VARIE 13/6/2013, 13 giugno 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI IN IRAN
PEZZO DELLA STAMPA DI STAMATTINA
FRANCESCO DE LEO
Quando arrivi all’aeroporto Imam Khomeini di Teheran comprendi subito perché Qalibaf, sindaco conservatore della capitale, abbia superato nei sondaggi per le elezioni presidenziali il negoziatore nucleare Jalili, candidato principe del suo stesso schieramento, ma preferito dalla Guida Suprema Khamenei. Fiori dappertutto, nuovi negozi, solo taxi ufficiali all’uscita. «Ha lavorato davvero bene», dice il tassista diretto al Laleh, uno dei due alberghi dove tutti i giornalisti stranieri sono obbligati a pernottare. «Ha esperienza – prosegue – questa città è ingovernabile, siamo oltre dieci milioni, e lui con le autostrade e la metro ci sta aiutando a viverla». «Quello che nessuno si spiega – aggiunge ridendo – è come abbia fatto, sotto sanzioni, a dotare la polizia di Mercedes». Ma il tassista non voterà. «Questo Paese non cambierà mai. Il mio voto è inutile», confida.
Rispetto a quattro anni fa, quando le presidenziali vinte da Ahmadinejad finirono con proteste represse nel sangue, c’è sicuramente meno mobilitazione politica, si vedono meno poster elettorali sui muri, si assiste a meno comizi e si parla di possibile ballottaggio. Il coinvolgimento della gente su quanto si legge nei programmi dei candidati – inflazione, disoccupazione, isolamento internazionale – è invece ancora più forte. «Siamo una delle maggiori riserve al mondo di petrolio e gas e il rial ha perso quasi la metà del proprio valore! L’inflazione è sopra il 30%!» dice tra l’incredulo e il rassegnato un negoziante di abbigliamento nella via Valiasr che collega il Sud e il Nord della città. Le mancherà Ahmadinejad? «Neanche un po’...».
Non è però difficile ascoltare pareri discordanti, soprattutto tra le persone più povere, ma non solo. Il populismo del presidente in carica, il distribuire denaro direttamente alla gente, risparmiando sui sussidi, non sarà facilmente dimenticato. Ma quello che sembra essere più cambiato è la considerazione degli iraniani verso la causa prima del loro malcontento: le sanzioni per il nucleare. Quattro anni fa le reazioni erano più indignate, ci si sentiva sotto attacco straniero. Oggi ti dicono che tra i principali cambiamenti che si aspettano c’è il miglioramento dei rapporti internazionali.
Insomma, Teheran si avvicina alle undicesime presidenziali della Repubblica islamica assai preoccupata e malinconicamente rassegnata.
E la passione? Il grande sogno riformista di quattro anni fa? «Continuiamo a crederci, non molliamo», dice uno studente al meeting di chiusura della campagna elettorale riformista al palazzetto dello sport vicino al parco Laleh che strabocca di gente. Chiusi i cancelli in faccia ad un fiume di persone. «Non possiamo farvi entrare – gridano gli organizzatori ai tornelli – dentro è pieno come un uovo e non si respira». Il caldo è pazzesco, ma il colpo d’occhio ancora di più. Non c’è uno spazio vuoto sulle tribune e la gente è stretta come sardine. I riformisti ci riprovano, con più accortezza, ma con la stessa vivacità. Quattro anni fa il leader giovanile dell’Onda Verde spiegava: «Siamo come delle pulci chiuse in una scatola. Abbiamo la potenzialità di saltare tantissimo in alto, ma il coperchio ce lo proibisce». Tutta questa energia si sente, quasi si tocca. Quando arriva Aref, che poi si è ritirato per aiutare, come chiesto dal vecchio ex presidente Khatami, Rohani, c’è da tapparsi le orecchie. Urla, slogan, canti: «Aref ti vogliamo bene!». Partono anche slogan pericolosi, «libertà per i carcerati!», «non dimentichiamo i nostri martiri», subito zittiti dagli organizzatori che gridano al microfono: «Calma ragazzi, prudenza». È troppo lo spavento. Rohani si è salvato, pare, per un soffio. Lunedì giravano voci che sarebbe stato escluso dalla partita dal Consiglio dei Guardiani per quanto detto nell’ultimo confronto televisivo. Aveva accusato Qalibaf, nel 2000 capo della polizia, di essere il responsabile della carneficina, 80 morti, all’Università di Teheran. Invece Rohani, religioso vicino all’ex presidente Rafsanjani, sarà in lizza e al momento è secondo nei sondaggi. I riformisti hanno cambiato colore rispetto a quattro anni fa: il bianco, meno suggestivo e comunicativo del verde. Ma non hanno cambiato l’anima. Una donna mentre lo schermo gigante mostra l’immagine di Mohammad Khatami, si gira e dice: «Quando c’era lui ero orgogliosa di sentirmi iraniana».
