Stefano Del Re, L’Espresso 14/6/2013, 14 giugno 2013
L’UOMO CHE SCOPRÌ BECKETT
Una vita romanzesca che attraversa il "secolo breve". Un critico ed editore che scopre talenti letterari come Samuel Beckett e Roland Barthes, Georges Perec e Michel Houellebecq, Leiris e Ben Jelloun. Che li fa tradurre in Francia, come Henry Miller e Malcolm Lowry, Durrell e Gombrowicz, Borges e Sciascia. Uno che attraversa come una tempesta giornali e case editrici. Finché non riesce a diventare padrone di se stesso. Per continuare a essere - come dice il titolo di un suo libro - "servitore" dei suoi autori. La sua vita potrebbe trovare posto nelle pagine di Balzac o di Zola. Una storia molto francese. Migliore di un romanzo. Una storia vera.
Maurice Nadeau, trotzkista, surrealista, partigiano, giornalista, critico, scrittore, editore, una leggenda vivente di 102 anni compiuti, ha appena ingaggiato un’ennesima battaglia. Lotta per la sopravvivenza della sua creatura, la rivista "La Quinzaine Littéraire" fondata nel 1966 e fucina di polemiche, lanci letterari, attacchi all’arma bianca, palestra di grandi autori come Starobinski, Braudel, Barthes, Beckett, Foucault che hanno fatto storia. Gratuitamente perché soldi non ce ne sono mai stati. Certo tutta l’editoria è oggi in crisi, ma dietro alla rivista e alle Editions Maurice Nadeau, la piccola casa editrice che l’affianca, c’è una storia speciale rispettata e amata in tutto il mondo. Insieme al figlio Gilles, dal sito on line del giornale, Nadeau ha fatto appello a un azionariato popolare. Con 100 euro si può diventare lettori-azionisti del giornale. Un marchio di fabbrica per chi è segnato da una durissima scuola di vita. Provare per credere.
Nato a Parigi il 21maggio 1911, orfano di guerra, famiglia poverissima, Maurice studia furiosamente. A 24 anni e a forza di borse di studio, esce professore dall’Ecole Normale Supérieure di Saint-Cloud. Si avvicina al Pcf. Per sua scelta va a insegnare nelle scuole primarie della banlieue parigina. Ai figli degli operai e degli immigrati però, fa leggere Eluard e Aragon. Suscita scandalo. Scatena sospetti: troppo qualificato. Lo rispediscono in un liceo. Ma a coltivare il sospetto non sono solo i presidi borghesi. Sono anni di ferro, bisogna scegliere: di qua o di là. Al professore comunista non piace quello che accade nell’Urss. Si mette a frequentare il surrealista Pierre Naville passato dal Pcf ai trotzkisti. Inevitabilmente viene espulso. Dalla Lega dei lavoratori ai surrealisti il passo è breve.
Diventa amico di André Breton, Louis Aragon e Benjamin Péret. Li frequenta. Li ammira. Ma, pur rispettoso, continua a pensare con la propria testa. E nel ’45 quando pubblicherà la sua "Storia del surrealismo"- oggi diventata un classico - manda su tutte le furie Breton perché dichiara finito il movimento.
I poeti, dunque. E la politica. Del marxismo segue l’indicazione di "cambiare il mondo". Dei surrealisti condivide la parola d’ordine "changer la vie". La sintesi lo porta a entrare nella Resistenza rischiando più volte di essere catturato dalla Gestapo. Dopo la Liberazione entra a "Combat", il foglio leggendario diretto da Albert Camus, diventandone redattore culturale. Da lì ingaggia battaglie epiche: memore dei surrealisti, riabilita Sade. Poi organizza insieme a André Gide la difesa di Henry Miller accusato di pornografia per "Tropico del Cancro". L’americano, riconoscente, gli consiglia "Il quartetto di Alessandria" dell’amico Lawrence Durrell e gli cede i suoi inediti "Sexus", "Plexus" e "Nexus". È un altro fatto, però, a lasciare tutti di stucco. Il partigiano comunista stavolta prende le difese di Céline incolpato per collaborazionismo e per i suoi orrendi scritti antisemiti. Nadeau dichiara che «uno scrittore deve essere libero di scrivere tutto». «Il nostro», dirà, «era il giornale della Resistenza: perdemmo abbonamenti, ma nessuno si oppose». L’autore del "Voyage au bout de la nuit" gli fu grato e quando tornò dall’esilio volle incontrarlo. Ma Nadeau rifiutò.
