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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

ZITTO ZITTO PRENDO HERMÈS

I due nomi rappresentano, nel mondo, il meglio che il "made in France" possa offrire al mercato della moda. E sono sinonimi di lusso e prestigio. Rischiano adesso, però, un danno d’immagine che, si sa, per l’ambiente del look è tutto. O quasi. Perché sono finiti al centro di un’intricata vicenda giudiziaria in cui Hermès accusa Vuitton di aver tentato una scalata illecita nei suoi confronti e Vuitton ribatte con una denuncia per ricatto, calunnia e concorrenza illecita. In ballo, naturalmente, centinaia di milioni di euro in una battaglia legale che si annuncia lunga e che ha vissuto un primo momento importante il 31 maggio scorso quando il gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy, che produce di tutto, dalle borse allo champagne) ha dovuto difendersi davanti alla Commissione delle Sanzioni dell’Autorité des Marchés Financiers di Parigi (Amf) con l’accusa di aver scientificamente preparato la scalata per impadronirsi di Hermès. L’esito più probabile è una multa di 10 milioni di euro, il massimo previsto per reati di questo tipo all’epoca dei fatti (dalla fine del 2010 le multe sono state innalzate fino a 100 milioni). La sentenza è prevista entro il 31 luglio. Intanto Hermès ha appena ufficializzato la nomina di un nuovo dirigente alla testa del gruppo, Axel Dumas, che affiancherà quello in carica, Patrick Thomas, per fronteggiare meglio la battaglia contro Lvmh.
L’inchiesta dell’Amf risale al 2010: il 23 ottobre il gruppo Lvmh aveva sorprendentemente reso noto di aver rilevato il 14,2 per cento - in procinto di diventare il 17,1 - delle azioni di Hermès, senza averlo mai ufficializzato fino a quel momento e in contrasto con le regole francesi dove si è obbligati a effettuare una dichiarazione prima di superare la soglia del 5, 10, 15 per cento e via dicendo di una società quotata in Borsa. A rendere lo scenario ancora più problematico c’è lo statuto di Hermès che impone di rendere pubblica qualunque acquisto di azioni superiore allo 0,5 per cento.
L’Amf ha voluto vederci chiaro. Ed è così cominciata una minuziosa istruttoria, durata due anni e mezzo, fatta di audizioni di testimoni, ricerche dettagliate, letture di un centinaio di contratti e corrispondenze varie. Fino alla scoperta di un piano che sembrerebbe dimostrare come la scalata a Hermès fosse stata preparata accuratamente nei dettagli dalla casa concorrente.
La mattina dell’udienza del 31 maggio l’avvocato del gruppo Lvmh aveva domandato l’annullamento della procedura «per gravi violazioni nell’inchiesta e perché non siamo stati messi nella condizione di avere un processo giusto, visto che sono stati volutamente nascosti degli elementi per mantenere le accuse». La richiesta è stata respinta e il procedimento è andato avanti per "inesatte informazioni al pubblico, mancanza di chiarezza nei conti e preparazione di un’operazione finanziaria non rivelata al pubblico".
L’inizio della vicenda risalirebbe a ben 12 anni fa. E come si sia articolata risulta dalle 115 pagine del rapporto dell’Amf che il quotidiano "Le Monde" ha pubblicato.
Nel 2001 Lvmh compra il 4,9 per cento delle azioni di Hermès (quindi sotto la soglia del 5 che obbliga a dichiarare l’acquisto) attraverso due proprie filiali, "Hannibal" in Lussemburgo e "Altair" nello Stato americano del Delaware, che poi le trasferirà alle società Ashbury Finance, Bratton Services e Ivelford Business: tutte e tre con sede legale a Panama, notoriamente un paradiso fiscale. Di tutto questo Lvmh non mette al corrente nessuno. Nello stesso periodo Bernard Arnault, patron di Lvmh (secondo "Forbes" prima fortuna francese e quarta mondiale nel 2012), acquista il 3,5 per cento della Tod’s di Diego Della Valle e non ne fa mistero.