PEZZO DI FRANCESCA PACI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Certo, il candidato moderato Hassan Rohani ha catalizzato le speranze dell’opposizione. Ma per quanto scandiscano il suo nome come un mantra i ragazzi di Teheran sanno che non sarà lui il cavallo di Troia con cui espugnare il regime degli ayatollah. Se la rivoluzione politica tarda, pare invece che quella sessuale sia letteralmente esplosa negli ultimi anni, coinvolgendo l’intera società iraniana in un cambiamento culturale assai più minaccioso per lo status quo di qualsiasi ipotetica sfida politica.
«In materia di sesso l’Iran si sta muovendo, e velocemente, in direzione della Gran Bretagna e degli Stati Uniti» scrive su «Foreign Policy» l’analista Afshin Shani. In quella che lui chiama la «Repubblica Erotica» la libertà chiusa fuori dalla porta sarebbe rientrata dalla finestra della camera da letto con tale fantasiosa ed enfatica creatività da far apparire la licenziosa Londra una città puritana.
Incredibile? Eppure basta leggere tra le righe delle statistiche ufficiali per trovare la conferma che pochi temerari darebbero in prima persona a meno d’essere testimoni anonimi come i blogger a cui si è ispirato lo scrittore israeliano Ron Leshem nel bel romanzo «Underground Bazar».
Il calo delle nascite, per esempio, racconta tanto la diffusione della contraccezione quanto la ridefinizione della famiglia tradizionale, almeno nella colta capitale. Sebbene più della metà degli iraniani abbia meno di 35 anni, il tasso di crescita della popolazione è precipitato dal 3,9% del 1986 all’1,2% del 2012. Un dato confermato dai matrimoni a cui gli uomini si avvicinano oggi intorno ai 28 anni e le donne tra i 24 e i 30, almeno un quinquennio più tardi dei loro genitori (inoltre il 40% degli adulti potenzialmente coniugabili risulta single e i divorzi sono passati dai 50 mila del 2000 ai 150 mila del 2010).
Il privato è politico, gridavano i sessantottini rivendicando la libertà dei costumi insieme a quella politica. I ragazzi di Teheran, nipoti d’una generazione approdata alla rivoluzione del ’79 con un livello d’emancipazione parecchio superiore rispetto ai coetanei della primavera araba, mantengono un profilo più basso ma lavorano dietro le quinte. Secondo uno studio del 2008 del ministero della Gioventù la maggior parte degli iraniani ammette d’aver avuto rapporti sessuali prima del matrimonio e aggiunge che, nel 13% dei casi, si sono rivolti con una gravidanza indesiderata o con l’aborto. E pazienza se pochi mesi dopo lo stesso ministero metteva in guardia il paese dalla «degenerazione morale dei costumi». Se la rivoluzione sessuale è veramente cominciata, gli ayatollah non avranno gioco facile nel trincerarsi dietro le urne.