Sempre su "Combat" nel ’51 scopre Samuel Beckett, prima che escano "Molloy"e "Malone muore" e che vada in scena "En attendant Godot". Beckett gli resterà legato per sempre. Nel ’47, fa uscire il saggio di uno sconosciuto professore di nome Roland Barthes: è "Il grado zero della scrittura".Venuto a sapere di un rifiuto di Gallimard, manda in stampa "Sotto il vulcano" di Malcolm Lowry contemporaneamente a Jonathan Cape.
L’uomo è coraggioso, testardo. A volte timido. A volte feroce. Uno dei suoi ultimi libri si intitola "Grâces leur soient rendues" (Siano rese grazie a loro). Dichiarazione d’amore al suo mestiere. E, a ben vedere, manifestazione d’orgoglio. L’etichetta di intellettuale engagé non gli piace. Lui che ha combattuto contro i nazisti pensa che politica e letteratura debbano procedere separatamente. Al contrario di Sartre col quale comunque nel 1960 firma il manifesto dei 121 contro la guerra d’Algeria per il quale viene messo sotto accusa.
Al Théâtre Poème di Bruxelles nel 2011 nella sua ultima uscita pubblica, per la presentazione del libro-intervista "Une passion littéraire" del filosofo Jacques Sojcher, ipnotizzava la folla di lettori e studenti accorsa ad ascoltarlo: «Meglio che la politica lasci stare la letteratura. Altrimenti si rischia di finire come nell’Urss». «Quando si parla di impegno io penso a Kafka. Lui era contro tutti i poteri della sua epoca. Certo non è mica sceso in strada con una bandiera in mano. Però gli è bastato scrivere». Nadeau non ama il potere. Ma sa che prima o poi deve farci i conti. E i conti spesso non tornano.
Gli editori dove ha diretto collane lo accusano di perdere soldi. Glielo ripetono da Buchet-Chastel a Denoël, da Julliard a Laffont e Mercure de France. Lo mandano via, risorge da un’altra parte. Anche da critico è nomade. Finita l’avventura di "Combat", passa a "‘L’Express", poi al "Nouvel Observateur" e alle "Lettres Nouvelles". È pignolo. E pesca perle preziose.
Georges Perec negli anni Sessanta ha una rubrica di cinema sulle "Lettres Nouvelles", scrive ma nessun editore gli dà retta. Quando gli fa leggere il suo primo romanzo, Nadeau trasale: straordinario. Gli fa riscrivere, però, tutta la terza parte. «Era troppo influenzata da "L’educazione sentimentale" di Flaubert». Esce "Les choses" e nasce una stella letteraria purissima. E anche un successo clamoroso: 200 mila copie. «L’unico colpo commerciale della mia carriera», dirà: «Peccato che fossi stato appena licenziato da Julliard».
Quando Michel Houellebecq, trent’anni dopo, lo assale sfrontato dicendogli: «Lei ha pubblicato Perec, io sono il nuovo Perec, adesso si occupi di me», gli fa fare anticamera per mesi. Però il libro lo legge, gli piace e lo stampa. Nasce "Extension du domaine de la lutte" che colpisce al cuore una nuova generazione di lettori.
È impossibile raccontare tutta la sua carriera. Solo i libri firmati da lui sono dozzine. Ha curato l’edizione critica di Sade e di Flaubert. A richiesta di Gaston Gallimard cura e introduce il volume dei romanzi di André Gide nella Pléiade. Un piccolo Nobel.
Ce la farà a salvare la "Quinzaine"? Dice il figlio Gilles: «La raccolta sta funzionando: 40 mila euro in pochi giorni. Il tetto per uscire dal baratro è fissato a 80 mila». Sufficienti appena per fare fronte alle spese, tanto in casa Nadeau il lavoro è volontario. E qualche volta basta solo l’amicizia. Come capitò con Sciascia. Quando Maurice, che gli aveva pubblicato 11 libri, fu cacciato anche da Denoël, Sciascia gli propose di continuare senza essere pagato.
A chi si chieda quale sia stata la molla iniziale di una simile avventura, si può rispondere che la risposta sta probabilmente ancora in un libro. Una copia sgualcita trovata nelle tasche del padre morto a Verdun. «Un mistero», ha raccontato: «In casa non avevamo libri, eravamo troppo poveri. Mia madre non sapeva leggere. Saltò fuori quando ci spedirono i suoi pochi averi. Si trattava delle "Fiabe" di La Fontaine. Mi sono chiesto da chi lo avesse avuto. Cominciai a leggerlo. E da allora non ho più smesso».