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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

In attesa di capire come cambierà, dopo l’aumento di capitale in programma, l’azionariato di Rcs (editrice del Corriere), si mette una pezza a un altro caso difficile: la lite fra Marco Tronchetti Provera e la famiglia Malacalza per il controllo di Pirelli (che fa parte con il 5% del patto di sindacato Rcs)

In attesa di capire come cambierà, dopo l’aumento di capitale in programma, l’azionariato di Rcs (editrice del Corriere), si mette una pezza a un altro caso difficile: la lite fra Marco Tronchetti Provera e la famiglia Malacalza per il controllo di Pirelli (che fa parte con il 5% del patto di sindacato Rcs). In poco più tempo di quanto ne serva a far nascere un bimbo, la contesa, qui commentata ai suoi albori (17 agosto 2012), è finita; per i nostri usi è un blitz. La stampella data da Malacalza a Tronchetti per continuare a controllare Pirelli pur detenendo una frazione minima dei mezzi propri integrati è sostituita da un’altra, però insidiosa. Il fondo di private equity Clessidra, Intesa e Unicredit aiutano Tronchetti fino al 2017 a gestire e controllare Pirelli, liberandolo in Camfin da un socio non di buon comando, con un’operazione di diabolica complessità; non bastano due paginate a pagamento sul Sole 24 Ore in caratteri minuscoli a darne una fugace sintesi. I Malacalza (e tutti i soci di Camfin non alleati a Tronchetti che lo vogliano) saranno sostituiti dai nuovi arrivati; sparisce la scatola quotata Camfin, ma se ne creano tre nuove non quotate. Liquidati all’attico, i genovesi non spariscono, ma reinvestono al pianoterra, con il 7% di Pirelli, dove avrebbero dovuto stare dall’inizio, scrive su Repubblica Alessandro Penati. Da buoni liguri hanno capito che il privilegio di dividere l’attico con il padrone può costare caro. Pur dipinti come raider rapaci, essi non avevano posto precisi limiti di tempo per vendere; i fornitori delle nuove stampelle sono più esigenti. Fra quattro anni partirà infatti un processo che porterà Tronchetti a lasciare la guida di Pirelli, nel cui CdA la maggioranza sarà a quel punto nominata da Clessidra; questa è tenuta, come fondo chiuso, a massimizzare i proventi per gli investitori entro date scadenze. A fine 2017, quindi, Tronchetti dovrà trovare nuovi azionisti pronti a subentrare alla nuova compagine che, (come oggi), avrà il 26% di Pirelli. Costoro dovranno però pagare almeno l’importo maggiore fra il doppio dell’investimento odierno e il valore reale futuro, maggiorato del 15%. Se ciò non avverrà, in una seconda fase Clessidra e banche avranno diritto di cedere tutta la quota di controllo, incluso Tronchetti, al miglior offerente. Pirelli, si dice, sarà allora una vera public company; è più probabile, invece, che quel 26% sarà venduto a un concorrente senza Opa, secondo le migliori tradizioni. Pare anzi strano che i liguri, scottati nel rapporto con Tronchetti, non abbiano ottenuto garanzie sul realizzo del loro 7% in Pirelli, al momento di tale passaggio di controllo. Che sia questo il «patto non denunciato» la cui esistenza la Consob sospetta? I CdA delle società situate nella catena di controllo seguiranno accordi che assicurano una rappresentanza cencelliana nei vari stadi dell’operazione. Siamo lontani dalle buone prassi dei mercati moderni, dove i ruoli di presidente e amministratore delegato vanno separati, e la maggioranza del CdA consiste (udite, udite) di indipendenti. I consulenti dei nuovi investitori avranno valutato i rischi di simili accordi, vista anche la tormentata esperienza dei genovesi. Si saranno certo tutelati per il caso che il subentrante individuato fosse disposto a pagare un prezzo anche superiore al valore minimo fissato per la prima fase; quanto alla successiva, avranno soppesato la recente sentenza del tribunale di Milano che inficia la validità degli obblighi di riacquisto di partecipazioni a valori prefissati. Grassi arbitrati in vista fra Milano e Genova? Intervistato da Raffaella Polato (Corriere, 7 giugno), Tronchetti dice di voler preparare Pirelli alla successione. Per cominciare potrebbe scindere, come vuole il codice di autodisciplina delle quotate, i ruoli di presidente e amministratore delegato. Basterebbe poi invertire la rotta recente, richiamando in Pirelli qualcuno dei tanti dirigenti che negli anni scorsi se ne andarono (spontaneamente o allontanati con grasse prebende) perché poco ossequiosi dell’uomo solo al comando. Le nostre due grandi banche investiranno, con logica da private equity e forse per l’ultima volta, circa 200 milioni in una società non quotata, per sorreggere il controllo di Pirelli, da sempre una multinazionale manifatturiera globale. Le sue dimensioni, prima grandi, sono ormai medie. Solo una fibra fortissima le ha permesso di sopravvivere alle faide di un piccolo mondo antico giunto al capolinea; se l’avventura in Telecom Italia è costata una fortuna, va pur riconosciuto il ruolo di Tronchetti nella successiva ripresa del gruppo. Tutti scrutiamo i movimenti dei frusti tendaggi del salotto buono, come fossero foglie di tè in cui leggere il nostro futuro. Per fortuna esso è piuttosto affidato alle medie imprese esportatrici, ignorate dallo star system; dovremmo occuparcene di più, a meno che non sia proprio questa disattenzione la loro, e nostra, fortuna.