FRANCESCO BATTISTINI SUL CORRIERE
Domani si vota il nuovo presidente dell’Iran e la Suprema guida Ali Khamenei, il Khomeini 2.0 per intenderci, ha ordinato al popolo un’alta affluenza alle urne. «Facciamo arrabbiare i nostri nemici». Più noi siamo, più loro tacciono. Dove loro, si capisce, sono tutti quelli che non la pensano come lui. Non sarà difficile scontentarlo: la voce del nemico è già flebile e le bocche della rivolta di quattro anni fa — ricordate l’Onda verde che osò contestare la teocrazia e anticipare le primavere del Medio Oriente? — sono zittite o agli arresti domiciliari. La morbida opposizione del pragmatico Rafsanjani è stata esclusa dalla competizione, assieme ai riformisti e all’ala destra di Ahmadinejad e dei vecchi pasdaran, considerati troppo laici. I giovani elettori che possono cambiare qualcosa, quelli che andranno al seggio, sono costretti a specchiarsi in candidati tutti uguali e a sperare al massimo nella barba canuta e cauta d’un mullah di 64 anni, Rohani, che per una vita s’è seduto alla destra della Guida suprema e una volta propugnava l’impiccagione di chiunque esigesse un’informazione libera. Rohani oggi passa per un sincero aperturista e dicono sia meno peggio dell’attuale niente: durante le proteste del 2009, raccolse gli applausi per avere semplicemente scosso il turbante, perplesso, chiedendo ad Ahmadinejad conto (e poco altro) di tanta repressione. Veli e bavagli, molto di più non si vede sulla cartolina politica da Teheran. Anche l’informazione straniera, occidentale e perciò ostile, stavolta avrà meno voce. Agli ayatollah sono arrivate migliaia di richieste d’accredito, dopo mille cogitazioni sono stati dispensati un po’ di visti a tempo ultradeterminato e ne è uscita la solita lista nera degl’indesiderati: a questo giro, anche il Corriere della Sera vi è finito dentro in buona compagnia d’altre testate italiane, europee, americane. Niente lasciapassare sul passaporto dei nostri inviati: «Inappropriati», il timbro apposto dalla Repubblica islamica su alcuni reportage pubblicati l’anno scorso; «inopportuni», il marchio su commenti poco graditi. Non c’è chiesa, si sa, che maneggi bene l’informazione: la pia illusione è che un libero giornalista ammesso a corte, solo per questo, sia tenuto a scrivere cose «appropriate» e «opportune». Negli anni delle chiusure più cupe, un poeta senza religione come Ahmad Shamlou fingeva di narrare l’amore e intanto parlava di politica, di potere, di censura. «Chi ti dice ti amo/ è un triste cantante/ che ha perduto la sua canzone». Modesta proposta: leggere Shamlou a Teheran, per cantarle chiare a un potere sempre più sordo.
F. Bat.
REPUBBLICA.IT
TEHERAN - Si è chiusa alle prime ore del mattino italiane la campagna elettorale per le presidenziali di domani in Iran. Non c’è un netto favorito tra i sei candidati che si contenderanno il voto degli iraniani e viene dato per scontato che si arrivi al ballottaggio, il 21 giugno. Moderati e riformisti sono schierati con Hassan Rohani, dopo l’esclusione della candidatura dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. Tra gli ultraconservatori i sondaggi premiano Ali Akbar Velayati, consigliere diplomatico della Guida suprema Ali Khamenei, l’ex negoziatore nucleare Said Jalili e il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf.
Più di 50 milioni di cittadini sono chiamati alle urne domani per eleggere il successore del presidente Mahmud Ahmadinejad giunto alla fine del suo secondo mandato, non più rinnovabile. Con la gestione del dossier nucleare nelle mani della Guida suprema Ali Khamenei, il compito del futuro presidente iraniano sarà soprattutto quello di intervenire su un’economia fiaccata dagli effetti delle sanzioni e da squilibri interni, oltre che sulla gestione di una società solo in parte allineata ai rigidi principi morali dell’Islam sciita.
