Jacopo Pasotti, L’Espresso 14/6/2013, 14 giugno 2013
ORA E SEMPRE TUNDRA
Schiacciate tra la globalizzazione ed il riscaldamento (anche lui) globale le società nomadiche sono ad un passo dalla estinzione. Ce ne è una, però, che è in controtendenza e sta diventando un caso scientifico e antropologico. Studiarla non è cosa facile: occupa l’immensa regione sub-artica russa affacciata sui mari di Barents e di Kara, insomma un angolo remoto del pianeta. Sono i nenets: 42 mila anime e 640 mila renne che per mantenere il loro carattere nomadico millenario hanno bisogno di un’area tre volte più estesa dell’Italia. Ora però devono fare i conti sia con l’ecosistema della tundra, che cambia, sia con l’aumento delle attività di estrazione di gas e petrolio, e villaggi e strade che crescono di anno in anno.
Eppure secondo gli esperti i nenets reagiscono tutto sommato bene, al punto da farne un caso modello. In diversi studi recentemente apparsi sulle maggiori riviste scientifiche, team di ecologi ed antropologi mostrano una realtà diversa rispetto ad altre comunità nomadi, minoranze scomode in un pianeta sempre più stretto. A causa della loro eccezionale capacità di adattamento, i nenets potrebbero diventare un modello per altre popolazioni delle aree circumpolari, che rischiano di scomparire del tutto.
Ne è convinto, per esempio, Bruce Forbes, dell’Arctic Centre di Rovaniemi (Finlandia), secondo cui i nenets mostrano una resilienza (la capacità di assorbire il "colpo" dovuto ad un cambiamento inatteso, riorganizzarsi, ed infine trovare un equilibrio con la nuova condizione raggiunta) che è fuori dal comune. L’obiettivo è uscirne non annientati, ma bensì adattati a un nuovo sistema.
I nomadi della Provincia autonoma di nenets e della Penisola Yamal in inverno migrano verso l’interno, dove la neve è più sottile e meno ghiacciata (questo facilita le renne che si cibano dei licheni sotto la superficie nevosa), mentre in estate si spostano vicino alla costa, dove il vento allontana le insopportabili zanzare. In un anno, una brigata di nomadi con la sua mandria può percorrere fino a 1.200 chilometri lungo fasce di territorio di quasi cento chilometri di ampiezza. Un’estensione vastissima che, di anno in anno, muta: cambia la vegetazione e il territorio si riempie di personale e infrastrutture, venuti a lavorare ai giacimenti di gas e petrolio. L’artico russo non è più desolato e i nenets non sono più gli unici signori della tundra. Il risultato è che per loro l’ambiente è diventato un percorso a ostacoli. Lo shock è inevitabile.
Il primo ostacolo si chiama riscaldamento globale. In uno studio pubblicato su "Nature", un team internazionale di studiosi di cui faceva parte anche "Forbes" illustra i dati satellitari degli ultimi 30 anni che indicano un avvenuto aumento delle temperature di 1-2 gradi centigradi. L’ecosistema ha reagito a questo cambiamento: le coperture nevose e glaciali sono diminuite e la vegetazione è migrata verso nord di diversi gradi di latitudine. I bassi arbusti caratteristici della tundra stanno diventando più coriacei, alti, ed intricati.«Gli arbusti somigliano ora a piccoli alberi», spiega "Forbes": «Tutto fa pensare che il processo andrà avanti, e se così fosse, la vegetazione potrebbe migrare di 20 gradi di latitudine verso nord». Non sono solo i satelliti dei ricercatori ad essersi accorti del nuovo make-up della tundra, anche i nenet sono coscienti che qualcosa sta cambiando rapidamente e sostengono di avere a che fare con arbusti più alti, disgelo anticipato in primavera ma, soprattutto, un aumento di eventi meteorici imprevedibili. Come alcune ghiacciate fuori stagione, che negli ultimi anni hanno causato una elevata mortalità nelle mandrie. E poi, «i nomadi dicono che la neve arriva più tardi», dice Andrey Vokuev, del Barents Secretariat, un organismo che favorisce gli scambi culturali tra le regioni circumpolari russe e scandinave a Naryan Mar: «E questo è un problema, perché a fine estate è necessario abbattere alcune renne per poi trasportarle nella più vicina città e venderne la carne, e questo va fatto con le prime nevicate, quando il freddo mantiene la carne congelata».
Il secondo ostacolo è la presenza umana: strade, ferrovie, insediamenti e poi attività estrattive di gas, petrolio, e in minor parte di risorse mineriarie. Questi terreni acquitrinosi, in parte perennemente congelati, nascondono i più vasti giacimenti di gas noti sul nostro pianeta. Riserve naturali che fanno della Provincia autonoma di nenets una delle più ricche della Federazione russa. «Gli stipendi sono alti e in costante aumento, la disoccupazione irrilevante, i budget provinciali sono in attivo», spiega Vokuev: «Qui l’economia gira per il big oil, non per le renne».