Cinque anni dopo, Jean-Louis Dumas, il patron di Hermès (che aveva quotato il marchio in Borsa nel 1993, anche se il 72 per cento era rimasto nelle mani degli eredi), si ammala gravemente ed è costretto a lasciare. Lvmh fa studi approfonditi su Hermès con Rothschild e il prestigioso studio di avvocati Bredin Prat. Nel 2007 scatta un’altra fase: quella degli equity linked swap, strumenti finanziari derivati che permettono di scommettere sull’andamento di un titolo senza possederlo. Il piano è proposto dalla Natixis, la banca d’investimenti del gruppo Banche popolari francesi, a Lvmh che compra i titoli Hermès attraverso Hannibal e l’ungherese Harmony Capital, dividendo le partecipazioni in tre pacchetti che non superano il fatidico 5 per cento. Così Natixis acquisisce il 4,7 per cento, la Société Générale il 4,5 e il Crédit Agricole il 3. Una tecnica di acquisizione che nel suo rapporto l’Amf descrive così: «Un sistema che ha come effetto quello di non dare nessuna informazione chiara su questi equity swap e di non mettere il pubblico in condizione di conoscerne l’esistenza».
Il primo maggio 2010 muore Jean-Louis Dumas. Un mese dopo Arnault chiede alle tre banche di cambiare il tipo di pagamento degli swap che ha acquistato nel 2008: invece di soldi, azioni Hermès. La banca Lazard, cui è stata richiesta una perizia sull’affare, consiglia di farlo. A ottobre il gruppo diffonde un annuncio ufficiale, dichiarando appunto di possedere il 14 per cento, che poi progressivamente diventa il 17 il 26 ottobre, il 20,21 il 21 dicembre, il 21,4 nel luglio 2011, infine il 22,28 nel dicembre 2011. Avendo acquistato le azioni a un prezzo che si aggira intorno agli 85 euro, già a fine 2010 (quando in Borsa valgono 182 euro) Lvmh ha portato a casa una plusvalenza potenziale di un miliardo di euro (oggi è molto di più). È a questo punto che scatta l’inchiesta dell’Amf.
Il "coming out" finanziario non piace neanche un po’, ovviamente, alla famiglia Hermès che passa all’attacco. Crea una sua holding, H51, che raccoglie e blocca il 50,2 per cento del capitale. Ma non all’unanimità: l’ennesimo colpo di scena porta il nome di Nicolas Puech-Hermès, in disaccordo con le decisioni dei 51 principali eredi che fanno parte del gruppo di famiglia. Secondo l’Amf è stato lui a facilitare il complesso piano finanziario realizzato da Lvmh con la vendita di 8,8 milioni di titoli Hermès alle banche-schermo. Senza questa manovra non sarebbe stato probabilmente possibile per il gruppo di Arnault dare il via alla scalata nascosta.
Ora che succederà? Hermès ha denunciato penalmente nel settembre 2012 Lvmh per «manipolazione dei prezzi e insider trading» e spera di poter aver accesso ai contratti degli equity swap per poi farli annullare per frode. Lvmh da parte sua ha risposto denunciando Hermès per «ricatto, denuncia calunniatoria e concorrenza illecita» e aggiungendo pochi giorni fa un’altra denuncia penale con costituzione di parte civile per le dichiarazioni dei dirigenti di Hermès, giudicate «ostili» nei suoi confronti.
Su un punto Hermès ha già vinto: pur essendo molto più piccolo del gigante Louis Vuitton, la crescita economica dell’inventore della mitica borsa Kelly (e Birkin) è doppia. Nel 2012 le sue vendite sono aumentate del 16,4 per cento mentre Vuitton è fermo al 7. Lo scorso anno, secondo la classifica mondiale di Interbrand, Vuitton è stata la griffe francese che si esporta meglio (17esimo posto) mentre Hermès ha conquistato un onorevole 63esimo posto. Su una cosa però sembrano essere d’accordo: entrambi i gruppi hanno acquistato, con grande discrezione, un allevamento di coccodrilli in Australia per assicurarsi il rifornimento di materia prima.
Nell’attesa delle decisioni dell’Amf e della probabile multa, il vice presidente di Lvmh, Pierre Godé, ha dichiarato che «il gruppo non esclude la possibilità di rivendere la sua partecipazione», visto che l’immagine di Lvmh sta risentendo degli effetti negativi di questa vicenda. Bernard Arnault in aprile aveva invece affermato: «Non avevamo previsto di diventare azionisti di Hermès. Abbiamo fatto un investimento finanziario che si è poi evoluto in un modo che non avevamo programmato». Dopo il rapporto dell’Amf dimostrare questa casualità è sicuramente più complicato.