I candidati. In lizza ci sono almeno quattro esponenti conservatori, considerati vicini all’ayatollah Khamenei. Il negoziatore per il nucleare Said Jalili, 47 anni, è il più giovane fra i candidati e ricopre l’incarico di segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. E’ il rappresentante diretto di Khamenei nei negoziati per il nucleare iraniano. Mohammad Baqer Qalibaf, 51 anni, ex capo della polizia, è sindaco di Teheran da otto anni. Ali Akbar Velayati, 67 anni, per sedici anni ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri prima di divenire consigliere per gli affari esteri di Khamenei. C’è poi l’indipendente Mohsen Rezai, 58 anni, ex comandante dei Guardiani della rivoluzione (pasdaran) e segretario del potente Consiglio del discernimento.
In campo moderato le forze che fanno riferimento all’ex presidente Rafsanjani e ai riformisti guidati da un altro ex capo di Stato, Seyyed Mohammad Khatami, sono concentrate sul religioso Hassan Rohani, noto in Occidente per aver negoziato una sospensione dell’arricchimento dell’uranio nel 2003. Il ritiro della candidatura del riformatore Mohammad-Reza Aref ha spianato la strada al religioso, che ha ottenuto l’avallo dichiarato dell’ex presidente e attuale capo del movimento riformista Seyyed Mohammad Khatami. Khatami ha chiesto "a tutti, in particolare ai riformisti e a tutti coloro che vogliono lo sviluppo del Paese, di considerare quella di Rohani un’appropriata opportunità per veder esaudite le proprie richieste". Anche Rafsanjani ha ufficializzato il suo sostegno a Rohani. Per i moderati, è in lizza anche Mohammad Gharazi, 72enne ex ministro del petrolio e delle telecomunicazioni, che ha dichiarato di non avere "né soldi, né portavoce né struttura per una campagna elettorale".
Difficile fare previsioni sull’esito del voto: il sindaco di Teheran, tuttavia, sembra l’unico a godere di una certa popolarità, e sarebbe primo in due dei rari sondaggi di opinione resi noti, in cui Rohani risulta terzo e secondo.
L’evento pre-elezioni più eclatante é stata l’esclusione della candidatura da parte del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, massimo organo consultivo della Repubblica islamica, dell’ex presidente Rafsanjani, temuto dai conservatori per il possibile sostegno a movimenti di opposizione, che ha in qualche modo ipotecato la reale libertà e trasparenza delle elezioni. E’ stato escluso dalla competizione elettorale ufficiosamente per motivi di età ma, secondo indiscrezioni di stampa, per evitare una sua sicura vittoria. Dopo che molti riformisti hanno annunciato un boicottaggio del voto proprio per l’esclusione di Rafsanjani, l’ex presidente ha invece lanciato un appello ad andare a votare domani: lo riportano diversi quotidiani locali, fra cui Etemad.
Intanto, Google ha denunciato attacchi hacker contro decine di migliaia di account Gmail di utenti iraniani. Secondo l’azienda, l’attacco - iniziato circa tre settimane fa - sembra essere "politicamente motivato in relazione alle elezioni presidenziali". L’obiettivo sarebbe stato raccogliere username e password degli utenti probabilmente attraverso il ’phishing’. La "tempistica e gli obiettivi della campagna", secondo Google, suggeriscono un legame con le elezioni di domani.
(13 giugno 2013)
TGCOM
08:44 - Decine di migliaia di account Gmail, il servizio di posta elettronica di Google, di utenti iraniani sono stati l’obiettivo di un massiccio attacco hacker. E’ stata la stessa azienda californiana a spiegare che l’attacco mirava a ottenere in forma fraudolenta le password di accesso agli account e potrebbe essere "politicamente orientato e legato alle elezioni nella Repubblica islamica di venerdì".
WWW.LASTAMPA.IT
In Iran si è chiusa alle otto di questa mattina (le 5,30 in Italia) la campagna elettorale per le presidenziali di domani. Non c’è un chiaro favorito tra i sei candidati che si contenderanno il voto dei 50 milioni di aventi diritto e viene dato per scontato che si arrivi al ballottaggio, il 21 giugno.
