semplici" doveva essere decrittato come "erborista" (il che prevedeva che il solutore sapesse che i semplici sono tradizionalmente piante con virtù curative, usate dai medici di un tempo). Le definizioni delle nostre parole crociate sono piuttosto richiami a opinioni diffuse e comunemente accettate per cui (a esempio) "contempla pasta e ortaggi" va inteso come "dieta mediterranea" e "serpente americano" va letto come "boa".
Ora accade che in una pagina di parole crociate abbia trovato "vivacizzano i talkshow", e a prima vista pensavo che la definizione rimandasse alla presenza di personaggi celebri, o ai riferimenti all’attualità. Niente affatto, la soluzione era "scontri". Il compilatore della definizione si era rifatto dunque all’opinione corrente per cui quello che rende interessante un talkshow non è che sia condotto da un personaggio popolare come Vespa, che vi partecipino Vladimir Luxuria o un esorcista, che ci si occupi della pedofilia o di Ustica. Tutti questi elementi sono accessori certamente importanti, e noioso sarebbe un talkshow condotto da un filologo bizantino, che esibisse come ospiti una monaca di clausura affetta da mutismo secondario o si occupasse del papiro di Artemidoro. Però ciò che lo spettatore realmente vuole è lo scontro.
Mi è capitato di assistere a un talkshow accanto a un’anziana signora che, ogni volta che i partecipanti si parlavano addosso, reagiva con: «Ma perché s’interrompono a vicenda? Non si capisce quel che dicono! Non potrebbero parlare a turno?» - come se un talkshow italiano fosse una delle memorabili trasmissioni di Bernard Pivot nel corso delle quali il conduttore con un impercettibile cenno del mignolo avvertiva il parlante che era ora che cedesse la parola al vicino.
La verità è che gli spettatori dei talkshow godono solo quando la gente litiga, e non importa tanto quel che dicono (che di solito è già inteso come irrilevante) ma del modo in cui fanno la faccia feroce, urlando «mi lasci finire, io non avevo interrotto lei» (e questa reazione fa ovviamente parte del gioco dell’interruzione), o si insultano con epiteti desueti come "vaiassa", che da quel momento sono ripresi dall’ultima edizione dei dizionari come dialettalismi laureati. Si assiste a un talkshow come a una lotta di galli, o a una sessione di wrestling, dove non importa se i contendenti facciano finta, così come non importa nelle comiche di Ridolini che una torta in faccia sia finta, quel che conta è far finta di prenderla per vera.
TUTTO QUESTO andrebbe benissimo se i talkshow fossero presentati come meri programmi di intrattenimento tipo "Il Grande Fratello". Ma qualcuno ha definito la trasmissione "Porta a Porta" come la Terza Camera - o l’anticamera del tribunale. Quello che sarà discusso in parlamento, o il giudizio finale su chi abbia strangolato la tal fanciulla, è ormai anticipato dal talkshow a tal segno da rendere irrilevante, e in ogni caso predeterminata, la seduta parlamentare o la sentenza di Corte d’Assise.
Pertanto, se quel che conta non sono i contenuti bensì la forma dello scontro, è come se una lezione universitaria sulla "consecutio temporum" fosse anticipata e resa quindi inutile da un discorso in "grammelot" di Dario Fo o da una farneticazione di Troisi. E poi ci lamentiamo se la gente si disinteressi sempre più a quanto avviene a Montecitorio o a Palazzo Madama, o a quanto dirà la Cassazione sulle olgettine, e non vada a votare.