La competizione per l’uso del territorio tra le popolazioni indigene e gli insediamenti di immigrati è, inevitabilmente, una partita iniqua. Così le mandrie di renne devono, per forza di cose, attraversare campi estrattivi, districandosi tra gasodotti, un intrico di strade sterrate che si sta espandendo in maniera tentacolare, ed insediamenti urbani temporanei e permanenti. I disturbi sono molti. Ci sono i cani randagi per esempio, sconosciuti prima e in aumento ora: spaventano le mandrie e le disperdono. C’è poi la pesca, attività fondamentale per i nenets ma anche attrazione per i molti appassionati che ora contendono ai nomadi le anse migliori ed i laghi più pescosi. La polvere delle strade sterrate rende immangiabili le piante ed i licheni in un’ampia area circostante. Molte aree di estrazione di idrocarburi sono cintate. Intorno alle zone di estrazione c’è di tutto: rifiuti, cocci di bottiglie di vodka, materiali per costruzione abbandonati e, di tanto in tanto, qualche occasionale sversamento di nero petrolio greggio. Infine c’è il bracconaggio, diffuso tra i lavoratori russi.
Eppure i nomadi della tundra sono lì da millenni, al limite estremo della vivibilità umana, e sono sopravvissuti a diversi shock sia ecologici che sociali, ma il loro sistema continua a funzionare. E i nenets mostrano solo numeri in ripresa. Negli ultimi tre secoli la popolazione nomade della Penisola Yamal è triplicata. Un aumento della popolazione si nota anche nella vicina Provincia autonoma nenets, dove negli anni ’80 c’erano 6.400 nomadi mentre oggi sono 7.500. «Sì, c’è un autentico baby-boom», dice con soddisfazione Vokuev: «La popolazione nenets è in continuo aumento, vuol dire che stanno bene». E con loro prosperano anche le renne: alla fine della Seconda guerra mondiale c’erano 310 mila renne, oggi si stima che siano circa 6 milioni e 400 mila.
«L’economia dei nenets ha avuto successo là dove altri hanno fallito», ha scritto "Forbes" sulla rivista scientifica "Proceeding of National Academy of Science". Ci sono regioni, come la Chukotka o la Siberia centrale, dove l’economia nomade è svanita. Alla base di questo successo c’è la ricerca del compromesso con le istituzioni e con le compagnie. «I nenets non si sono rivoltati contro le compagnie, hanno capito che la progressiva invasione è inevitabile, cercano il dialogo. È molto diverso dal rapporto tra le popolazioni indigene in Alaska o in Canada dove i termini sono molto più duri: o lo sfruttamento dei giacimenti o noi», spiega lo scienziato: «I nomadi capiscono che l’economia del Paese e quindi la loro stessa sussistenza dipende anche da questi giacimenti».
Ma l’aspetto veramente sorprendente, che è anche l’indice (o forse la chiave) del successo di questa popolazione, è il gran numero di giovani che opta per la tundra. La vita nella tundra è percepita come dura ma "gratificante". Dopo gli anni di scolarizzazione obbligatoria, che porta i giovani a passare lunghi periodi a contatto con la società urbana, sono molti quelli che decidono di tornare presso le famiglie e continuano le attività di pastorizia. La scelta di rientrare a far parte del sistema naturale piuttosto che in quello urbano è formidabile, una rarità, ma secondo gli ecologi potrebbe essere il segreto della resilienza mostrata dai nenets.
Un merito lo hanno anche loro, le renne, che possono nutrirsi di 400 specie vegetali diverse. Così malgrado la riduzione di salici nani nelle zone di estrazione (che insieme alla betulla compone circa il 40 per cento della dieta della renna) le renne compensano con una dieta basata sulle graminacee, che stanno invece aumentando. Un menu meno gustoso forse, comunque molto nutriente.
Anche gli adattabili nomadi della tundra hanno però i loro limiti e «se il cambiamento continuerà con questo ritmo, la capacità di riorganizzarsi dei nenets raggiungerà presto un limite e diventeranno molto vulnerabili», dice "Forbes". Affinché il sistema sociale-ecologico della tundra e delle popolazioni che la abitano continuino a esistere, i nomadi devono poter far sentire la loro voce nelle decisioni sull’uso del territorio. Devono poter decidere insieme alle compagnie petrolifere e del gas dove lasciare liberi passaggi per le mandrie, dove mantenere intatti i luoghi sacri, i laghi dedicati alla pesca e così via. Serve insomma il dialogo, in modo da minimizzare i danni alla ecologia della tundra. «Ho l’impressione che le compagnie abbiano capito che una coesistenza è possibile», ammette "Forbes".
Se c’è una comunità che ha buone possibilità di sopravvivere nella Russia di oggi, questa è quella dei nenets. La loro lunga esperienza di coesistenza con shock esterni ma, soprattutto, la loro forte ed attiva cultura nomadica potrebbe in effetti essere un modello di resilienza per altre popolazioni minacciate dal clima e dalla società che cambiano.