Intanto alla vigilia delle elezioni, Google ha denunciato di aver registrato e bloccato migliaia di attacchi informatici contro account email di utenti iraniani. «La tempistica e la scelta degli obiettivi suggerisce che gli attacchi siano politicamente motivati», ha sottolineato il vice presidente della sicurezza, Eric Grosse, specificando che i tentativi di rubare password e altri dati personali sono stati fatti dall’Iran.
Nelle ultime tre settimane, ha riferito la Bbc, l’azienda americana ha notato un «balzo significativo» nell’attività di phishing nella regione, in concomitanza con la campagna elettorale. A decine di migliaia di utenti è stata inviata una mail che invitava ad andare su un un sito per migliorare la sicurezza dell’account. Cliccando sul link, si veniva reindirizzati su una falsa pagina Google attraverso la quale venivano rubati username e password. I tentativi di hackeraggio sono stati individuati grazie a un meccanismo di sicurezza introdotto dall’azienda Usa nel browser di Google Chrome. Grosse ha invitato gli utenti iraniani a prendere misure ulteriori per proteggere i loro account da «attacchi sponsorizzati dallo Stato».
Moderati e riformisti sono schierati con Hassan Rohani, dopo l’esclusione dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. Tra gli ultraconservatori i sondaggi premiano Ali Akbar Velayati, consigliere diplomatico della Guida suprema Ali Khamenei, l’ex negoziatore nucleare Said Jalili e il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf. Il ballottaggio scatterà se, cme appare scontato, nessuno dei candidati raggiungerà il 50%. Con i quattro candidati conservatori, la Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei, punta a garantirsi un presidente a lui fedele, dopo il deterioramento dei rapporti con il presidente uscente, Mahmoud Ahmadinejad.
Jalili ha guidato i negoziati sul nucleare ed è sostenitore di una linea intransigente. In campagna elettorale ha puntato molto sui social network e ha indicato la priorità nel risanamento dell’economia. È considerato dai suoi sostenitori un “martire vivente”, avendo perso la gamba destra negli anni ’80 durante il conflitto con l’Iraq. Il secondo candidato di peso dei conservatori è Velayati. Ministro degli Esteri nel 1981, è stato il fidato e influente consigliere diplomatico di Khamenei e pare intenzionato ad ammorbidire la politica estera portata avanti da Ahmadinejad. Su questo, si misura dunque la differenza con Jalili, che rifiuta ogni compromesso con l’Occidente. Dato che Velayati non può contare su una propria base di potere autonoma, si reputa che la sua presidenza sarebbe più facilmente controllabile da Khamenei.
Il terzo candidato conservatore è Mohammad Baqer Qalibaf, che ha sostituito, dal 2005, Mahmoud Ahmadinejad come sindaco di Teheran. Qalibaf è stato comandante delle forze aeree delle Guardie Rivoluzionarie ed è un veterano della guerra irachena. Nonostante il campo conservatore sia diviso al suo interno, molti analisti prevedono che sarà proprio un candidato vicino alla Guida Suprema a prevalere. Tuttavia il campo riformista, unito intorno al religioso moderato Hassan Rohani, spera di ottenere abbastanza voti per riuscire ad andare al ballottaggio. Rohani ha di recente ricevuto l’appoggio di influenti figure del campo moderato: i riformisti, infatti, dopo l’esclusione dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani da parte del Consiglio dei Guardiani e il ritiro del candidato moderato Mohammad Reza Aref, si sono compattati intorno al suo nome. Il religioso può infatti contare sull’appoggio di un importante leader moderato come l’ex presidente riformista Mohammad Khatami, oltre allo stesso Rafsanjani.
