Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 13 Giovedì calendario

FINITI I SOLDI FACILI: È L’ORA DI PRIVATIZZARE

Il mondo è cambiato, più o meno una settimana fa. Ma non tutti se ne sono accorti: per la fine dell’anno le Borse possono raggiungere nuovi massimi mentre i bond, dopo quattro anni di rialzi, possono correre il rischio di perdite in conto capitale. A sostenerlo è Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos partner, una delle boutique di lusso della finanza, che l’altra sera ha celebrato a Roma le nozze delle atttività italiane con Julius Baer, la terza banca svizzera. Per l’occasione Fugnoli ha esposto le sue tesi (riportate dal sito Firstonline): ormai i mercati hanno capito che la Fed non allargherà più i cordoni della Borsa, perché è convinta che l’economia, almeno negli Usa, sia in ripresa e che il Giappone seguirà. Perciò, se fino a pochi giorni fa ogni brutta notizia per l’economia reale (caduta della produzione, aumento della disoccupazione, calo dei mutui...) veniva accolta con piacere dalla finanza perché le disgrazie obbligavano la banca centrale ad offrire più denaro a basso costo, oggi la musica è cambiata: Wall Street e le altre Borse devono tornare a fare il tifo per la crescita e a puntare sulle buone azioni. Al contrario, i Bond o i Bund comprati a rendimenti minimi rischiano di fare i conti con un costo del denaro che potrebbe aumentare con la ripresa.
Questa la tesi di Fugnoli che spesso ci azzecca. Anche se l’andamento dei mercati in questi giorni non va proprio in quella direzione. Certo, i bond, Btp e così via ballano al ribasso mentre il dollaro scende in maniera vistosa (altro guaio per l’export). Ma anche le Borse perdono colpi, soprattutto dalle nostre parti. Non c’è da stupirsi, si può replicare, perché la speculazione, colta in contropiede, deve vendere senza far troppe distinzioni. Poi, passata la bufera, le buone azioni galleggeranno più tranquille. D’altronde, le perdite in Piazza Affari (-1,6% ieri) sono quasi tutte legate alle banche che a loro volta dipendono da Bot e Btp.
Quel che è sicuro è che a Ben Bernanke, presidente della Fed americana, è bastato un verbo di cinque lettere, cioè taper ,che in inglese sta per “spegnere lentamente” gli acquisti di titoli di Stato per provocare un piccolo terremoto sui mercati finanziari: in una settimana i rendimenti dei titoli di Stato americani sono schizzati a livelli come non si vedevano da mesi, i Bot a 12 mesi sono risaliti ieri a un soffio della soglia dell’1%, venti centesimi in più di maggio. Ma l’onda, oltre a provocare un vero e proprio uragano in Giappone, si è abbattuta un po’dappertutto: perde colpi la Borsa brasiliana al pari del Rand sudafricano. L’indice dei Cds, cioè le famigerate coperture sul rischio bancarotta, martedì ha subìto lo scossone più violento (il 4,6%) dai tempi del crack di Lehman Brothers. In un mese i bond dei Paesi più alla moda, in Sud America o in Asia, hanno accusato una perdita media superiore al 6%. Eppure, proprio un mese gli speculatori si strappavano di mano i titoli del Rwanda ad un interesse, pari al 6,625%, inferiore ai tassi che l’Italia si è trovata a pagare nel novembre del 2011.
Ieri la tempesta si è, in parte, placata. Ma nessuno si fa illusioni: non sarà un’estate tranquilla, qualunque sia la decisione che la Fed annuncerà mercoledì alla fine della riunione mensile dei board che decide la politica monetaria Usa. Meglio prepararsi ad una stagione di maggior volatilità sul fronte delle obbligazioni e dei titoli di Stato, soprattutto se dalla Bundesbank continueranno ad arrivare nuovi siluri alla politica di Mario Draghi. Ma, al di là delle solite manfrine europee, il mondo si appresta a sfruttare la ripresa della locomotiva americana e degli altri pronti a seguirla.
Che effetto avrà per noi la nuova situazione? Per i nostri portafogli è l’ora di avviare una rinfrescata di stagione. Liberarsi, con prudenza, dei titoli obbligazionari a scadenza più lunga ed avvicinarsi al mercato azionario magari passando dalle obbligazioni convertibili in azioni. E guardare alla Borsa con maggior fiducia, al di là di scossoni come quello di ieri. L’importante è scegliere titoli di buone società, meglio se industriali, con prospettive di crescita sui mercati internazionali. Può sembrare strano, ma di società così ce ne sono (e non poche) in Piazza Affari. Basta andare al di là del paniere dei soliti nomi noti. L’indice All Star, che comprende molte medie imprese di successo, in un anno ha guadagnato il 25 per cento.
In termini macro, il discorso è meno allegro. La prospettiva è di un aumento dei tassi, forse contenuto, forse più violento di quanto auspicato. In ogni caso, la finanza pubblica di casa nostra non potrà contare su nuovi sconti. L’unica strada virtuosa è tornare a crescere. Il più in fretta possibile, passando dalle parole ai fatti perché la pazienza dei mercati per i giochini nostrani si sta esaurendo. Ieri un report della parigina Société Générale ha messo a confronto Madrid con Milano: meglio le banche spagnole dopo la pulizia delle nostre. E meglio le industrie visto il recupero del clup (che sta per costo del lavoro per unità di prodotto) che dalle nostre parti continua a peggiorare.
È un pessimo segnale: la speculazione internazionale torna a chiedersi con maggior ansia come potrà fare l’Italia a sostenere un debito pubblico così pesante con una crescita negativa. L’unico rimedio, di fronte ad un bivio del genere, non passa certo dall’aumento della pressione fiscale. Semmai dalle riforme e dalla vendita dei beni pubblici e da una forte ondata di privatizzazioni: se cresce nel mondo l’appetito per le azioni è il caso di approfittarne.