Tra gli obiettivi di Rohani vi è quello di realizzare una carta dei diritti civili, oltre all’impegno per i diritti delle donne e delle minoranze etniche e alla promozione di una politica estera ispirata a un’«interazione costruttiva col resto del mondo», in particolare per quanto riguarda il dialogo sul programma nucleare. Proprio questo suo atteggiamento conciliatorio lo ha reso un bersaglio per i falchi, che lo accusano di essere troppo accomodante. A suo favore, Rohani può però vantare le sue credenziali di rivoluzionario: nel 1979, fu attivo nel movimento di opposizione che rovesciò lo Shah ed ebbe anche un ruolo importante nella guerra contro l’Iraq. Il candidato moderato ha, inoltre, promesso di risollevare l’economia iraniana, indebolita dalle sanzioni internazionali e dal crollo della valuta nazionale, il rial. Gli altri due candidati, l’ex ministro delle telecomunicazioni Mohammad Gharazi e l’economista Mohsen Rezaei, sembrano invece avere poche possibilità di essere eletti.
WWW.MELTY.IT
Venerdì 14 giugno circa 50 milioni di persone in Iran si recheranno alle urne per eleggere il successore del Presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, arrivato al termine del suo secondo mandato. Il sistema politico iraniano si configura infatti come una Repubblica presidenziale (con il Capo dello Stato, organo esecutivo monocratico, eletto ogni 4 anni) all’interno di una Teocrazia islamica: la Guida Suprema dello Stato che si affaccia sul Golfo persico è infatti l’Ayatollah Ali Khamenei, principale leader politico, custode spirituale nonché capo delle forze armate. Il terzo organo più importante dell’architettura costituzionale iraniana è il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione (12 membri di cui 6 nominati dall’Ayatollah), che giudica insindacabilmente sulle candidature alle Elezioni presidenziali. I dissidi crescenti negli ultimi anni tra Khamenei e Ahmadinejad (un "laico" alla guida del Governo) hanno portato all’esclusione di due “papabili” alla sua successione: il suo braccio destro Rahim Mashaei e l’ex Presidente Hashemi Rafsanjani, co-fondatore del nuovo Iran dopo la Rivoluzione del 1979, ma ultimamante apparso lontano dalle posizioni più conservatrici della Guida Suprema.
elezioni iran voto dopo ahmadinejad
La Guida Suprema Khamenei
Per lo scrutinio presidenziale sono stati ammessi sette candidati: 4 conservatori (Bagher Qalibaf, Haddad Adel, Saeed Jalili, Akbar Velayati) e 3 riformisti (Hassan Rouhani, Mohammad Garazi, Mohsen Rezaei). Qalibaf è l’“eretico” tra i quattro tradizionalisti: sindaco di Teheran dal 2005, è considerato un indipendente alla stregua di Ahamdinejad. Jalili e Velayati, rispettivamente capo negoziatore sul nucleare con l’Occidente e Ministro degli Esteri in vari governi, sono invece i personaggi politici più vicini alla Guida Spirituale Khamenei. Il candidato riformista più accreditato si chiama Hassan Rouhani. 64 anni, ex capo della sicureza nazionale (sostenuto dagli ex Presidenti Mohammad Khatami e dallo stesso Rafsandjani) è stato il principale negoziatore del dossier nucleare iraniano tra il 2003 e il 2005 con l’Unione europea. Rouhani ha già dichiarato che, in caso di vittoria, avvierebbe subito delle trattative sul nucleare con gli Stati Uniti. Il principale "target" elettorale di Rouhani è comunque la popolazione giovane del Paese, alla luce dei suoi proclami contro la violazione dei diritti umani e in favore della libertà d’espressione nel regime, pesantemente calpestata durante gli anni di Ahmadinejad.
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Il candidato riformista Rouhani
Il Paese ha vissuto anni di progressivo isolamento e l’aggravarsi della crisi economica, dovuta in particolare alle sanzioni della comunità internazionale nei confronti del regime degli Ayatollah, dopo le continue minacce nucleari alla sicurezza di Israele perpetrate da Ahmadinejad. Per non parlare della repressione di ogni forma di dissidenza all’interno del Paese: un’escalation che ha avuto il suo picco nell’estate del 2009, quando il cosiddetto “Movimento Verde”, sceso in piazza per contestare i brogli elettorali all’origine della rielezione di Ahmadinejad, fu brutalmente “silenziato” nel sangue. La continua violazione delle libertà individuali ha avuto ripercussioni anche sul periodo pre-elettorale: il Vicepresidente di Google, Eric Gosse, ha infatti denunciato numerosi tentativi di furto di codici e password nei confronti di decine di migliaia di utenti iraniani della Rete a ridosse delle urne. L’ombra di nuove manipolazioni si staglia dunque sulle operazioni di voto, che cominceranno venerdì a partire dalle ore 8 (le 5,30 in Italia). Hassan Rouhani rappresenta dunque l’unico vero baluardo riformista opposto al “plotone” dei conservatori, che hanno già fatto appello ad una sorta di “desistenza” per ostacolare il moderato. Per il futuro dell’Iran si profila una deriva sempre più tradizionalista: altro che “Gioiosa Macchina da Guerra”.
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Venerdì 14 giugno si terranno le elezioni presidenziali in Iran, che serviranno a scegliere il successore dell’attuale presidente, Mahmoud Ahmadinejad, in carica dall’agosto del 2005. Sulla stampa di tutto il mondo si è parlato molto del voto di venerdì, soprattutto perché alle ultime elezioni presidenziali, quelle del 2009, migliaia di persone protestarono contro la discussa vittoria di Ahmadinejad, che fa parte dello schieramento conservatore. Il movimento dell’Onda Verde, guidato dai riformisti Mehdi Karrubi e Hussein Moussavi, aveva fatto sperare a molti stati occidentali, tra cui gli Stati Uniti, in un cambio politico importante alla presidenza dell’Iran, che portasse il paese a essere meno intransigente nella sua politica estera. Le cose però andarono diversamente, e i due leader dell’opposizione furono messi agli arresti domiciliari.
A quattro anni di distanza gli stati occidentali, ma anche molti altri paesi del Medio Oriente, tra cui l’Arabia Saudita e Israele, sperano che possa vincere il candidato moderato, Hassan Rouhani, che ha posizioni piuttosto aperte al dialogo sul tema del nucleare iraniano.
I candidati rimasti in gara
Sono sei, anche se a presentare la candidatura al Consiglio dei Guardiani – l’organo più potente e influente in Iran – sono stati in 686. Il 21 maggio scorso era stato diffuso l’elenco delle liste ammesse al voto. I candidati ammessi erano stati solo otto, e tra gli esclusi spiccavano due nomi: Esfandiar Rahim Mashaei, consuocero e fedele alleato di Ahmadinejad, e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente dell’Iran, conservatore ma da alcuni anni molto vicino a posizioni più moderate. I due erano visti come una minaccia da Ali Khamenei – che è la Guida Suprema dell’Iran, ovvero la più importante e potente figura politica del paese – e la loro esclusione aveva provocato diverse critiche e proteste tra i loro sostenitori.
Degli otto candidati ammessi altri due si sono ritirati: si tratta del conservatore Gholam Ali Haddad Adel, e dell’unico riformista la cui candidatura era stata approvata dal Consiglio dei Guardiani, Mohammad Reza Aref. I candidati rimasti per succedere ad Ahmadinejad sono quindi sei (in verde i conservatori, in rosso i moderati).
- Saeed Jalili: capo negoziatore iraniano sul nucleare, uno dei personaggi politici più vicini a Khamenei.
- Mohammad Bagher Ghalibaf: sindaco di Teheran dal 2005 e veterano della guerra tra Iran e Iraq degli anni Ottanta.
- Mohammad Gharazi: ex ministro del Petrolio ed ex ministro delle Telecomunicazioni.
- Mohsen Razaee: ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie che aveva già partecipato alle elezioni del 2009.
- Hassan Rouhani: ex capo della sicurezza nazionale e membro dal 1999 dell’Assemblea degli Esperti.
- Ali Akbar Velayati: ministro degli Esteri in diversi governi, è attualmente il consigliere di Khamenei sulle questioni legate alla politica estera.
Chi è il candidato col turbante (ma moderato)
È Hassan Rouhani, 64 anni, che dopo avere ricevuto diverse importanti dichiarazioni di sostegno importanti negli ultimi giorni sembra essere il candidato di punta dello schieramento moderato. Tra le questioni che più lo differenziano dagli altri candidati, c’è quella dei rapporti con l’estero: nonostante, come gli altri, abbia chiarito che l’Iran dovrebbe rimanere avversario degli Stati Uniti, Rouhani ha aggiunto che questa rivalità dovrebbe essere funzionale all’interesse nazionale iraniano, e non – come è successo negli ultimi anni – avere il solo risultato di subire le sanzioni economiche imposte dai paesi occidentali. La cosa curiosa di Rouhani è che, pur essendo il candidato su cui sembrano puntare molti riformisti, è l’unico con il “turbante”: il Washington Post ha spiegato in parte questa particolarità, raccontando come lo schieramento dei religiosi sciiti iraniani si sia diviso molto negli ultimi anni, dando vita a diversi orientamenti che rappresentano sia posizioni politiche moderate sia quelle conservatrici.
L’attenzione nei confronti di Rouhani è cresciuta molto nelle ultime settimane, grazie anche alla sua capacità di richiamare a simboli e slogan che sono diventati ricorrenti tra i suoi sostenitori. Il viola, per esempio, è diventato il colore della sua campagna elettorale: durante i suoi interventi pubblici molti suoi sostenitori si sono vestiti con magliette viola, oppure si sono legati dei nastri dello stesso colore alle mani o alle dita, e le donne hanno indossato hijab viola. Durante una manifestazione organizzata sabato scorso a Teheran, Rouhani si è presentato ai suoi sostenitori con in sottofondo “Ay Iran“, una canzone pre-rivoluzionaria amata da molti iraniani.
Rouhani ha ricevuto pubblicamente il sostegno di due ex presidenti: il riformista Mohammad Khatami e il conservatore (più o meno) Rafsanjani. Tra tutti i candidati, Rouhani è probabilmente quello meno vicino alla Guida Suprema, anche se non si può dire che ne sia oppositore: in molti credono che abbia possibilità di vittoria, anche se alcuni candidati conservatori vicino alla Guida Suprema sembrano essere ancora molto forti.
La campagna di “phishing” denunciata da Google
Nelle ultime settimane si è discusso molto anche del grado di libertà in cui si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il 12 giugno anche Google si è inserita in questo dibattito, pubblicando sul suo blog un post in cui denuncia l’esistenza, da almeno tre settimane, di una grande campagna di “phishing” in Iran. Il “phishing” è un tipo di truffa compiuta in Internet in cui il truffatore inganna la vittima convincendola a fornirgli informazioni personali sensibili, come le credenziali di un conto corrente bancario o la password per accedere alla casella mail, come nel caso denunciato da Google. Secondo l’azienda la campagna di “phishing” sarebbe legata alle prossime elezioni presidenziali:
«Per quasi tre settimane, abbiamo individuato ed eliminato diverse email contenenti truffe (“phishing”) finalizzate a compromettere gli account di decine di migliaia di utenti iraniani. Queste campagne, che hanno origine all’interno dell’Iran, rappresentano un significativo salto nel volume totale delle attività di phishing nella regione. Il tempismo e gli obiettivi della campagna fanno pensare che gli attacchi siano politicamente legati alle elezioni presidenziali iraniane di venerdì»
Non è ancora chiaro il motivo per cui sia stata messa in piedi la campagna di “phishing”, anche se sembra sia molto simile a un’altra campagna, portata avanti nel 2011 sempre in Iran, scoperta dopo che erano stati compromessi i servizi di una società informatica olandese. Google ha invitato i suoi utenti a proteggere con più attenzione i dati personali.